Analisi delle problematiche relative ad errori od irregolarità nella fatturazione: quali sono gli obblighi e le responsabilità del cessionario (cioè di chi riceve o dovrebbe ricevere la fattura)? I casi di irregolarità della fattura, i casi errata applicazione delle esenzioni IVA.
Regolarizzazione in caso di acquisto senza regolare fattura
Ai sensi dell’art. 6, comma 8, del D.Lgs. 18.12.1997, n. 471, il cessionario o il committente che, nell’esercizio di imprese, arti o professioni, abbia acquistato beni o servizi senza che sia stata emessa fattura o con emissione di fattura irregolare da parte dell’altro contraente, è punito, fatta salva la responsabilità del cedente o del commissionario, con una sanzione amministrativa pari al 100% dell’imposta, con un minimo di lire cinquecentomila (euro 258), sempreché non provveda a regolarizzare l’operazione presentando all’ufficio fiscale, previo pagamento dell’imposta un documento in duplice esemplare nel quale siano riportate le indicazioni richieste dall’art. 21 del decreto IVA (tale obbligo va adempiuto entro 30 giorni dalla registrazione della fattura irregolare o dai 4 mesi decorrenti dalla data di effettuazione dell’operazione in caso di fattura omessa).
Se si tratta di regolarizzazione della fattura che comunque sia stata emessa, l’obbligo sussiste solamente per irregolarità emergenti dalla fattura stessa, relative ad esempio all’aliquota, nonché all’ammontare dell’imposta e dell’imponibile.
Il cessionario non deve quindi effettuare un vaglio sulla qualificazione giuridico-fiscale dell’operazione, verificandone il carattere imponibile o meno: tali indicazioni sono affermate nella ancora recente sentenza della Corte di Cassazione n. 26183 del 12.12.2014.
Ricorso per Cassazione in tema di regolarizzazione della fattura omessa o irregolare
Il contenzioso di merito nel caso in esame sorge da un avviso di accertamento volto a recuperare la maggiore imposta dovuta dalla società a titolo IVA, IRES ed IRAP per l’anno 2004, annullato dalla CTP con una sentenza poi parzialmente riformata dalla CTR della Puglia.
I primi due motivi del ricorso per cassazione fuoriescono dal presente contributo in quanto volti a far riscontrare la violazione dell’art. 172 del TUIR, nel testo all’epoca vigente, in relazione all’art. 360 c.p.c., c. 1, n. 3, nonché il vizio logico di motivazione della sentenza di merito, in relazione all’art. 360 c.p.c., c. 1, n. 5.
Ugualmente poco conferenti in relazione alla tematica della quale si occupa questo articolo sono il terzo e il quarto motivo di ricorso, con i quali la società ricorrente censurava la sentenza della CTR per violazione dell’art. 7, sesto comma, e dell’art. 9, c. 1, n. 6, del D.P.R. n. 633 del 1972, nonché per apparente vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., c. 1, nn. 3 e 5), in relazione al disconoscimento dell’esclusione dall’IVA per lavori di manutenzione svolti in un aeroporto.
Il sesto e settimo motivo sono invece riferiti alla falsa applicazione dell’art. 8 del D.Lgs. n. 546/1992 in relazione all’art. 360 c.p.c., c. 1, n. 3, nonché al vizio di omessa o insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c., c. 1, n. 5.
L’interesse verso la pronuncia della Suprema Corte, ai fini delle considerazioni che verranno svolte più avanti, si impernia quindi tutti sul quinto motivo del ricorso per cassazione, ritenuto fondato dai giudici di legittimità e riguardante la violazione dell’art. 6, c. 8, del D.Lgs. n. 471 del 1997, in relazione all’art. 360 c.p.c., c. 1, n. 3.
L’esame dei giudici verte quindi sul tema dell’obbligo di regolarizzazione della fattura omessa o irregolare da parte del cessionario / committente.
In particolare, l’irregolarità si intendeva riferita alla qualificazione dell’operazione come esente anziché come soggetta a IVA.
I chiarimenti forniti dalla Corte
Secondo quanto è affermato dalla Cassazione, nel rapporto contrattuale tra la società appaltatrice/committente e la società subappaltatrice/fornitrice, il soggetto di imposta è quest’ultima, che è pertanto tenuta a emettere fattura se la prestazione è assoggettata a IVA, nonché se essa è considerata dalla legge non imponibile.
Nella prima ipotesi (prestazione soggetta a IVA) sussistono a carico di tale soggetto sia gli obblighi formali che quelli di versamento dell’imposta (con obbligo di rivalsa), mentre nella seconda (prestazione non imponibile) la fornitrice è soggetta ai soli adempimenti formali.
Rispetto al rapporto tributario tra soggetto passivo ed Erario, il soggetto obbligato in rivalsa si pone come un terzo estraneo, giacché l’obbligo di rivalsa è n rapporto giuridico di diritto civile devoluto pertanto alla cognizione del giudice ordinario, del tutto autonomo e distinto rispetto a quello tributario.
In questo contesto il soggetto obbligato in rivalsa, cioè la società subappaltatrice/fornitrice, non può essere chiamato (escluso il caso di frode) a rispondere personalmente per eventuali inadempimenti dell’obbligazione tributaria che fa capo esclusivamente al soggetto passivo, ma può essere invece chiamato a rispondere sul piano sanzionatorio per la colpevole inosservanza di obblighi di condotta che, pur attenendo alla regolarità formale del rapporto privatistico con il cedente/prestatore (qual è l’obbligo di emissione della fattura), si riflettono all’esterno, sulla corretta attuazione del distinto rapporto tributario.
In particolare, secondo la legge (art. 6, c. 8, del D.Lgs. n. 471/1997), il cessionario/committente è tenuto a esercitare il controllo sulla regolarità formale dell’operazione effettuata con il cedente/prestatore in relazione alla fattura emessa da quest’ultimo. L’omissione di tale controllo costituisce illecito tributario.
Fermo restando l’obbligo del soggetto passivo di emettere fattura, cui è condizionata anche l’attuazione del rapporto privatistico avente a oggetto l’esercizio del diritto di rivalsa (art. 18, cc. 1 e 4, del D.P.R. n. 633/1972), il cessionario/committente deve verificare la regolarità formale dell’operazione in relazione:
a) alla mancata ricezione della fattura nei termini di legge;
b) alla ricezione di una fattura «irregolare».
Secondo quanto affermato dalla Corte:
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nella prima ipotesi (fattura omessa), la norma presuppone che il cessionario/committente abbia acquistato beni o servizi nell’esercizio di imprese, arti o professioni, richiedendo l’incontestata riconducibilità del rapporto intercorso tra le parti a una delle operazioni assoggettabili a IVA;
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nella seconda ipotesi (fattura irregolare), il controllo richiesto al cessionario/committente è intrinseco al documento, in quanto limitato alla regolarità formale della fattura e dunque alla verifica dei requisiti essenziali individuati dall’art. 21 del D.P.R. n. 633/1972. Requisiti tra i quali figurano i dati relativi alla natura, qualità, quantità dei beni e servizi, l’ammontare del corrispettivo, l’aliquota, l’ammontare della imposta e dell’imponibile, nonché l’effettiva annotazione sulla fattura di «operazione non imponibile» in quanto ricompresa nei servizi internazionali di cui all’art. 9, primo comma, n. 6), del decreto IVA.
L’irregolarità della fattura
Sempre secondo quanto osservato dalla Corte, dal tenore della norma sanzionatoria deve escludersi che sia richiesto al soggetto che riceve la fattura anche un controllo di natura sostanziale relativamente alla corretta qualificazione fiscale dell’operazione.
Il cessionario/committente insomma non è tenuto a verificare se l’operazione sia stata illegittimamente fatturata dall’emittente con annotazione di “non imponibilità”.
Quindi al concessionario/committente non può essere imputata l’erronea fatturazione dell’operazione qualificata “non imponibile”, ricadendo interamente sull’emittente l’errore valutativo, anche se indotto da terzi, incidente sul rapporto tributario.
La fattura è pertanto “irregolare”, nella prospettiva del cessionario/committente che deve controllare, solamente se non è completa di tutti gli elementi essenziali richiesti dall’art. 21 del D.P.R. n. 633/1972, art. 21.
Relativamente a questo punto quindi la sentenza della CTR è stata cassata, giacché dovrà essere applicato il principio di diritto enunciato dalla Cassazione,
“secondo cui, in tema di IVA, il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 41, comma 5, lett. b), …, poi abrogato dal DLgs. 18 dicembre 1997, n. 471, e sostituito dalle disposizioni dell’art. 6 di quest’ultimo, in base al quale il cessionario di un bene od il committente di un servizio, ricevendo fattura irregolare, è tenuto a “regolarizzare l’operazione”, con la presentazione di un documento integrativo contenente tutte le indicazioni prescritte dall’art. 21 e con il versamento dell’imposta dovuta, restando soggetto in caso d’omissione pure a sanzione pecuniaria, implica l’obbligo di supplire alle mancanze commesse dall’emittente in ordine all’identificazione dell’atto negoziale ed alla notizia dei dati di fatto fiscalmente rilevanti, non anche di controllare e sindacare le valutazioni giuridiche espresse dall’emittente medesimo, quando, in fattura recante l’annotazione di tutti i suddetti estremi, inserisca l’esplicita dichiarazione di non debenza dell’imposta (dichiarazione prevista dal comma 6 di detto art. 21), indipendentemente dalla questione della tassabilità o meno dell’operazione»”
(la Corte richiama al riguardo i precedenti costituiti da Cass. Sez. 5, Sentenza n. 1841 del 18/02/2000 e da Cass. Sez. 5, Sentenza n. 7681 del 16/05/2003).
La permanenza del diritto a detrazione
La disposizione normativa di riferimento, sopra più volte richiamata, pone a carico del cessionario/committente un obbligo di regolarizzazione in caso di fattura omessa/tardiva e un obbligo di verifica, che come affermato dalla Corte di Cassazione si limita al solo aspetto formale della fattura ricevuta (in caso di fattura irregolare).
Relativamente alla prima ipotesi (fattura omessa/tardiva integrata dal cessionario/committente), una precedente pronuncia della Corte (Cass. 16.5.2007, n. 11208) ha chiarito che il cessionario:
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è passibile di sanzioni amministrative se non sana la tardiva / omessa fatturazione a opera del cedente;
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non perde tuttavia il diritto di detrazione dell’IVA addebitata in rivalsa, purché provveda alla registrazione della fattura entro il termine previsto dalla legge ed eserciti la detrazione con la seconda dichiarazione utile.
In particolare, facendo richiamo alla pregressa giurisprudenza della sezione tributaria (Cass., Sez. trib., 22 ottobre 2001 n. 12878; id., trib., 3 agosto 2001 n. 10646; id., trib., 25 giugno 2001 n. 8656; id., 1^, 4 febbraio 1992 n. 1212), la Corte ha riaffermato che le disposizioni contenute negli artt. 21, 41 e 60 del decreto IVA, disciplinanti l’emissione delle fatture,
“non istituiscono affatto a carico del contravventore la ulteriore sanzione di carattere civilistico della irripetibilità di quanto versato”.
Il contribuente che quindi riceva in ritardo una fattura e non provveda alla regolarizzazione nei quattro mesi dal termine in cui la fattura stessa avrebbe dovuto essere emessa incorre soltanto nelle sanzioni specificamente contemplate per questa violazione ma non perde il diritto alla detrazione dell’IVA tutte le volte che provveda ad annotare la fattura entro il termine previsto a partire dal suo arrivo e a portarla in detrazione con la prima dichiarazione utile, ovvero con la dichiarazione riepilogativa annuale.
Non sembrano sussistere motivi affinché tale principio si applichi anche nell’ipotesi in cui il cessionario / committente ometta di regolarizzare la fattura irregolare.
Considerazioni di sintesi
Come si è visto, l’erronea fatturazione comporta dal punto di vista degli obblighi tributari una responsabilità diretta dell’emittente, mentre il suo «avente causa» (cessionario / committente) è solamente tenuto a un obbligo di regolarizzazione che contempla la verifica della correttezza formale del documento, mediante il controllo della presenza di tutti gli elementi normativamente previsti.
Tale soggetto non è invece tenuto a validare o a sindacare le valutazioni giuridiche compiute dall’emittente relativamente alla non imponibilità dell’operazione sottesa al documento.
Lo stesso avente causa è tenuto all’integrazione della fattura se questa non risulta emessa entro quattro mesi dall’operazione.
In ogni caso, il mancato adempimento da parte del cessionario/committente non comporta la perdita per lo stesso del diritto a detrazione.
La sentenza di fine 2014, qui ripresa e commentata, ha esplicitato i limiti oggettivi della condotta esigibile dal cessionario/committente in base alle disposizioni di legge, le quali distinguono le seguenti due ipotesi:
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fatturazione non eseguita dal cedente/prestatore: l’elemento rilevante è il riferimento cronologico, giacché il controllo esigibile dal cessionario/committente si limita all’osservanza da parte del cedente/prestatore del termine entro il quale la fattura deve essere rilasciata;
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ricevimento di fattura irregolare: il controllo richiesto al cessionario/committente è intrinseco al documento, in quanto limitato alla regolarità formale della fattura e dunque alla verifica dei requisiti essenziali individuati dall’art. 21 del D.P.R. n. 633/1972, tra cui i dati relativi alla natura, qualità, quantità dei beni e servizi, l’ammontare del corrispettivo, l’aliquota, l’ammontare dell’imposta e dell’imponibile e l’eventuale annotazione sulla fattura di “operazione non imponibile”.
In coerenza con quanto già precisato in precedenti pronunce giurisdizionali (cfr. Cass. 18.2.2000, n. 1841), la Cassazione ha stabilito che il cessionario/committente non può essere ritenuto responsabile per l’errata fatturazione nei suoi confronti di un’operazione non imponibile, atteso che la responsabilità di ciò ricade soltanto sull’emittente, e non può essere considerata formalmente irregolare la relativa fattura emessa, in quanto completa di tutti gli elementi richiesti dal già citato art. 21 del decreto IVA.
29 aprile 2015
Fabio Carrirolo