Quali sono i limiti che i soci possono porre alla circolazione delle partecipazioni sociali, che di regola sarebbero liberamente trasferibili? Analizziamo le clausole degli statuti societari: divieto trasferimento, clausole di prelazione e gradimento.
Le partecipazioni sociali sono liberamente trasferibili, salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo, e possono formare oggetto di una compravendita, di una permuta, di un atto di conferimento in società, di una rendita vitalizia o di una dazione in pagamento di un debito.
La cessione ha ad oggetto il trasferimento della quota di partecipazione societaria e, quindi, i diritti e gli obblighi da essa derivanti, dal dante causa all’avente causa.
Pertanto, si può affermare, salve le limitazioni accennate, che vi è la piena libertà per i soci delle società di capitali di trasferire onerosamente o gratuitamente le partecipazioni, contrariamente a quanto accade nelle società di persone.
Questa differente modalità di circolazione delle quote trova la sua ragione nella diversa figura che assume il socio nelle varie tipologie societarie: è al centro della vita sociale nelle società di persone; un investitore nelle società di capitali.
La figura del socio nelle società di capitali
Come detto, nelle società di capitali il socio è un soggetto investitore; per cui, ai fini della compagine societaria, è indifferente colui che riveste tale qualifica. Difatti, tale circostanza, diversamente da quanto accade nelle società di persone, non influisce sull’atto costitutivo.
Ciononostante, in alcune circostanze si assiste a disaccordi tra i soci che si traducono in danni economici e gestionali per l’impresa. Il legislatore, al fine di evitare, o quantomeno arginare tali fenomeni, ha previsto, anche per le società di capitali, la possibilità di introdurre limiti ai trasferimenti delle partecipazioni.
Le previsioni del Codice civile
Le limitazioni imposte dal codice civile in tema di trasferibilità delle quote sociali sono dettate dall’art. 2469, che così dispone:
<< Le partecipazioni sono liberamente trasferibili per atto tra vivi e per successione a causa di morte, salvo contraria disposizione dell’atto costitutivo.
Qualora l’atto costitutivo preveda l’intrasferibilità delle partecipazioni o ne subordini il trasferimento al gradimento di organi sociali, di soci o di terzi senza prevederne condizioni e limiti, o ponga condizioni o limiti che nel caso concreto impediscono il trasferimento a causa di morte, il socio o i suoi eredi possono esercitare il diritto di recesso ai sensi dell’articolo 2473.
In tali casi l’atto costitutivo può stabilire un termine, non superiore a due anni dalla costituzione della società o dalla sottoscrizione della partecipazione, prima del quale il recesso non può essere esercitato>>.
Dalla lettera della norma è facilmente riscontrabile che il codice, di fatto, non indica alcuna causa di intrasferibilità della partecipazione sociale, limitandosi a prevedere che tale istituto è regola