I patti parasociali sono strumenti essenziali nelle società di capitali, poiché permettono ai soci di regolare i rapporti interni ed esterni senza modificare lo statuto ufficiale. Utilizzati per stabilizzare il controllo e proteggere gli interessi dei soci, sono particolarmente rilevanti in operazioni strategiche come il venture capital e nelle società con azionisti di minoranza.
Ma in cosa consistono davvero questi contratti? Possono riguardare tutte le società? Analizziamo i casi più tipici di patti parasociali in uso…
I patti parasociali sono uno strumento giuridico di rilievo nelle società di capitali, in quanto consentono ai soci di regolare i rapporti interni ed esterni alla società, senza intaccare le regole formali previste dallo statuto o dall’atto costitutivo. Il loro ruolo si esplica principalmente nella stabilizzazione degli assetti proprietari e del governo societario, garantendo una protezione agli interessi dei soci, specialmente in contesti di particolare rilevanza economica o strategica, come nelle operazioni di venture capital o nelle società con azionisti di minoranza rilevanti.
A differenza delle pattuizioni statutarie, i patti parasociali non incidono sulla struttura formale della società, ma hanno esclusivamente natura obbligatoria e vincolano soltanto le parti che vi aderiscono, senza produrre effetti nei confronti di terzi o della società stessa. Essi possono riguardare diverse materie, tra cui la regolazione del diritto di voto, il trasferimento delle partecipazioni e la gestione della governance societaria. Tra le clausole più diffuse troviamo i sindacati di voto e di blocco, che permettono di limitare la libera circolazione delle quote o azioni e disciplinare l’esercizio del diritto di voto in assemblea.
L’importanza dei patti parasociali è emersa in maniera significativa con la riforma del diritto societario del 2003 (D.Lgs. n. 6 del 2003), che ha introdotto per la prima volta una regolamentazione specifica per tali accordi, distinguendoli chiaramente dalle clausole statutarie e definendone i limiti di validità e di durata. Questa disciplina si pone in continuità con quella prevista per le società quotate nel Testo Unico della Finanza (TUF), in particolare per quanto riguarda gli obblighi di pubblicità e trasparenza.
Nell’ambito del diritto comparato, i patti parasociali trovano ampio utilizzo anche in altre giurisdizioni, come negli Stati Uniti e nel Regno Unito, dove sono visti come uno strumento per proteggere gli interessi degli investitori, specialmente nelle società a capitale diffuso. Tuttavia, le differenze normative tra i vari ordinamenti possono influire sulla loro applicabilità e sugli effetti giuridici nei confronti dei terzi, rendendo necessario un esame attento in contesti di operazioni transnazionali.
Patti parasociali: origini storiche e sviluppo normativo
I patti parasociali affondano le loro radici nella prassi negoziale sviluppatasi nei mercati azionari di metà Novecento, periodo in cui i soci delle società di capitali iniziarono a utilizzare questi strumenti per regolamentare in modo flessibile i rapporti tra loro, senza alterare l’assetto formale degli statuti sociali. Tali accordi, pur non essendo formalizzati nella legislazione fino a tempi più recenti, sono stati fin dall’inizio considerati come strumenti efficaci per stabilizzare il controllo societario e tutelare gli investimenti, specie in contesti in cui era necessario evitare che la struttura della proprietà si frammentasse o che vi fosse un’ingerenza esterna non desiderata.
La riforma del diritto societario del 2003 (D.Lgs. n. 6/2003), ha introdotto una disciplina organica dei patti parasociali, formalizzandone l’uso e definendo le modalità d