L’estinzione di una società non sempre chiude ogni partita. Tra crediti non riscossi e debiti inevasi, i soci possono ritrovarsi protagonisti inattesi. Ma possono agire per ottenere rimborsi fiscali per conto della società? E con quali limiti? Un’indagine sul confine tra responsabilità, legittimazione e successione giuridica.
Cancellazione societaria e crediti d’imposta: il socio può agire?
L’estinzione societaria apre questioni tanto sui debiti non soddisfatti quanto sui crediti non riscossi, che possono trasmettersi ai soci. Nelle vicende estintive delle società di capitali, la presenza di crediti d’imposta non ancora riscossi al momento della cancellazione pone interrogativi di primaria rilevanza sia sul piano della legittimazione attiva sia sotto il profilo della natura giuridica della successione nei rapporti ancora pendenti.
La prassi professionale evidenzia con crescente frequenza situazioni in cui, all’esito della cancellazione della società dal registro delle imprese, residuino in capo alla compagine sociale posizioni creditorie verso l’Erario – tipicamente rappresentate da crediti d’imposta risultanti dalle dichiarazioni fiscali, non ancora rimborsati né utilizzati in compensazione. Tali fattispecie rendono necessario individuare il corretto titolo giuridico che consenta al socio – singolarmente o congiuntamente – di attivarsi per ottenere la restituzione delle somme dovute.
L’interrogativo di fondo può dunque essere così formulato: il socio di una società ormai estinta, cancellata dal registro delle imprese, è legittimato a proporre istanza di rimborso per i crediti d’imposta maturati dalla società prima dell’estinzione? E, correlativamente, tale legittimazione è subordinata alla condizione dell’avvenuto riparto in sede di liquidazione, ovvero prescinde dall’effettiva percezione di somme?
Quadro normativo di riferimento
L’art. 2495 c.c., nella sua formulazione vigente per effetto delle modifiche introdotte dall’art. 40, comma 12 ter, lett. b), del D.L. 16 luglio 2020, n. 76 (conv. in Legge 11 settembre 2020, n. 120), dispone:
“Ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi”.
La norma, pur rubricata come disposizione di chiusura della fase liquidatoria, assume rilievo nella ricostruzione della sorte dei rapporti giuridici pendenti all’atto della cancellazione della società dal registro delle imprese. Essa configura un meccanismo di responsabilità post-estintiva, ma è stata letta in chiave evolutiva dalla giurisprudenza – a partire dalle Sezioni Unite nn. 6070, 6071 e 6072 del 2013 – come veicolo di un vero e proprio fenomeno successorio “sui generis”.
In particolare, la Corte di Cassazione, nell’ordinanza n. 20840/2023, ha ribadito che, con l’estinzione della società, “si realizza un fenomeno successorio tra la società estinta e i soci”, i quali subentrano ope legis nei rapporti giuridici non definiti, “ciò indipendentemente dall’attribuzione di utili in sede di liquidazione”. Il fondamento di tale principio è rinvenuto nella ratio della disposizione, volta a impedire che l’estinzione dell’ente, quale atto unilaterale sottratto al c