La Cassazione torna sul tema della deducibilità dei compensi degli amministratori, chiarendo i limiti del cumulo tra carica sociale e lavoro subordinato. Un confine sottile tra ruolo gestionale e rapporto di dipendenza, che può costare caro in fase di accertamento fiscale.
Soci amministratori e dipendenti: quando il doppio ruolo rende il compenso indeducibile
In tema di imposte sui redditi, sussiste l’assoluta incompatibilità tra la qualità di lavoratore dipendente di una società di capitali e la carica di presidente del consiglio di amministrazione o di amministratore unico della stessa, in quanto il cumulo nella stessa persona dei poteri di rappresentanza dell’ente sociale, di direzione, di controllo e di disciplina rende impossibile quella diversificazione delle parti del rapporto di lavoro e delle relative distinte attribuzioni che è necessaria perché sia riscontrabile l’essenziale ed indefettibile elemento della subordinazione, con conseguente indeducibilità dal reddito della società del relativo costo da lavoro dipendente.
Il caso: accertamento induttivo
La Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sul sempre controverso tema della deducibilità dei compensi del socio amministratore/dipendente.
Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate aveva notificato ad una Srl un avviso di accertamento, con il quale procedeva alla ricostruzione induttiva del reddito della società ai fini IRES ed IVA, disconoscendo varie tipologie di costi, tra cui anche, per quanto di interesse, quelli per compensi degli amministratori.
La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva parzialmente il ricorso, confermando l’avviso di accertamento solo con riferimento a tale tipo di rilievo.
La società proponeva appello, accolto sul punto dalla Commissione Tributaria Regionale.
Avverso tale decisione l’Amministrazione finanziaria proponeva infine ricorso per cassazione, contestando l’erroneità della pronuncia laddove aveva affermato la deducibilità del costo per i com