L’applicazione dello Statuto del Contribuente negli enti locali

Analizziamo i rapporti tra lo Statuto del Contribuente e gli enti locali, le disposizioni che gli enti locali stessi devono recepire e quelle cui dovranno prestare maggiore attenzione.

Nel corso degli ultimi anni, il progressivo decentramento dei poteri legislativi, amministrativi e fiscali ha subito una forte accelerazione e trasformazione, consentendo alle Regioni, alle Province ed ai Comuni, almeno in linea di principio, di acquistare maggiori spazi di intervento e di azione in ordine alla regolamentazione dei propri tributi, spesso poco efficacemente gestiti, tenuto conto della complessità degli adempimenti demandati e delle preoccupanti carenze formative degli enti locali chiamati a svolgere compiti nuovi e impegnativi.

Nel rispetto del novellato dettato costituzionale e dell’inderogabile principio della riserva di legge, contenuto nell’articolo 23 della Costituzione, ribadito dall’articolo 149 del D. Lgs. n. 267/2000 – Testo unico sull’ordinamento degli enti locali -,  il percorso normativo finalizzato al raggiungimento dell’autonomia  finanziaria degli enti locali è contraddistinto da alcune disposizioni fondamentali:

  • l’art. 52 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, che costituisce una norma generale di principio sulla potestà regolamentare;
  • l’art. 50 della legge 27 dicembre 1997, n. 449,  che stabilisce che, a decorrere dal 1° gennaio 1998, le Province ed i Comuni, nell’ambito della potestà regolamentare in materia di disciplina delle proprie entrate, possono prevedere specifiche disposizioni dirette a semplificare e razionalizzare il procedimento di accertamento, anche per ridurre gli adempimenti dei contribuenti e potenziare l’attività di controllo sostanziale, introducendo l’istituto dell’accertamento con adesione, sulla base dei criteri stabiliti dal D. Lgs. n. 218/1997;
  • l’art. 59 , comma 1, lett. m), del D. Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, che riconosce ai Comuni il potere di introdurre tale forma di accertamento con il regolamento relativo all’ICI.

statuto del contribuenteSu tali disposizioni prevale – con tutto il peso costituito dal fatto di essere stato approvato con legge ordinaria – lo “Statuto dei diritti del contribuente”, espressamente applicabile anche agli enti locali (1), il quale sancisce, fra l’altro, come abbiamo visto, il principio della semplificazione degli atti e degli adempimenti fiscali, con ciò tracciando un cammino verso il quale le concrete disposizioni emanate dai diversi Enti impositori dovranno necessariamente adattarsi.

Analizziamo, pertanto, i rapporti e i collegamenti tra lo Statuto e gli enti locali, le disposizioni che gli enti locali stessi non possono fare a meno di recepire e quelle cui dovranno prestare maggiore attenzione poiché rilevanti nei confronti dei contribuenti.

L’efficacia temporale delle norme tributarie

Il legislatore del 2000, con l’art.3 della legge n.212, ha stabilito che le disposizioni tributarie non possono avere effetto retroattivo, che le modifiche introdotte in relazione ai tributi periodici – ICI, per esempio – si applicano solo a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono, che i termini di prescrizione e di decadenza – per gli accertamenti – non possono essere prorogati. Principio quest’ultimo più volte derogato (2).

Il dovere di informazione del contribuente

Sulla base dell’art.5 dello Statuto del contribuente gli enti locali devono assumere idone iniziative volte “a consentire la completa e agevole conoscenza delle disposizioni legislative e amministrative vigenti in materia tributaria”.

In questo campo l’ente locale deve fare tanto per colmare le attuali deficienze informative (3), in particolare per quei tributi ricorrenti, come l’ICI, la Tarsu, etc. .

Attese le difficoltà spesso riscontrate da tali Enti si evidenzia che l’art. 78 della legge 342/2000 e gli artt. 3 e 4 dello Statuto dell’Agenzia delle Entrate – approvato con deliberazione normativa del 13.12.2000, n. 6 –  riconoscono all’Agenzia delle Entrate  la possibilità di offrire agli enti – in regime privatistico –   servizi di  varia natura, consistenti in attività di consulenza, assistenza, formazione e revisione nella gestione dei tributi (4); le norme statutarie dell’Agenzia, infatti, tendono a privilegiare la collaborazione con gli Enti locali, in modo da promuovere e/o favorirne lo sviluppo, in ossequio ai principi di federalismo fiscale.

Gli enti devono valutare – sicuramente – l’adozione del mod. F24 per il pagamento dei tributi locali (5), in sostituzione delle tradizionali modalità di riscossione del tributo, che consente il pagamento con una sola tipologia di modello presso qualunque sportello di banche, poste e concessionari, ovunque dislocato.

La conoscenza degli atti e la semplificazione

Anche in questo campo il lavoro da fare per gli enti locali è molto: assicurare l’effettiva conoscenza, da parte del contribuente, degli atti a lui destinati; informare il contribuente di ogni fatto o circostanza dai quali possa derivare il mancato riconoscimento di un credito ovvero l’irrogazione di una sanzione; assumere tutte le iniziative necessarie affinchè la modulistica sia messa a disposizione in tempi utili, sia comprensibile e permetta di adempiere l’obbligazione tributaria nella maniera più semplice possibile.

Il coinvolgimento del contribuente deve comunque avvenire nel rispetto delle disposizioni in materia di Statuto dei diritti del contribuente il quale, con l’art. 6, comma 5, della legge 27 luglio 2000, n. 212, impone all’Amministrazione finanziaria, prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione dei tributi risultanti dalle dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, di invitare il contribuente, anche telefonicamente o in forma scritta o telematicamente, a fornire chiarimenti o a produrre documenti entro un termine congruo e comunque non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta.

Inoltre, l’ultimo capoverso del comma 5 dispone espressamente che

” sono nulli i provvedimenti emessi in violazione delle disposizioni di cui al presente comma” (6).

Il contribuente, raggiunto dall’invito dell’ufficio, dovrà far pervenire la documentazione richiesta, atta a comprovare la correttezza del proprio operato.

Resta fermo che al medesimo contribuente non possono essere richiesti documenti ed informazioni in possesso dell’Amministrazione finanziaria o di altre pubbliche amministrazioni indicate dal contribuente, in conformità a quanto prescritto dal comma 4, dell’art.6, del citato Statuto del contribuente (7).

La chiarezza e la motivazione degli atti

L’art. 7 dello Statuto del Contribuente –  il cui titolo è  “Chiarezza e motivazione degli atti” – assolve ad una funzione di informazione del contribuente.

Esso prevede espressamente che

“Gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione”.

L’ultimo periodo del citato art. 7 stabilisce, altresì, che

“se nella motivazione si fa riferimento a un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama”.

La prima immediata interpretazione di tale attuale ultimo periodo dell’art. 7 dello Statuto del Contribuente, è stata che l’obbligo di allegare nell’avviso di accertamento gli eventuali atti richiamati sorgeva solo nel caso in cui gli stessi non erano stati previamente notificati al contribuente.

La legge 7 agosto 1990 n.241, all’art.3, nel dettare disposizioni di ordine generale sulla motivazione dei provvedimenti amministrativi – applicabili anche agli atti di accertamento tributario, in quanto l’art.13 , a contrario, ne conferma l’applicabilità – prevedeva già che

“se le ragioni della decisione risultano da altro atto dell’amministrazione richiamato dalla decisione stessa, insieme alla comunicazione di quest’ultima deve essere indicato e reso disponibile, a norma della presente legge, anche l’atto cui essa si richiama “.

Inoltre, il comma 3, della citata legge n.241/90, ammette il rinvio ad altri atti dell’amministrazione, purchè indicati e resi disponibili al più tardi contestualmente alla comunicazione al destinatario del provvedimento che opera il rinvio stesso.

Tutto ciò ha indotto a ritenere – con opinione condivisibile – che se l’ufficio non abbia in precedenza portato a conoscenza dell’interessato gli atti e documenti che lo riguardano e che poi vengono richiamati nell’atto d’imposizione, la messa a disposizione e, quindi, la loro comunicazione devono avvenire contestualmente alla notifica dell’avviso di accertamento al quale i documenti e gli atti richiamati vanno allegati.

Sembra potersi affermare che si è passati dal concetto di conoscibilità degli atti, intesa come diritto del contribuente ad avere copia dell’atto richiamato per relationem dall’ufficio, a quello di conoscenza, intesa nel senso di effettiva cognizione legale dell’atto cui si rinvia.

E’ ragionevole ritenere – anche alla luce del principio di collaborazione e buona fede che nell’intento del legislatore dello Statuto dovrebbe caratterizzare i rapporti tra fisco e contribuente – che nel caso di motivazione per relationem l’obbligo di allegare l’atto cui si rinvia possa ritenersi assolto in tutti quei casi in cui l’atto richiamato sia stato ritualmente notificato al contribuente.

Le interpretazioni difformi, su tale delicata tematica, hanno portato il Legislatore ad intervenire: il Decreto legislativo n.32 del 26 gennaio 2001, – titolato “Disposizioni correttive di leggi tributarie vigenti, a norma dell’articolo 16 della legge 27 luglio 2000, n.212, concernente lo statuto dei diritti del contribuente” – ha dettato, attraverso l’art.6, che contiene le disposizioni correttive in materia di fiscalità locale, delle integrazioni o modificazioni in materia di motivazione.

In particolare il legislatore delegato ha precisato che se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale.

Tale disposizione risponde probabilmente non solo ad una esigenza operativa degli uffici fiscali ma anche al ragionevole principio che un atto già notificato ad un contribuente possa ritenersi dallo stesso legalmente conosciuto.

Acclarata la necessità di una adeguata motivazione che renda edotto il contribuente  delle  ragioni della pretesa fiscale (8) ed appurato che tale obbligo può essere assolto anche rinviando ad altro atto emanato dalla Pubblica Amministrazione, sulla scorta delle argomentazioni esposte nonché delle recenti pronunce giurisprudenziali, sembra potersi affermare in conclusione che l’obbligo di allegazione dell’atto richiamato per relationem contenuto nell’art. 7 della L. 212/2000 possa considerarsi comunque assolto in tutti quei casi in cui l’atto cui si rinvia sia stato preventivamente notificato al contribuente.

Appare infatti una forzatura sostenere la carenza di motivazione di un atto impugnato, in quanto l’atto richiamato – noto al contribuente in quanto notificato – non sia stato allegato a quello principale.

L’obbligo di allegazione risulta invece rigorosamente da osservare in tutti quei casi in cui il contribuente non abbia avuto legale conoscenza dell’atto richiamato (9).

L’interpello come disciplinato dallo Statuto del Contribuente

Al fine precipuo di migliorare i rapporti con i contribuenti, l’art. 11 del cd. Statuto del Contribuente ha disciplinato l’istituto dell’interpello.

Il primo comma dell’art.11 dello Statuto del contribuente consente a ciascun contribuente, di inoltrare per iscritto all’amministrazione finanziaria, che risponde entro 120 giorni, circostanziate e specifiche istanze d’interpello concernenti l’applicazione delle disposizioni tributarie a casi concreti personali, qualora vi siano obiettive condizioni di incertezza sulla corretta applicazione delle disposizioni stesse.

La presentazione dell’istanza non produce alcun effetto sulle scadenze previste dalla disciplina tributaria.

Le conseguenze derivanti dal comportamento dell’Ufficio interpellato sono disciplinate dal secondo e dal terzo comma della norma in esame.

In pratica la risposta scritta e motivata del Fisco vincola con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell’istanza d’interpello e limitatamente al richiedente.

E’ operante il principio del silenzio assenso: infatti qualora la risposta non pervenga al contribuente entro 120 giorni dalla richiesta di parere, sì intende che il Fisco concordi con l’interpretazione o il comportamento prospettato dal contribuente.

La facoltà di interpellare e l’operatività della formazione del silenzio-assenso è dunque subordinata all’esistenza di obiettive condizioni di incertezza sulla corretta applicazione delle disposizioni tributarie.

Con particolare riferimento alla questione oggetto dell’istanza di interpello, non possono essere irrogate sanzioni amministrative nei confronti dei contribuenti che non abbiano ricevuto risposta dall’amministrazione finanziaria entro il limite temporale sopra indicato.

Se l’istanza formulata da un numero elevato di contribuenti riguardi la stessa questione o questioni analoghe fra loro, il quarto comma dell’articolo in commento, attribuisce all’Amministrazione finanziaria la facoltà di rispondere collettivamente, attraverso la stesura di una circolare o la diffusione di una risoluzione tempestivamente pubblicata.

E’ opportuno evidenziare che le disposizioni di cui all’art. 11 sono rivolte a disciplinare il rapporto fra contribuente e amministrazione finanziaria, e pertanto le norme devono essere rilette sotto l’ottica locale.

L’operatività dell’istituto è legata, infatti, all’apposita regolamentazione da parte degli enti locali che devono determinare gli organi, le procedure e le modalità di esercizio dell’interpello.

 “Ove l’istanza di interpello concerna l’applicazione di disposizioni normative dettate in materia di tributi locali, la competenza a decidere in ordine a tale tipologia di istanze è attribuita esclusivamente all’ente locale, in quanto titolare della potestà di  imposizione,  nella  qual e  è  compreso  l’esercizio  dei poteri di accertamento del tributo…..; è solamente l’ente locale che deve comunicare al contribuente la linea interpretativa che seguirà nella fase di accertamento del tributo, quando cioè si troverà ad esaminare la particolare posizione (10)”.

“Sarà forse indispensabile l’intervento ad adiuvandum dell’Amministrazione finanziaria statale per evitare che su questioni sottratte alla potestà regolamentare dell’ente locale (quali la individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e della aliquota massima dei singoli tributi) possano formarsi risposte difformi fra i diversi enti locali, mentre è pienamente giustificata l’autonomia di risposta da parte dell’ente locale su domande riguardanti aspetti del tributo disciplinati direttamente nel proprio regolamento (quali agevolazioni, detrazioni, particolari esenzioni, diversità di aliquote, specialmente in materia di Ici) (11)”.

BREVI CONSIDERAZIONI

La pubblicazione in Gazzetta ufficiale dello Statuto del contribuente costituisce il proseguimento di una nuova fase dell’amministrazione finanziaria, fondata sui principi della trasparenza, chiarezza e legittimità, la cui effettiva realizzazione è sicuramente legata ai comportamenti che le stesse amministrazioni locali adotteranno nell’osservanza dei precetti e delle norme contenuti nel testo di legge approvato.

Se non si perseguirà tale via si rischia che lo Statuto del contribuente, in materia di tributi regionali e locali, si trasformi in una Carta di diritti e di garanzie di serie B, in netta controtendenza e contrapposizione con i principi del federalismo fiscale e della sussidarietà.

Concetta Pagano

17 settembre 2008



NOTE

(1) cfr. articolo 1, commi 3 e 4 della legge n. 212/2000.

(2) Cfr. in materia di ICI, l’art.18, comma 4, della legge n.388/2000, l’art.27, comma 9, della legge n.448/2001 e da ultimo la Legge finanziaria per il 2003 che ha prorogato i termini per la liquidazione e l’accertamento dell’ICI al 31 dicembre 2003, limitatamente alle annualità d’imposta 1998 e successive.

(3) L’affannosa ricerca, da parte dei contribuenti, dell’aliquota giusta.

(4) Lo strumento “tecnico” attraverso il quale si attua il rapporto di collaborazione fra l’Agenzia delle Entrate e gli  altri Enti è costituito dalla “Convenzione” : identificato un obiettivo da parte del soggetto richiedente (formazione, consulenza, attività di revisione delle procedure ed altro), l’Agenzia si impegna a raggiungerlo – con un costo limitato per il richiedente – utilizzando il proprio ampio bagaglio di esperienza e professionalità, al fine di sviluppare e promuovere la crescita delle autonomie attraverso l’interscambio informativo e l’attività di supporto, indirizzo, consulenza e formazione. In merito, per approfondimenti, si confronti V.Fusconi-G.Antico, L’attività convenzionale dell’Agenzia delle Entrate, in “ il fisco”, n.14/2003, fascicolo n.1, pag.2114

(5) Il sistema di versamento unitario di imposte e contributi, meglio noto come “sistema F24”, è stato istituito con il D. Lgs. n. 241/1997 ed avviato nel maggio 1998: esso si fonda su un colloquio telematico tra gli intermediari della riscossione (banche, poste e concessionario) e gli enti impositori.

(6) S.Cianfrocca- C.Rotunno, I tributi locali e lo Statuto dei diritti del contribuente, in “ il fisco”, n.46/2000, pag.13742, hanno osservato che “ quanto esposto non trova applicazione quando l’iscrizione a ruolo riguardi tributi per i quali il contribuente non è tenuto ad effettuare il versamento diretto, come avviene per la tassa sui rifiuti solidi urbani”.

(7) Cfr. Cass., sez.trib.,sent.n.1930 del 10 febbraio 2001

(8) La motivazione degli atti impositivi, ed in particolare degli atti di accertamento, descrive l’insieme delle argomentazioni su cui si fonda la pretesa dell’ufficio al fine di rendere edotto il contribuente delle ragioni di fatto e di diritto su cui gli atti medesimi si fondano, informando il destinatario dell’atto sulle ragioni di un provvedimento autoritativo, suscettibile di incidere unilateralmente nella sfera giuridica del destinatario. La motivazione è, pertanto, uno strumento di controllo di legalità della azione amministrativa e mezzo attraverso il quale il contribuente, causa cognita, si difende di fronte alla pretesa dell’amministrazione finanziaria. La motivazione serve a spiegare il fondamento della pretesa fiscale, fornendo al contribuente gli elementi che gli consentono, prima, di decidere se impugnare o meno l’atto impositivo, poi, le argomentazioni su cui fondare il ricorso. In materia di tributi locali, cfr. Comm.trib.prov. di Catania, sent.n.641 del 29 settembre 2000, commentata da S.Trovato, La motivazione è obbligatoria anche in caso di atti impositivi, in “ Il Sole 24ore, del 5 agosto 2002, pag.16

(9) Cfr. Comm.trib.prov. di Ragusa, sezione IV, sent.n.253 del 31 dicembre 2002, in materia di ICI, che ha ritenuto illegittimo l’avviso di accertamento ICI emanato dal Comune se non è stata notificata al contribuente la rendita catastale definitiva. Per un suo commento si rinvia a S.Trovato, Se non c’è una rendita definitiva avviso d’accertamento illegittimo”, in “ Il Sole24ore”, del 3 marzo 2003, pag.26

(10) Risoluzione del Dipartimento Politiche Fiscale n.1 del 29 gennaio 2002.

(11) E.Spaziani Testa, Lo Statuto dei diritti del contribuente come è applicabile all’ordinamento tributario degli enti locali, in “il fisco”, n.45/2000, pag.13378