La Commissione Europea ha pubblicato ieri le proposte di semplificazione, di riduzione degli oneri burocratici connessi alla transizione green: gli obblighi di rendicontazione slitteranno di 2 anni, si stima che saranno solo il 20% del totale le aziende coinvolte e che i risparmi burocratici per le imprese saranno equivalenti a 6,3 miliardi di euro
La Commissione Europea ha adottato in data 26 febbraio 2025 l’adozione di un corpus correzionale di notevole portata, identificato con la nomenclatura “Omnibus”: si tratta di una profonda ristrutturazione dell’impianto regolamentare dell’Unione Europea in materia di sostenibilità. L’intento è quello di proporre una efficace semplificazione del quadro normativo comunitario.
Le analisi econometriche prognosticano che l’attuazione complessiva delle misure proposte determinerà una riduzione degli oneri amministrativi quantificabile in 6,3 miliardi di euro su base annua, congiuntamente alla mobilizzazione di risorse finanziarie supplementari – di provenienza sia pubblica che privata – stimate in 50 miliardi di euro, allocate al sostegno delle priorità strategiche dell’Unione.
Tale intervento legislativo si configura come una reazione sistematica alla progressiva stratificazione normativa e contabile che ha suscitato significative preoccupazioni tra gli operatori economici in relazione alla gravosità degli adempimenti procedurali, con particolare incidenza sulle piccole e medie imprese (PMI).
La riformulazione dei parametri di applicabilità comporta l’esonero dagli obblighi di rendicontazione per una percentuale approssimativa dell’80% delle organizzazioni precedentemente assoggettate alla disciplina. Questa trasformazione riflette il tentativo di bilanciare due imperativi apparentemente antitetici: da un lato, la necessità di mantenere elevati standard di trasparenza e accountability nelle pratiche aziendali relative alla sostenibilità; dall’altro, l’esigenza di ridurre l’onere amministrativo e finanziario che grava particolarmente sulle entità economiche di dimensioni contenute.
Semplificazioni in tema di sostenibilità: novità dalla Commissione
Le innovazioni normative concernenti la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) e la Tassonomia UE si articolano in diverse direttrici fondamentali, ciascuna delle quali merita un’analisi approfondita per comprenderne le implicazioni sistemiche.
Proponiamo di seguito un riassunto ragionato delle varie semplificazioni in tema di sostenibilità che sono state proposte ieri.
Ridefinizione dell’ambito soggettivo
Il nucleo fondamentale della riforma consiste in una sostanziale contrazione dell’ambito di applicazione della Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), circoscrivendone l’operatività alle entità di dimensioni rilevanti che presentano congiuntamente un organico non inferiore a 1000 unità lavorative e un volume d’affari superiore a 50 milioni di euro, ovvero, in alternativa, dispongono di un patrimonio netto eccedente la soglia di 25 milioni di euro. La decisione di circoscrivere l’applicazione della CSRD al 20% delle aziende di maggiori dimensioni rappresenta una significativa inversione di tendenza rispetto all’originario approccio inclusivo della normativa. Questa ridefinizione dell’ambito soggettivo si fonda sull’ipotesi, empiricamente verificabile, che esista una correlazione diretta tra le dimensioni aziendali e l’entità dell’impatto socio-ambientale.
Tale correlazione si manifesta attraverso molteplici canali: le aziende di maggiori dimensioni tendono a consumare più risorse naturali, emettere maggiori quantità di gas a effetto serra, impiegare più personale e quindi influenzare più estesamente le dinamiche sociali, ed esercitare un’influenza più significativa sulle comunità locali in cui operano. Inoltre, queste entità dispongono generalmente di risorse finanziarie e competenze tecniche più adeguate da dedicare agli obblighi di rendicontazione.
Questa ricalibrazione, tuttavia, solleva interrogativi circa la potenziale perdita di trasparenza nel sistema economico complessivo. Se, da un lato, è vero che le grandi aziende costituiscono singolarmente i contributori più significativi all’impronta ecologica e sociale, dall’altro, l’effetto cumulativo del restante 80% delle aziende potrebbe risultare altrettanto, se non più, rilevante. In alcuni settori, come l’agricoltura o il turismo, l’impatto ambientale aggregato delle piccole e medie imprese supera quello delle grandi corporazioni.
Un ulteriore aspetto da considerare è l’equità concorrenziale: l’esenzione delle PMI dagli obblighi di rendicontazione potrebbe tradursi in un vantaggio competitivo per queste ultime rispetto alle aziende soggette alla normativa, potenzialmente distorcendo le dinamiche di mercato e creando incentivi perversi alla frammentazione aziendale per eludere gli obblighi normativi.
Protezione delle piccole imprese coinvolte nella Supply Chain
La tutela delle piccole imprese integrate nelle catene di approvvigionamento (supply chain) delle grandi aziende rappresenta un elemento fondamentale della riforma. L’esperienza pregressa dimostra che, in assenza di specifiche salvaguardie, gli obblighi imposti alle grandi aziende tendono a propagarsi a cascata lungo la catena del valore, gravando in modo sproporzionato sui fornitori di minori dimensioni, che generalmente dispongono di risorse limitate per adempiere a requisiti informativi complessi.
La riforma introduce meccanismi di protezione multi-livello: in primo luogo, limita esplicitamente la quantità e la complessità delle informazioni che le grandi aziende possono richiedere ai loro fornitori di piccole dimensioni; in secondo luogo, prevede che le grandi aziende sviluppino e implementino protocolli di raccolta dati proporzionati alle dimensioni e alle capacità dei loro partner commerciali; infine, impone alle grandi aziende di fornire assistenza tecnica e formativa ai fornitori di minori dimensioni per facilitare la raccolta e la trasmissione delle informazioni necessarie.
Questa architettura protettiva è calibrata per preservare l’integrità informativa della rendicontazione sostenibile senza imporre oneri sproporzionati alle entità economiche più vulnerabili. L’efficacia di questi meccanismi dipenderà, tuttavia, dalle modalità implementative e dall’intensità dell’attività di vigilanza da parte delle autorità competenti.
Maggiore dilatazione dei tempi di attuazione
Il calendario di implementazione è stato notevolmente rielaborato, prevedendo un posticipo di due anni per l’entrata in vigore degli obblighi sia per le grandi imprese non ancora soggette alla CSRD che per le PMI quotate sui mercati regolamentati. Questa significativa dilazione temporale è stata pianificata per finalizzare le modifiche sostanziali proposte dalla Commissione Europea, garantendo così un’implementazione più graduale e sostenibile delle nuove normative.
Il rinvio biennale degli obblighi di rendicontazione per le aziende attualmente soggette alla CSRD, inizialmente previsti per il 2026 o 2027, risponde a una duplice esigenza: da un lato, concedere alle aziende un intervallo temporale adeguato a sviluppare le competenze e implementare i sistemi informativi necessari per una rendicontazione efficace; dall’altro, consentire ai co-legislatori di perfezionare il quadro normativo alla luce dell’esperienza maturata nella prima fase di applicazione.
Questo differimento temporale presenta vantaggi significativi in termini di qualità della rendicontazione: le aziende potranno investire in formazione specialistica, sviluppare metodologie di raccolta dati e implementare sistemi di controllo interno adeguati. Al contempo, i legislatori potranno migliorare gli standard di rendicontazione e le linee guida interpretative, perfezionando la chiarezza e la coerenza del quadro normativo.
Il rinvio comporta, tuttavia, anche potenziali criticità: il differimento potrebbe essere interpretato come un segnale di depriorizzazione della sostenibilità nell’agenda politica europea, potenzialmente disincentivando gli investimenti aziendali in questo ambito. Inoltre, potrebbe dilatare ulteriormente il divario informativo tra le aziende europee e quelle operanti in giurisdizioni con normative più avanzate in materia di rendicontazione sostenibile.
Razionalizzazione degli obblighi di Tassonomia
La riduzione degli oneri relativi alla rendicontazione secondo la Tassonomia UE e la loro limitazione alle aziende di maggiori dimensioni rappresenta un intervento strutturale volto a calibrare gli obblighi informativi in funzione delle capacità amministrative e finanziarie delle diverse tipologie di aziende.
Questa razionalizzazione opera su tre fronti principali. Sul piano soggettivo, allinea l’ambito di applicazione della Tassonomia UE a quello della Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD), garantendo coerenza tra i diversi strumenti normativi in materia di sostenibilità. Sul piano oggettivo, semplifica gli obblighi informativi, riducendo la granularità dei dati richiesti e focalizzando l’attenzione sugli aspetti più rilevanti per gli investitori e gli altri stakeholder. Sul piano procedurale, razionalizza i processi di raccolta, elaborazione e presentazione dei dati, rendendo l’adempimento meno oneroso dal punto di vista organizzativo.
Un elemento particolarmente innovativo è dato dalla possibilità di rendicontazione volontaria per le aziende non soggette all’obbligo. Questa opzione è strategicamente rilevante per le aziende che, non obbligate dimensionalmente, aspirano ad accedere alla finanza sostenibile o intendono comunicare proattivamente le loro pratiche di sostenibilità al mercato (usando i principi ulteriormente semplificati VSME sviluppati dall’EFRAG). La volontarietà consente alle aziende di modulare la rendicontazione in funzione delle loro priorità strategiche e delle aspettative dei loro stakeholder, evitando l’approccio uniforme imposto dalla normativa obbligatoria.
Tale flessibilità, tuttavia, potrebbe generare interrogativi in termini di comparabilità dei dati: la coesistenza di rendicontazioni obbligatorie e volontarie potrebbe generare asimmetrie informative e rendere più complessa la valutazione comparativa delle performance di sostenibilità tra diverse aziende.
Adozione di soglie di materialità finanziaria
L’introduzione di una soglia di materialità finanziaria per la rendicontazione sulla Tassonomia e la concomitante riduzione dei modelli di rendicontazione di circa il 70% rappresentano interventi orientati all’efficienza informativa. La materialità, concetto mutuato dalla rendicontazione finanziaria, introduce un criterio di rilevanza nella selezione delle informazioni da rendicontare: solo gli aspetti che potrebbero influenzare significativamente le decisioni degli utilizzatori dei report sono considerati meritevoli di divulgazione.
Questa innovazione metodologica comporta vantaggi significativi in termini di efficienza informativa: concentrando l’attenzione sugli aspetti più rilevanti, riduce il “rumore” informativo e facilita la comprensione e l’utilizzo delle informazioni da parte degli stakeholder. Al contempo, la riduzione dei modelli di rendicontazione semplifica il processo di compilazione, riducendo l’onere amministrativo per le aziende soggette all’obbligo.
Tuttavia, l’applicazione del concetto di materialità alla rendicontazione non finanziaria presenta sfide specifiche: mentre la materialità finanziaria si basa su criteri relativamente oggettivi, come l’impatto quantitativo sul bilancio o sugli indicatori finanziari, la materialità nell’ambito della sostenibilità è intrinsecamente più soggettiva e dipende dalla prospettiva degli stakeholder considerati. Ad esempio, un aspetto ambientale potrebbe essere considerato materiale dalle organizzazioni non governative ambientaliste, ma non dagli investitori o dai clienti. La definizione di criteri rilevanti e condivisi per determinare la materialità nella rendicontazione sostenibile rappresenta quindi una sfida cruciale per l’efficacia della riforma.
Revisione degli standard ESRS (European Sustainability Reporting Standards)
La Commissione europea ha assunto l’impegno di riformare gli ESRS con l’intento di ridurre considerevolmente il numero di data point obbligatori, chiarificando le disposizioni ambigue e migliorando l’allineamento con altri atti legislativi dell’Unione Europea. Nella revisione proposta, verrà attribuita maggiore rilevanza ai dati quantitativi rispetto alle componenti narrative, introducendo contemporaneamente una più netta distinzione tra elementi informativi obbligatori e volontari.
Un elemento particolarmente innovativo consiste nell’eliminazione della facoltà, precedentemente attribuita alla Commissione, di adottare standard settoriali specifici, promuovendo così un approccio più uniforme alla rendicontazione di sostenibilità.
Queste modifiche, nel loro complesso, rappresentano un tentativo organico di bilanciare l’esigenza di trasparenza con quella di efficienza amministrativa, rispondendo alle preoccupazioni espresse dal mondo imprenditoriale riguardo all’onerosità degli adempimenti in materia di sostenibilità.
Assurance sulla conformità della rendicontazione
Attualmente, la CSRD prevede l’obbligo di un’attestazione limitata (“limited assurance”) delle informazioni di sostenibilità, richiedendo che un revisore legale o un fornitore indipendente di servizi di attestazione esprima un’opinione sulla conformità della rendicontazione ai requisiti della direttiva. Inizialmente, la CSRD aveva contemplato la possibilità di un futuro passaggio a un livello di assurance più elevato, la “reasonable assurance”, ma le nuove proposte hanno eliminato tale previsione, evitando così un incremento dei costi di assurance per le imprese. Invece di adottare standard obbligatori per la reasonable assurance entro il 2026, la Commissione si è orientata verso la pubblicazione di linee guida specifiche per la limited assurance entro lo stesso anno.
Semplificazione dei criteri DNSH
La semplificazione dei criteri “Do No Significant Harm” (DNSH) relativi alla prevenzione e al controllo dell’inquinamento connesso all’uso e alla presenza di sostanze chimiche rappresenta un intervento mirato a ridurre la complessità tecnica della rendicontazione. I criteri DNSH, originariamente concepiti per garantire che le attività classificate come sostenibili non causassero danni significativi ad altri obiettivi ambientali, si sono rivelati particolarmente complessi da applicare nella pratica, richiedendo competenze specialistiche e generando incertezze interpretative.
L’intervento di semplificazione è articolato in due dimensioni: sul piano sostanziale, riformula i criteri in termini più chiari e meno ambigui, riducendo le aree di incertezza interpretativa; sul piano procedurale, standardizza le metodologie di valutazione e di rendicontazione, facilitando l’applicazione pratica dei criteri.
Tuttavia, la semplificazione dei criteri DNSH solleva interrogativi circa il potenziale trade-off tra semplicità applicativa e rigore scientifico: una eccessiva semplificazione potrebbe compromettere la capacità dei criteri di prevenire efficacemente danni ambientali significativi, riducendo l’efficacia complessiva della Tassonomia come strumento di orientamento dei flussi finanziari verso attività genuinamente sostenibili.
Adeguamento degli indicatori di performance per le banche
L’adattamento del Green Asset Ratio (GAR), indicatore chiave di performance basato sulla Tassonomia per le istituzioni bancarie, rappresenta un intervento di calibrazione settoriale volto a tenere conto delle specificità operative e del modello di business del settore bancario.
Il GAR, definito come la proporzione di attività allineate alla Tassonomia sul totale delle attività di una banca, costituisce un indicatore fondamentale per valutare il contributo delle istituzioni finanziarie alla transizione verso un’economia sostenibile. La modifica introdotta dalla riforma consente alle banche di escludere dal denominatore del GAR le esposizioni relative a imprese che non rientrano nel futuro ambito della CSRD, evitando così di penalizzare le istituzioni finanziarie con un’elevata esposizione verso piccole e medie imprese non soggette agli obblighi di rendicontazione.
Questa modifica ha implicazioni significative per la struttura degli incentivi nel settore bancario: rimuovendo una potenziale penalizzazione per il finanziamento delle PMI, preserva l’accesso al credito per queste ultime, evitando effetti distorsivi sul mercato del credito. Al contempo, mantiene l’incentivo per le banche a orientare i loro finanziamenti verso attività allineate con la Tassonomia, preservando l’efficacia del GAR come strumento di promozione della finanza sostenibile.
Questa modifica, tuttavia, solleva interrogativi circa la comparabilità degli indicatori tra diverse istituzioni finanziarie e giurisdizioni: la flessibilità introdotta potrebbe generare variazioni significative nel calcolo del GAR, rendendo più complessa la valutazione comparativa della performance di sostenibilità tra diverse banche.
Reingegnerizzazione della Due Diligence per la Sostenibilità
Nel contesto della riforma della due diligence sulla sostenibilità, la nuova normativa introduce un approccio innovativo, strutturato su diverse dimensioni metodologiche chiave. L’obiettivo principale è razionalizzare i requisiti procedurali per evitare ridondanze e inefficienze economiche, concentrando gli obblighi di due diligence principalmente sulle controparti commerciali dirette (di primo livello). Una delle novità più significative è la modifica della frequenza delle valutazioni periodiche e del monitoraggio delle controparti, che passa da un regime annuale a uno quinquennale, pur mantenendo la possibilità di effettuare controlli mirati in situazioni specifiche che lo richiedano.
Un altro elemento importante è l’introduzione di limiti quantitativi e qualitativi alle informazioni che le grandi imprese possono richiedere alle PMI durante le attività di mappatura della catena del valore. Questo meccanismo è pensato per proteggere le piccole e medie imprese da oneri eccessivi. Parallelamente, la riforma mira a rafforzare l’armonizzazione dei requisiti di due diligence, garantendo condizioni di parità competitiva all’interno del mercato unico europeo.
La riforma prevede anche una revisione delle norme sulla responsabilità civile a livello dell’Unione, pur mantenendo intatto il diritto delle vittime a un risarcimento completo per i danni derivanti da eventuali violazioni. Sul fronte temporale, la riforma adotta una strategia di implementazione graduale. L’applicazione dei requisiti di due diligence per le grandi imprese è stata posticipata di un anno, fissando la nuova scadenza al 26 luglio 2028. Al contrario, l’adozione delle linee guida operative è stata anticipata di un anno, prevista ora per luglio 2026. Questo approccio graduale favorisce una transizione normativa più efficace e gestibile per le aziende.
Conclusioni: quali semplificazioni sulla sostenibilità ora e in futuro?
Le proposte legislative saranno ora sottoposte all’esame del Parlamento Europeo e del Consiglio per la loro valutazione e adozione. Le modifiche normative relative alla CSRD e alla CSDDD entreranno in vigore successivamente al raggiungimento di un accordo tra i co-legislatori sulle proposte. Il processo di semplificazione delle varie norme sulla sostenibilità non sarà immediato.
La riforma si configura dunque come un intervento sistematico di riequilibrio normativo, finalizzato a coniugare l’imprescindibile transizione verso modelli economici sostenibili con la necessità di salvaguardare la competitività delle imprese europee, particolarmente quelle di dimensioni minori, in un contesto globale caratterizzato da crescenti tensioni geopolitiche e da una persistente instabilità dei mercati energetici e delle materie prime.
Fonte: Commission proposes to cut red tape and simplify business environment (le proposte della commissione per la semplificazione in tema di sostenibilità a favore delle imprese)
Fabio Sartori
Giovedì 27 Febbraio 2025