il nuovo regime delle società di comodo, da applicare alle società in perdita fiscale per almeno 3 esercizi consecutivi, rischia di avere effetti fiscali particolarmente penalizzanti per i contribuenti in un momento di crisi economica generalizzata
Aspetti generali
Da quando è divenuto operante il regime fiscale speciale riservato alle società non operative, questa particolare tipologia di soggetti – caratterizzati solamente, rispetto alle altre società commerciali, da un basso rapporto percentuale tra gli asset detenuti e i ricavi prodotti – ha sempre avuto un trattamento sfavorevole sia sotto il profilo reddituale (obbligo di adeguamento al reddito minimo presunto) sia sotto quello dell’IVA (vincoli all’utilizzo del credito).
In epoca recente, poi, il particolare «sospetto» del legislatore verso gli indizi di indebito utilizzo degli schemi societari a fini di vantaggio fiscale ha determinato l’inclusione nel «box» delle società non operative anche delle società che manifestano perdite fiscali per più periodi di imposta. A tale riguardo, la modificazione delle regole di deducibilità delle perdite nel reddito di impresa sembra rendere opportuna una ricostruzione generale del sistema, a fini di coordinamento e per meglio comprendere come possano combinarsi le disposizioni relative a perdite e società non operative con le previsioni riguardanti l’interpello «disapplicativo», e quali siano la portata e gli effetti di quest’ultimo nel nuovo contesto normativo.
Le disposizioni di modifica del 2011 in materia di società di comodo
I commi da 36-quinquies a 36-duodecies dell’articolo 2 del D.L. 13.8.2011, n. 138, convertito dalla L. 14.9.2011, n. 148 (c.d. «manovra di ferragosto» 2011), recano norme in materia di società di comodo:
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disponendo per tali soggetti una maggiorazione del 10,5% sull’IRES;
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estendendo l’applicazione della maggiorazione alle società che presentano dichiarazioni in perdita fiscale per tre periodi d’imposta consecutivi.
Le nuove disposizioni, ai sensi del comma 36-novies dell’articolo, trovano applicazione a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. (cioè dal 2012).
Nella determinazione degli acconti dovuti per il periodo di imposta di prima applicazione deve assumersi, quale imposta del periodo precedente, quella che si sarebbe determinata applicando la nuova disciplina.
L’applicazione della normativa speciale in materia di società di comodo, nonché della maggiorazione IRES, è estesa – per effetto dei commi da 36-decies a 36-duodecies – alle società che presentano dichiarazioni in perdita fiscale per tre periodi di imposta consecutivi (a partire dal quarto periodo di imposta).
Ai sensi del comma 36-undecies, la condizione di società non operativa ricorre anche se per tre periodi di imposta consecutivi le società e gli enti si trovano per due periodi di imposta in perdita fiscale e in uno abbiano dichiarato un reddito inferiore all’ammontare determinato ai sensi dell’art. 30, terzo comma, della L. n. 724/1994 (c.d. reddito minimo presunto).
Anche queste previsioni si applicano con decorrenza dal periodo di imposta 2012, e nella determinazione degli acconti dovuti per il periodo di prima applicazione si assume quale imposta del periodo precedente quella che si sarebbe determinata applicando la nuova disciplina.
La risposta governativa all’interrogazione parlamentare 5-05309 ha confermato l’applicazione «immediata» delle novità, dal 2012 (verifica sul triennio 2009/10/11 – modello Unico 2013).
La nuova normativa sulle perdite
La disciplina delle società non operative, fortemente connotata da preoccupazioni di marca antielusiva (sfavore per l’utilizzo di strutture societarie a fini fiscali, slegati dall’effettivo esercizio di attività economica effettiva), si estende fino a ricomprendere le società in perdita «sistemica», ancorché di fatto «operative», in ragione – così sembra – della presunzione espressa dalla norma, che la perdita sia stata alimentata da un comportamento «malizioso» del contribuente, per azzerare o ridurre l’imponibile fiscale.
Prima di comprendere quali siano le circostanze (la «ragioni oggettive») valutabili in seno a una procedura di disapplicazione, occorre a tale riguardo esaminare brevemente le innovazioni che nel 2011 hanno interessato proprio il regime di deducibilità delle perdite fiscali.
La modifica di natura sostanziale riguarda il primo periodo del primo comma dell’art. 84 del TUIR, il quale ora dispone che: «la perdita di un periodo d’imposta, determinata con le stesse norme valevoli per la determinazione del reddito, può essere computata in diminuzione del reddito dei periodi d’imposta successivi in misura non superiore all’ottanta per cento del reddito imponibile di ciascuno di essi e per l’intero importo che trova capienza in tale ammontare».
Da un lato è stato quindi rimosso il limite quinquennale di riporto in avanti delle perdite, e dall’altro si è stabilito che la perdita può essere computata in diminuzione del reddito imponibile di ciascun periodo successivo in misura non superiore all’80 per cento dello stesso (e non più integralmente).
Sono invece rimaste invariate le previsioni riguardanti:
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le modalità di fruizione della perdita in presenza di regimi di esenzione degli utili o dei proventi;
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la possibilità di utilizzare la perdita in misura tale che l’imposta corrispondente al reddito imponibile risulti compensata da eventuali crediti d’imposta, ritenute alla fonte a titolo di acconto, versamenti in acconto ed eccedenze: la perdita può pertanto essere riportata anche in misura inferiore all’80% del successivo reddito, qualora il 20% di quest’ultimo non risulti sufficiente ad assorbire i citati crediti, ritenute, versamenti ed eccedenze.
L’effetto della modificazione normativa è di provocare un’anticipazione della tassazione che verrebbe recuperata negli anni successivi: dal punto di vista contabile, secondo la posizione espressa dall’IRDCEC, «saranno registrate maggiori imposte correnti (pari all’IRES sul 20% dell’imponibile) e un minor “rilascio” di imposte anticipate corrispondenti all’IRES sulla perdita non utilizzabile nell’esercizio».
Le nuove norme si rendono applicabili ai soggetti IRES, mentre è rimasto invariato l’art. 8, c. 3, del TUIR, riguardante il regime delle perdite dei soggetti IRPEF in regime di contabilità ordinaria.
La dicotomia tra i regimi di deducibilità delle perdite in campo IRES e IRPEF fa sì che: per gli uni (soggetti IRES) le perdite che sono oggetto di «monitoraggio» anche ai fini della valutazione di operatività siano deducibili solamente previa verifica del limite dell’80% rispetto ai ricavi di periodo; per i secondi (soggetti IRPEF), le perdite, perlomeno nel triennio sottoposto a monitoraggio (che rientra nel quinquennio di deducibilità), risultano deducibili senza ulteriori verifiche di percentuali.
Ulteriori complicazioni possono aversi in presenza di operazioni straordinarie, dato che in tale ambito le perdite vengono sottoposte anche a una diversa valutazione di operatività e al limite del patrimonio netto della società che riporta le perdite stesse (art. 172, settimo comma, TUIR).
Per quanto attiene alle perdite IRES illimitatamente riportabili anche nel regime previgente, cioè a quelle che si generano nei primi tre periodi di imposta, la modificazione apportata all’art. 84, secondo comma, del TUIR, è di natura meramente formale, consistendo in un intervento di coordinamento alla mutata formulazione del primo comma dello stesso art. 84.
Pertanto, nei casi di perdite maturate nei primi tre periodi d’imposta non trova applicazione la limitazione dell’utilizzo della perdita nella misura dell’80% del reddito dei periodi di imposta successivi. In definitiva, il riporto delle perdite dei primi tre periodi rimane pieno e illimitato nel tempo, purché esse «si riferiscano ad una nuova attività produttiva».
Le imprese in perdita sistemica
La presenza di perdite fiscali che interessino più periodi di imposta, come sopra accennato, viene intesa dal legislatore come sintomatica di possibili abusi.
Con un’integrazione normativa apportata nel 2010, in buona sostanza, le imprese in «perdita sistemica» sono state incluse entro un ideale «box» di controlli, che devono essere riservati a tali soggetti, senza che di per sé la situazione di perdita dia luogo a un’attività di recupero a imposizione: è tuttavia evidente che il semplice incremento dei controlli è idoneo a generare un incremento degli accertamenti, e che detta situazione (perdita sistemica) può essere messa a fuoco sotto il profilo dell’antieconomicità del comportamento imprenditoriale (nozione idonea a fondare le motivazioni di un avviso di accertamento, come dimostra una consolidata linea giurisprudenziale).
Le disposizioni in commento sono intervenute recando non un «potenziamento» delle attività investigative fiscali, né un’inedita metodologia accertativa, bensì, semplicemente, una previsione della quale tener conto in sede di programmazione delle attività, sicché è stata riservata una speciale attenzione alle imprese che presentano dichiarazioni fiscali in perdita per almeno due periodi, non determinate da compensi erogati ad amministratori e soci (art. 24, D.L. 31.5.2010, n. 78).
Anche a tali fini, Agenzia delle Entrate e G.d.F. devono predisporre e coordinare dei piani di intervento annuali nei confronti delle imprese che non sono soggette né a studi di settore né a tutoraggio, elaborati sulla base di analisi di rischio a livello locale e riguardanti almeno un quinto della platea di riferimento.
L’attività dell’Amministrazione può riguardare il controllo relativo alla reale esistenza e consistenza delle perdite al fine di individuare le eventuali perdite fittizie, derivanti da indebite deduzioni di spese o da omessa contabilizzazione di ricavi, oltre che l’esatta quantificazione delle stesse e il rispetto dei vincoli temporali (artt. 8 e 84 del TUIR).
La condizione di «impresa in perdita sistemica», tuttavia, non individua dei soggetti che si assumono come «violatori» di particolari norme tributarie, né può valere, semplicemente, a fondare le motivazioni di un avviso di accertamento, ma rappresenta semplicemente un orientamento del Fisco volto a considerare con particolare attenzione i fenomeni in parola.
I problemi di decorrenza temporale delle nuove disposizioni sulle società non operative
La norma sulle perdite sistemiche (che crea nuove ipotesi di applicazione delle disposizioni speciali, oltretutto legate ora a una super-tassazione IRES) si aggiunge alle previsioni dell’art. 30 della L. n. 724/1994 in materia di società non operative, imperniata sul mancato raggiungimento dei ricavi minimi richiesti dal c.d. test di operatività.
Talune società potrebbero trovarsi in entrambe le situazioni.
A tale riguardo, non è chiaro se queste società (non operative «classiche» che sono contemporaneamente «non operative» a causa delle perdite fiscali) debbano chiedere la disapplicazione per entrambe le ipotesi, ovvero se una sola istanza sia sufficiente a fornire i chiarimenti richiesti dalle norme concorrenti, e possa essere istruita dall’Agenzia delle Entrate valorizzando: 1) per il mancato raggiungimento dei ricavi minimi → le ragioni oggettive che hanno lo hanno impedito; 2) per le perdite fiscali → la formazione delle stesse, con riguardo a inerenza, certezza e determinabilità, nonché competenza, dei componenti reddituali negativi che le hanno causate (o comunque della particolare situazione economica di riferimento, evidentemente contraddistinta da un’insufficienza dei componenti positivi di reddito rispetto a quelli negativi).
La soluzione consistente nella presentazione di due distinte richieste all’Agenzia delle Entrate sembrerebbe essere consigliabile, giacché le due ipotesi (non operative classiche e in perdita) attengono alla valutazione di diversi ambiti temporali.
Il mancato raggiungimento dei ricavi minimi ai fini del test di operatività va infatti riferito al periodo di imposta X che è il «target» del calcolo (ad esempio, per Unico 2013, al 2012), mentre le situazioni oggettive da verificare con riguardo alle perdite dovrebbero riguardare il triennio 2009 – 2010 – 2011.
La possibilità di far valere le cause già note di disapplicazione automatica
È noto che sia la legge finanziaria del 2008 (L. 24.12.2007, n. 244), sia il successivo provvedimento direttoriale del 14.2.2008, hanno introdotto nella disciplina delle società non operative delle cause di disapplicazione operanti in via automatica, cioè senza che sia necessario presentare alcuna istanza specifica.
Nel nuovo contesto normativo dovrebbero operare le cause già «codificate» di disapplicazione automatica, giacché:
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secondo il comma 36-decies, secondo periodo, dell’articolo 2 del D.L. n. 138/2011, «restano ferme le cause di non applicazione della disciplina in materia di società non operative di cui al predetto articolo 30 della legge n. 724 del 1994»;
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il comma 4-ter dell’art. 30 stabilisce che «con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate possono essere individuate determinate situazioni oggettive, in presenza delle quali è consentito disapplicare le disposizioni del presente articolo, senza dover assolvere all’onere di presentare l’istanza di interpello di cui al comma 4-bis».
L’omessa presentazione dell’istanza e il mancato adeguamento alla risposta
L’«interpello disapplicativo» in materia di società di comodo, che viene a configurarsi come «obbligatorio» sulla base degli indirizzi forniti dall’Agenzia delle Entrate con la propria circolare 14.6.2010, n. 32/E, consente ai contribuenti di affermare e dimostrare la sussistenza di condizioni oggettive (cioè non attribuibili alla libera determinazione dell’«imprenditore»), le quali possono consentire la disapplicazione della norma, previa valutazione discrezionale da parte del direttore regionale.
È a tale riguardo opportuno rilevare che la corretta presentazione dell’istanza di disapplicazione ha luogo se la stessa viene inoltrata all’Agenzia almeno 90 giorni prima della scadenza del termine ordinario di presentazione di Unico, con riferimento alla dichiarazione del periodo di imposta per il quale la disapplicazione è richiesta.
La mancata attivazione della procedura di disapplicazione è vista dall’Agenzia come un’ipotesi di sottrazione agli uffici di elementi utili ai fini del controllo, e per tale ragione – secondo la predetta circolare n. 32/E – suscettibile di determinare l’applicazione sia della sanzione di cui all’art. 11, primo comma, lett. a), del D. Lgs. 18.12.1997, n. 471 (omissione di comunicazioni prescritte dall’amministrazione finanziaria), da 258 a 2065 euro, sia – ove non sussistano le condizioni in grado di legittimare la disapplicazione – con le sanzioni per infedele dichiarazione, nella misura massima prevista dalla legge (il 200%!).
È considerato in modo meno sfavorevole il comportamento del contribuente (società) che, avendo ottenuto risposta negativa all’istanza, regolarmente presentata, non si siano adeguati a tale risposta: quest’ultima rimarrebbe infatti non vincolante.
I problemi legati all’impugnazione del parere
Si osserva a tale riguardo che, mentre la presentazione dell’istanza di disapplicazione verrebbe a configurarsi come «obbligatoria», risulta ancora poco chiaro quale sia la natura della risposta resa dal direttore regionale dell’Agenzia delle Entrate, che secondo il D.M. attuativo della procedura di disapplicazione ha natura di provvedimento, mentre secondo la posizione dell’Agenzia delle Entrate ha natura di semplice parere.
Dalla risoluzione di questa questione discende la possibilità di concreta tutela da parte dei contribuenti; infatti: 1) di fronte a un provvedimento (che peraltro in caso di inerzia dell’Amministrazione comporterebbe l’operatività del silenzio-assenso), sicuramente occorrerebbe impugnare il provvedimento stesso come «atto presupposto» rispetto a un successivo accertamento; 2) di fronte a un semplice parere, occorrerebbe invece attendere ed eventualmente impugnare il successivo atto di accertamento.
La Corte di Cassazione si sta misurando con le predette problematiche, sostanzialmente affermando che i provvedimenti direttoriali devono essere impugnati, ma che l’impugnazione è inammissibile se essi non contengono statuizioni nel merito (risolvendosi in semplici declaratorie di improcedibilità o – si ritiene – anche di inammissibilità1). Infatti:
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secondo Cass. 15.4.2011, n. 8663 → «le determinazioni del direttore regionale delle Entrate sulla istanza del contribuente volta ad ottenere il potere di disapplicazione di una norma antielusiva ai sensi dell’art. 37-bis, 8° comma, DPR n. 600 del 1973, costituiscono presupposto necessario ed imprescindibile per l’esercizio di tale potere. Le determinazioni in senso negativo costituiscono atto di diniego di agevolazione fiscale e sono soggette ad autonoma impugnazione ai sensi dell’art. 19, I comma, lett. h del D.Lgs. n. 542 del 1992. Tale atto rientra tra quelli tipici previsti come impugnabili da detta disposizione normativa, e pertanto la mancanza di impugnazione nei termini di legge decorrenti dalla comunicazione delle determinazioni al contribuente ai sensi dell’art. 1, comma 4, D.M. 19.6.1998, n. 259, rende definitiva la carenza del potere di disapplicazione della norma antielusiva in capo all’istante. Il giudizio innanzi al giudice tributario a seguito della impugnazione si estende al merito delle determinazioni impugnate»;
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secondo Cass. Cass. 13.4.2012 n. 5843 → la risposta resa dall’Agenzia delle Entrate su interpello del contribuente in tema di società non operative è impugnabile solamente se contiene affermazioni sul merito della pretesa, giacché solo in tale ipotesi si è in presenza di un atto impositivo, nella specie di un diniego di agevolazione. Se, invece, la DRE dichiara improcedibile l’istanza perché la fattispecie non è stata compiutamente descritta, la risposta non può essere impugnata. La tutela giurisdizionale dovrebbe quindi esperirsi in maniera piena nel ricorso avverso l’accertamento.
7 maggio 2012
Fabio Carrirolo
1 Le ipotesi di improcedibilità, previste dalla prassi pregressa dell’Agenzia delle Entrate, sono state tutte trasformate in ipotesi di inammissibilità dalla circolare n. 32/E del 2010.