Fatture, ordini via mail e mastrini non bastano a dimostrare una cessione intracomunitaria e ottenere l’esenzione IVA. Serve documentazione più solida e completa, capace di provare il reale trasferimento della merce oltre confine. Vediamo cosa richiede la giurisprudenza e come tutelarsi in caso di controlli.
Prova delle cessioni intracomunitarie: cosa serve per evitare l’IVA
In caso di cessioni intracomunitarie, documenti quali gli ordini della merce via mail, le fatture, le dichiarazioni Intrastat, e i mastrini di cassa da cui si evincono le somme incassate in contanti, sono inidonei a fornire la prova effettiva della cessione.
Documenti quali lettere di spedizione fondate sulla Convenzione concernente il contratto di trasporto internazionale di merci su strada e documenti amministrativi elettronici che accompagnano la circolazione di beni in sospensione dall’accisa possono essere presi in considerazione per dimostrare che, al momento dell’importazione in uno Stato membro, i beni in questione sono destinati a essere spediti o trasportati verso un altro Stato membro solo laddove siano presentati in tale momento e contengano tutte le informazioni necessarie, ivi compresa la data della consegna.
Il caso: contestazione della non imponibilità di operazioni intracomunitarie
La Corte di Cassazione ha chiarito alcuni importanti profili probatori in caso di cessioni intracomunitarie.
Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate aveva notificato al contribuente un avviso di accertamento IVA per l’anno di imposta 2013, contestando la non imponibilità di cessioni asseritamente intracomunitarie. Il contribuente proponeva ricorso, sostenendo, per quanto di interesse, l’infondatezza della pretesa essendo le operazioni intracomunitarie reali. I giudici di merito accoglievano la tesi del contribuente e annullavano l’avviso.
L’Ufficio ricorreva infine in Cassazione che ne accoglieva il ricorso e cassava con rinvio. Il procedimento veniva quindi riassunto dinanzi alla Corte di