Un cardiochirurgo ha denunciato il suo superiore via mail, coinvolgendo i colleghi, e si è ritrovato licenziato ma la Cassazione ha ribaltato la decisione. Scopriamo perché una comunicazione interna può fare la differenza nel difendere i propri diritti sul lavoro.
Quando una mail può salvare dal licenziamento: il caso di un medico vittima di mobbing
I comportamenti dannosi in ufficio non sono soltanto quelli dell’impiegato distratto o negligente, o di chi dimentica di svolgere un compito importante entro una scadenza ben precisa; quando il limite costituito dal rispetto della dignità individuale è travalicato, gli atti persecutori nei confronti di uno o più dipendenti integrano il cosiddetto mobbing.
Chi ne è colpito sperimenta una forma di violenza fisica e/o verbale sul luogo di lavoro, divenendo vittima di una sistematica vessazione mirata a emarginare la vittima.
Al di là delle cause alla base del mobbing, come ad es. dinamiche di gruppo tossiche, invidia, antipatia, scarico di stress o discriminazione, colui che subisce gli atti persecutori potrà difendersi – anzitutto – confrontandosi con i superiori e con gli addetti dell’ufficio HR. Ma potrà farlo anche inviando una mail allo stesso autore delle vessazioni, per segnalargli la situazione ormai divenuta insostenibile e sollecitarlo a porvi rimedio.
La Cassazione lo ha recentemente confermato, stabilendo che il reclamo interno del dipendente non può giustificare la “contromossa” del licenziamento disciplinare, ma a patto che siano rispettate alcune condizioni.
Vediamo più da vicino di che si tratta e perché l’ordinanza n. 3627 della Cassazione di pochi giorn