Testo della relazione tenuta a Rimini, al convegno del 13 maggio 2005 “Accertamenti: dalla verifica fiscale alla difesa tributaria” organizzato dal Commercialista Telematico
La Legge Finanziaria 2005 – come sappiamo – ha introdotto anche significative novità in tema di controlli bancari. In particolare, i commi 402, 403 e 404 dell’art. 1 hanno implementato i poteri degli uffici, modificando gli articoli 32 (comma 1, n. 7) e 33 (comma 2, 3 e 6) del D.P.R. n. 600/1973, e per l’IVA, l’art. 51 (comma 2, n. 7) del D.P.R. n. 633/1972 1.
Tale forma di indagine – come ha brillantemente evidenziato il dott. Antico, con il quale per una volta concordo – è una delle più invasive per i contribuenti.
Essa trae spunto dall’ennesima presunzione, che opera in favore del fisco; si tratta di una presunzione che opera iuris tantum, ovvero sia che, pur consentendo la prova contraria, pone la stessa in capo al contribuente.
Ma – per dirla con la qui presente e già citata autorevole dottrina – “se è vero che siamo in presenza di presunzioni relative, per la forza data dalla norma, esse si atteggiano quasi a presunzioni assolute, poiché richiedono una probatio diabolica per dimostrare i fatti impeditivi od ostativi al verificarsi del presupposto d’imposta, posto che gli stessi giudici tributari trovano nella perentorietà delle norme un limite alla propria discrezionalità”
Ma vi è di più.
L’Agenzia delle Entrate ha ritenuto di rafforzare a proprio favore una norma già notevolmente pro Fisco, precisando (nelle risposte fornite al “ Telefisco 2005”) e confluite nella circolare n. 10 del 16 marzo 2005, che
“ gli effetti prodotti da queste disposizioni si riflettono sui contribuenti anche per gli anni pregressi, con riguardo a tutti gli anni accertabili alla data di effettuazione del controllo
in quanto si tratterebbe di norma procedimentale e non sostanziale (tesi quest’ultima assai in voga di recente per
giustificare l’applicazione retroattiva di norme, in barba ai divieti contenuti sul punto dallo statuto dei diritti del contribuente).
E’ da rilevare che prima delle modifiche apportate dalla Finanziaria 2005, oggetto della richiesta era solo l’esame dei conti intrattenuti con il contribuente verificato: conti correnti di corrispondenza, libretti di deposito nominativi, libretti di deposito al portatore, conti titoli, conti relativi alle gestioni patrimoniali, conti correnti postali e buoni postali fruttiferi.
Oggi l’Amministrazione finanziaria può, inoltre, richiedere notizie sui rapporti inerenti, connessi e funzionalmente collegati ai conti di cui sopra: rapporti evidenziati nel conto corrente, affidamenti, aperture di credito, mandati all’incasso, cessioni di crediti, garanzie prestate alla Banca dal contribuente e/o da terzi.
Le modifiche introdotte dall’art. 1, commi 402 e 403, rispettivamente all’ art. 32 del D.P.R. 600/73 e all’art. 51 del D.P.R. 633/72 consentono di richiedere alle banche, alla società Poste italiane Spa, per le attività finanziarie e creditizie, agli intermediari finanziari, alle imprese di investimento, agli organismi di investimento collettivo del risparmio, alle società di gestione del risparmio e alle società fiduciarie sia di gestione che di amministrazione, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata, ivi compresi i servizi prestati, con i loro clienti, e le garanzie prestate da terzi.
La nuova formulazione normativa amplia sia i soggetti destinatari delle richieste che le informazioni che possono essere richieste: non più solo copia dei conti intrattenuti con la specificazione di tutti i rapporti inerenti o connessi ma anche le singole operazioni poste in essere dai contribuenti. Inoltre, il fatto che la precedente formulazione faceva riferimento a copia dei conti intrattenuti con il contribuente mentre la nuova fa riferimento a clienti, consente la richiesta di qualunque documento o notizia relativi ad ogni rapporto intrattenuto o eseguito con o per conto di clienti individuati.
Alle società fiduciarie di cui alla legge 23 novembre 1939, n. 1966 e a quelle iscritte nella sezione speciale dell’albo di cui all’articolo 20 del T.U. delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, può essere richiesto, tra l’altro, specificando i periodi di interesse, di comunicare le generalità dei soggetti per conto dei quali esse hanno detenuto o amministrato o gestito beni, strumenti finanziari e partecipazioni in imprese, inequivocamente individuati2.
Le disposizioni contenute nei novellati articoli 32 del D.P.R. 600/73 e 51 del D.P.R. 633/72 hanno effetto dal 1° gennaio del 2005, tranne le disposizioni riguardanti l’obbligo dell’invio e della risposta per via telematica, dilazionate al 1° luglio del 2005, salvo diversa decorrenza eventualmente stabilita dal Direttore dell’Agenzia delle Entrate.
Pertanto, si evidenzia che sono immediatamente operative, tra l’altro, le norme che impongono agli istituti bancari ed agli organismi interessati, ai sensi del punto 7 dei citati artt. 32 e 51, di far pervenire le risposte alle richieste di dati, notizie ecc., anche se negative, entro il termine fissato dall’ufficio che non può, comunque, essere inferiore a 30 giorni e che potrà essere prorogato di ulteriori 20 giorni, per giustificati motivi; inoltre, con la nuova normativa viene inoltre avallata la prassi operativa, già adottata dagli uffici locali, di inoltrare le richieste al responsabile della struttura accentrata.
Tra le modifiche normative in commento si pone, altresì, in evidenza anche la circostanza che dal 1° gennaio del 2005 i dati ed elementi acquisiti in sede di controllo bancario possono, ricorrendone i presupposti, essere posti a base sia per la ricostruzione di ricavi che di compensi, con ciò sciogliendo ogni dubbio circa il legittimo utilizzo di tali dati ed elementi anche nei confronti dei lavoratori autonomi, spegnendo il dibattito giurisprudenziale sul riferimento normativo ai solo “ricavi“, che avrebbe portato all’inapplicabilità della norma ai professionisti.3
In particolare, le modifiche introdotte4 permettono di superare i rigidi schemi dei conti visti in precedenza, per consentire adesso ai verificatori – civili e militari – di acquisire tutte le notizie relative al contribuente, in quanto la norma si estende a tutti
“ i dati ed elementi attinenti ai rapporti ed alle operazioni “, ed ai “ dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata, ivi compresi i servizi prestati, con i loro clienti, nonché alle garanzie prestate da terzi “ ,
consentendo così di ottenere tutte le informazioni e/o operazioni fuori conto, in ordine ad esempio : acquisto e vendita di valuta
estera; acquisti di certificati di deposito; richiesta di bonifico senza addebito in conto; cessioni di titoli ed effetti al dopo incasso; negoziazione allo sportello di assegni; movimentazioni alla cassa di denaro; richiesta di assegni circolari con controvalore in numerario; cassette di sicurezza.
Secondo l’interpretazione delle Finanze e del Ministero del Tesoro il significato del termine intrattenuti è tale da farvi ricomprendere anche i conti cointestati e quelli di cui il contribuente ne ha la semplice disponibilità (si pensi alla delega di firma).
In presenza di conti cointestati, tuttavia, sarà necessario analizzare compiutamente le singole operazioni, così da attribuire al contribuente sottoposto a controllo solo i versamenti e prelevamenti di cui è stato autore, evitando di imputare per intero ad uno solo dei soggetti intestatari del conto gli effetti negativi connessi al mancato raggiungimento della prova sul rapporto causale che sta alla base delle movimentazioni.
In ordine ai conti che rientrano nella disponibilità del contribuente, occorre trattarsi di conti intestati ad altre persone, sui quali il contribuente può tuttavia operare in virtù di un mandato rilasciato dal correntista che abbia delegato il coniuge ad effettuare prelievi o altre operazioni sul proprio conto corrente ovvero di conti intestati a società per i quali gli amministratori abbiano ricevuto poteri di disposizione.
A questo proposito, merita approfondimento la questione concernente la possibilità di estendere la presunzione di cui al comma 1 punto 2 degli artt. 32 D.P.R. 600/73 e 51 D.P.R. 633/72 anche ai conti intestati a soggetti diversi dal contribuente nei cui confronti si procede ad accertamento (es. soci delle società).
Infatti, in base all’art 37, comma 3, del D.P.R. n. 600/73, in sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona.
La possibilità di acquisire ed utilizzare dati ed elementi risultanti dai conti, formalmente intestati a soggetto diverso giuridicamente rispetto a quello oggetto di accertamento, o verifica, è strettamente correlata alla circostanza che il terzo sia legato allo stesso da particolari rapporti (cointeressenza, rappresentanza organica, mandato, ecc.) che giustifichino la presunzione di riferibilità dei relativi movimenti bancari ad operazioni imponibili relative al soggetto sottoposto ad accertamento, come peraltro previsto dalla Circolare n. 131/1994, parte 3.
Pertanto, la richiesta di indagini bancarie nei confronti di soggetti terzi necessita di una motivazione specifica in considerazione di quanto sopra affermato.
La Finanziaria 2005 ha inoltre previsto che:
- il potere di concedere l’autorizzazione è attribuito anche al Direttore centrale dell’Accertamento dell’Agenzia delle Entrate;
- il controllo viene esteso a tutte le operazioni che si intrattengono con gli istituti di credito e intermediari finanziari, ivi compresi gli organismi di investimento collettivo del risparmio, società di gestione e fiduciarie;
- i termini per fornire le risposte all’Amministrazione finanziaria passano da 60 a 30 gg. , prorogabili di ulteriori 20, accorciando così i tempi complessivi da 90 ( 60 + 30 di proroga ) a 50 ( 30 + 20 di proroga), e le informazioni dovranno essere inviate in via telematica.
Ma la disposizione che crea probabilmente maggiore apprensione mista a sconcerto è l’espressa estensione dell’ambito soggettivo di applicazione normativa ai lavoratori autonomi, così che anche nei confronti dei professionisti sono considerati compensi i prelevamenti e gli importi riscossi dei quali non viene indicato il beneficiario;
E’ evidente sul punto la “pericolosità” di una norma che penalizza il contribuente- professionista (in contabilità semplificata) che utilizza un unico conto corrente per le spese di studio e quelle familiari, arrivando alla diabolica presunzione (davvero difficile da superare) che i prelevamenti dal suddetto conto (magari per le spese quotidiane ovvero di svago) di cui non si dimostra il beneficiario si considerano compensi non fatturati! Ciò perché operando la famigerata doppia presunzione si arriva a ipotizzare che si tratta di prelevamenti destinati a sostenere costi non documentati ai quali faranno riscontro i relativi compensi in nero!
Inoltre, sul punto, sorge subito spontanea una domanda: ma a fronte di compensi accertati rappresentati da prelevamenti non giustificati mi riconoscono, con lo stesso principio di cassa, la possibilità di portare in deduzione i costi sostenuti per conseguire tali compensi ? La risposta – ad avviso di qualsiasi difensore – dovrebbe essere positiva. Non so perché, ma ho qualche dubbio sulla possibilità di accoglimento di tale ipotesi da parte dell’Amministrazione Finanziaria.
Non poche sono le perplessità sollevate dalla portata di tale norma (anche sotto profili non strettamente tributari) e sicuramente non mancheranno le censure da parte della giurisprudenza di merito e di legittimità.
Per quanto riguarda la valenza probatoria dei dati emergenti dalla documentazione delle operazioni finanziarie, la dottrina e la giurisprudenza si trovano divise su due posizioni.
Una parte della giurisprudenza di legittimità, oltre ad avere in più occasioni confermato che i movimenti finanziari attivi e passivi non giustificati dal Contribuente rappresentano per il Fisco delle vere e proprie presunzioni legali relative che come tali comportano l’inversione dell’onere della prova a carico del Contribuente (Corte di Cassazione civile, sez. trib. 17/06/2002, n. 8683), è addirittura giunta ad escludere l’obbligo del contraddittorio con il Contribuente nella fase antecedente all’emissione dell’atto di accertamento, considerando valido, quindi, il contraddittorio instaurato anche solo nella fase contenziosa (Corte di Cassazione civile, sez. trib. 28/07/2000, n. 9946, Corte di Cassazione civile, sez. trib. 29/03/2002, n. 4601, Corte di Cassazione civile, sez. I 06/10/1999, n. 11094).
In base a questa giurisprudenza, quindi, l’Ufficio può procedere all’accertamento sulla base dei dati e delle notizie raccolte, senza avere preventivamente verificato in contraddittorio con il Contribuente la loro estraneità rispetto al reddito dichiarato.
Al riguardo non si può fare a meno di osservare come – sia il contenuto letterale della norma in questione sia una serena interpretazione della stessa alla luce dei canoni ermeneutici fissati dallo statuto del contribuente e dalla normativa in tema di studi di settore – contraddicano questa impostazione in quanto è previsto che “i singoli dati ed elementi attinenti ai rapporti ed alle operazioni acquisite (…) sono posti a base delle rettifiche” solo nel caso di mancata dimostrazione da parte del Contribuente della loro avvenuta inclusione nella determinazione del reddito dichiarato o della loro estraneità al reddito.
L’interpretazione sistematica della norma, quindi, può al più portare ad affermare che la mancata dimostrazione da parte del Contribuente fa acquisire ai dati ed agli elementi in questione una precisa valenza presuntiva in base alla quale un versamento verrà stimato come ricavo sottratto ad imposizione, ma non può certo portare ad affermare che l’Ufficio, ancor prima di avere appurato la mancata dimostrazione da parte del Contribuente o dell’estraneità del movimento finanziario al reddito o la sua avvenuta regolare partecipazione alla determinazione dello stesso, possa imputare a priori un movimento finanziario quale componente positivo di reddito.
Anzi, tutto lascia pensare ad un necessario coinvolgimento del soggetto sottoposto al controllo, con una dettagliata elencazione dei singoli movimenti di cui si chiede spiegazione.
In assenza del contraddittorio con il Contribuente, i movimenti bancari costituiscono piuttosto dei meri indizi e non delle prove di cui l’Ufficio può avvalersi in base al disposto dell’art. 32, co. 1, n. 2, D.P.R. 600/73.
Una parte della giurisprudenza di merito ha invece affermato che il contraddittorio Contribuente-Ufficio costituisce il presupposto necessario dell’accertamento basato sui dati acquisiti con la documentazione bancaria.
Anche una parte nutrita della dottrina, sostiene che i dati raccolti in base all’art. 32, D.P.R. 600/73, e all’art. 51, D.P.R. 633/72, non rappresentano delle presunzioni legali, ma delle presunzioni semplici che gli Uffici hanno l’obbligo di valutare secondo le regole ordinarie previste per i vari tipi di accertamento (analitico o induttivo) in cui detti dati vengono utilizzati.
Pertanto, le movimentazioni finanziarie che il Contribuente non riesce a giustificare in sede di contraddittorio prima dell’emissione dell’atto di accertamento, costituiscono solo indizi presuntivi che, se utilizzati in un accertamento analitico, dovranno essere supportati dai requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti per questi tipi di accertamento, previa verifica della necessità e dell’effettivo inserimento o meno in contabilità. Potrebbe infatti trattarsi anche di operazioni di natura diversa che non concorrono a formare il reddito ovvero di somme che sono già state oggetto di ritenute alla fonte a titolo di imposta.
In ogni caso, appare evidente che, anche per i contribuenti onesti, che non hanno nulla da nascondere, si impone un radicale cambiamento delle abitudini di spesa ovvero di gestione del proprio conto corrente, monitorando e documentando tutte le spese che transitano da esso e conservando la documentazione probatoria al fine di affrontare un – a questo punto probabile – futuro contenzioso con il Fisco.
Altrimenti al danno di un’economia sofferente ed un imposizione ancora oggi a livelli di guardia, si aggiungerà la beffa di vedere tassati non soltanto i redditi conseguiti ma anche – ironia della sorte – le spese della vita quotidiana!
novembre 2005
di Massimo Conigliaro
Leggi anche: Accertamenti bancari
NOTE
1 Le norme introdotte sono tutte indirizzate a snellire il procedimento delle indagini bancarie, al fine di consentire agli uffici un ricorso maggiore a tale strumento istruttorio, per rendere maggiormente efficaci i controlli, in particolare nei confronti dei professionisti. E’ indubbio, infatti, che attraverso le modifiche apportate si rendono più forti i poteri di indagine bancaria, con tutte le conseguenze che ne possono derivare per i contribuenti, in particolare per i professionisti, dove in ogni caso i controlli bancari possono essere di ausilio per una ricostruzione sintetica del reddito, ex art. 38 del D.P.R. n. 600/1973.
2 La vecchia formulazione normativa aveva portato a ritenere che destinatari della richiesta fossero solo le società fiduciarie di gestione, le cd. società dinamiche, che si occupano del patrimonio del sfiduciante e non anche le società fiduciarie di amministrazione, le cd. società statiche di cui alla legge n. 1939/1996, che svolgono attività di custodia di beni per conto terzi e di rappresentanza di portatori di azioni e obbligazioni. Il legislatore supera così il contrasto interpretativo, adeguandosi al parere del Consiglio di Stato del 1° luglio 2003, n. 2345, che richiedeva un intervento normativo, prevedendo un trattamento uniforme tra segreto fiduciario e segreto bancario.
3 Sul tema cfr. Cass. Sez. I, Sent. n. 11094 del 6.10.1999, emessa il 3.6.1999, che ritiene, invece, applicabile anche ai professionisti autonomi la norma che considera compensi i prelevamenti e gli importi riscossi dei quali non viene indicato il beneficiario
4 Nel corso di “ Telefisco 2005” è stato precisato che la decorrenza posticipata investe solo le modalità di trasmissione dei dati e non i più penetranti poteri attribuiti agli uffici. “ Il dato testuale delle disposizioni modificate, nell’individuare i mezzi di trasmissione delle richieste del Fisco ammettono le modalità indicate dall’art. 60 del D.P.R. n. 600/71973 ovvero lo strumento della raccomandata con avviso di ricevimento, anche con riferimento ai poteri di recente istituzione. La previsione, cui segue quella che prescrive che lo scambio debba essere effettuato esclusivamente in via telematica, non avrebbe ragion d’essere se non potesse essere interpretata nel senso che, fin quando non entrerà in vigore l’obbligo di scambio telematico dei dati, trovano applicazione le ordinarie modalità di trasmissione anche con riguardo ai nuovi poteri, da ritenere operativi fin dal 1° gennaio 2005”.