Le indagini bancarie nei confronti di una società a responsabilità limitata possono essere estese ai conti correnti dei soci della stessa solo se sussistano elementi indiziari per far ritenere che tali conti sono stati utilizzati per occultare operazioni fiscalmente rilevanti.
E’ questo quanto ha statuito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 33596 del 18 dicembre 2019, in tema di indagini finanziarie a terzi.
Estensione a terzi delle indagini finanziarie: il fatto
La Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione distaccata di Messina, accoglieva l’appello proposto dalla Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Messina, che aveva accolto il ricorso proposto da una s.r.l., avverso gli avvisi di accertamento emessi nei suoi confronti per Irpeg-Ilor del 1997, per Iva, Irpeg e Irap 1998 e per Iva, Irpeg e Irap 1999.
In particolare, per l’Agenzia delle entrate i maggiori ricavi accertati emergevano da accrediti ed addebiti sui conti correnti dei soci, mentre la Commissione provinciale aveva accolto il ricorso della società in assenza di motivazione dell’atto di autorizzazione delle indagini bancarie.
Le ragioni della decisione
Sulla questione relativa alla possibilità da parte dell’Agenzia delle entrate di estendere gli accertamenti bancari di cui all’art. 32 d.p.r. 600/1973 e all’art. 51 comma 2 n. 2 d.p.r. 633/1972, anche ai soci della società, gli Ermellini fanno riferimento alla giurisprudenza consolidatasi nel tempo.
Invero:
“secondo parte della giurisprudenza di legittimità, in tema di poteri di accertamento degli uffici finanziari devono ritenersi legittime le indagini bancarie estese ai congiunti del contribuente persona fisica, ovvero a quelli degli amministratori della società contribuente, in quanto sia l’art. 32, n. 7, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, riguardo alle imposte sui redditi, che l’art. 51 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, riguardo all’IVA, autorizzano l’Ufficio finanziario a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi, ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente, ipotesi, questa, ravvisabile nel rapporto familiare, sufficiente a giustificare, salva prova contraria, la riferibilità al contribuente accertato delle operazioni riscontrate su conti correnti bancari degli indicati soggetti (Cass.Civ., 30 luglio 2018, n. 20118; Cass.Civ., 10 febbraio 2017, n. 3628; Cass. Civ., 1 febbraio 2016, n. 1898; Cass.Civ., 1 ottobre 2014, n. 20668; Cass.Civ., 4 agosto 2010, n. 18083, dove si dà atto che la più recente giurisprudenza, pur non rinnegando il principio per cui l’ufficio deve provare l’intestazione fittizia a terzi dei conti correnti, valorizza a fini probatori il solo dato presuntivo della relazione di parentela; Cass.Civ., 20449/2011 ove si afferma il medesimo principio in tema di società di persone).
In particolare, proprio in questa ultima pronuncia (Cass.Civ., 20449/2011) l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, poi accolto, in quanto il giudice di appello non aveva considerato che la società di persone (in accomandita semplice) non operava con conti correnti propri, ma con quelli intestati a soci e parenti”.
Altra parte della giurisprudenza, “invece, non reputa sufficiente, per acquisire i dati bancari relativi a terzi, estranei alla società, la sola sussistenza del rapporto familiare o della qualità di socio o di amministratore, ma impone che l’Agenzia delle entrate dimostri la sussistenza di indizi che facciano presumere la riconducibilità alla società delle somme transitate nei conti correnti personali (Cass.Civ., 12817/2018, in tema di s.r.l., per cui la Commissione regionale non ha tenuto conto del fondamentale elemento della sostanziale assenza di autonome fonti di reddito in capo a tre dei quattro soci; Cass.Civ., 14 novembre 2003, n. 17423 anche valorizzando la circolare ministeriale 22.4.1980 e la risoluzione ministeriale 4.6.1992, che indicano gli elementi presuntivi in lettere commerciali e ordinativi di commissione)”.
Con specifico riferimento ai soci di società di persone si è riproposta la medesima diatriba:
“sicché mentre in alcune pronunce si è ritenuta sufficiente la qualità di socio, per andare a verificare le m