In caso di contestazione di fatture false, ossia per operazioni inesistenti, come si suddivide l’onere della prova fra Fisco e contribuente? Come noto, la riforma della Giustizia Tributaria impone maggiori oneri a carico del Fisco, ma è davvero così?
In tema di operazioni inesistenti incombe all’ufficio dimostrare che il contribuente, usando l’ordinaria diligenza, era a conoscenza della sostanziale inesistenza del contraente; se l’amministrazione assolve a tale onere istruttorio grava invece sul contribuente la prova contraria di avere usato la massima diligenza richiesta ad un operatore commerciale accorto, secondo criteri di ragionevolezza e proporzionalità in rapporto al caso concreto. È questo quanto recentemente confermato dalla Cassazione.
Le operazioni inesistenti fraudolente
La transazione fraudolenta equivale ad un’attività illegale o non autorizzata che coinvolge l’utilizzo di strumenti di pagamento o sistemi finanziari, finalizzati ad ottenere denaro, beni o servizi senza il consenso o l’autorizzazione dell’intestatario del conto.
Pertanto per atto fraudolento deve intendersi qualsiasi atto, segnato da una componente di artificio, inganno o menzogna, che sia idoneo a rappresentare ai terzi una realtà la riduzione del patrimonio del debitore non corrispondente al vero, mettendo a repentaglio – o comunque rendendo più difficoltosa – l’azione di recupero.
Per operazioni inesistenti si intendono quelle operazioni prive, in tutto o in parte, di riscontro nella realtà commerciale, ossia che i documenti inerenti tali operazioni attestano un fatto mai avvenuto.
La Riforma del processo tributario e la nuova suddivisione dell’onere della prova
Con l’art. 6 D.Lgs n. 130/2022 sul tema in esame il legislatore ha introdotto un nuovo onere probatorio formulando il nuovo comma 5-bis dell’art. 7 D.Lgs n. 546/92, il quale stabilisce che l’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato dal contribue