Lasciare il lavoro senza preavviso può sollevare qualche dubbio, ad esempio riguardo al diritto al TFR. Analizziamo in modo chiaro e approfondito quando il trattamento di fine rapporto spetta per intero, le differenze tra dimissioni con o senza giusta causa e le possibili decurtazioni applicate dall’azienda.
Scopriamo quali sono le tutele previste per il lavoratore dimissionario, i diritti irrinunciabili e come agire in caso di contestazioni sul pagamento del TFR.
Dare le dimissioni e lasciare il posto di lavoro è oggi qualcosa di nient’affatto raro. Da anni si parla di un fenomeno in crescita, come segnalato da autorevoli fonti – il Sole 24 Ore tra gli altri – o da associazioni come l’Aidp, a cui fanno capo i direttori del personale. La ricerca di condizioni economiche migliori, la volontà di trovare un maggior equilibrio tra vita privata e carriera, come pure la fuga da un ambiente lavorativo tossico, sono alcuni dei fattori che spingono non pochi lavoratori a licenziarsi.
Una delle questioni che un dipendente potrebbe porsi, prima di dare le dimissioni, è però la seguente: in mancanza di preavviso – e quindi di previa comunicazione della decisione all’azienda – spetta il TFR nella sua interezza oppure scatta qualche limitazione? Vediamo insieme che cosa sapere a riguardo e quali diritti può esercitare il dipendente dimissionario.
TFR, dimissioni senza preavviso e giusta causa: il contesto di riferimento
Previsto da legge e contratti collettivi, da una parte troviamo il diritto al trattamento di fine rapporto, vale a dire l’elemento della retribuzione il cui versamento è spostato alla data di cessazione del rapporto di lavoro, mentre dall’altra il diritto alle dimissioni senza preavviso, ossia a lasciare il posto di lavoro senza rispettare il periodo previsto dal contratto. Il dipendente se ne va immediatamente e senza restare un giorno in più in azienda. I due diritti, come vedremo tra poco, non sono tra loro “incompatibili”.
Licenziarsi senza rispettare una sorta di periodo “cuscinetto”, previsto dal CCNL di riferimento e utile all’azienda per riorganizzarsi, trovare il sostituto e ridurre i contraccolpi sul piano della produttività, è tipico di quei casi in cui ricorre la giusta causa.
Con quest’ultima ci riferiamo ad eventi particolari (ad es. mobbing, mancato pagamento dello stipendio, molestie, atti discriminatori, violazione delle norme in materia di sicurezza ecc.), tali da ledere irrimediabilmente l’elemento della fiducia nel rapporto e impedire la normale continuazione del rapporto.
Tuttavia, per dare le dimissioni senza preavviso non deve per forza ricorrere la giusta causa, essendo sufficiente ad es. una scelta squisitamente personale come il trasferimento all’estero, oppure l’offerta di un nuovo lavoro con inizio immediato.
La tutela del trattamento di fine rapporto a favore del dipendente dimissionario
Come accennato sopra, il TFR – inteso come somma accantonata dal datore di lavoro nel corso del tempo ed erogata al dipendente per sostenerlo nel periodo intercorrente tra la vecchia occupazione e la nuova – non è incompatibile con le dimissioni senza preavviso. Previsto dalla legge e dai contratti collettivi, quello al TFR è un diritto che, in linea generale, non può essere soppresso.
Esso matura nel corso del tempo, ossia cresce con l’anzianità di servizio del lavoratore subordinato. Infatti, il trattamento di fine rapporto è una sorta di risparmio obbligatorio che viene accumulato durante gli anni di lavoro, con il dipendente che potrà contare sul diritto ad una somma che – in qualche modo – rifletterà la retribuzione maturata e il periodo di servizio.
Insomma, quello al TFR – in gergo giuridico – è un diritto quesito, perché è maturato progressivamente e non può essere eliminato dall’azienda o dal datore di lavoro, in ipotesi di dimissioni senza preavviso – come in una sorta di “ritorsione” contro la scelta di auto-licenziarsi.
La distinzione tra dimissioni con e senza giusta causa
Sopra abbiamo ricordato che – in linea generale – il diritto al TFR è salvo in ipotesi di dimissioni senza preavviso. Ma a questo punto occorre fare una fondamentale distinzione, per capire quali sono le effettive tutele del lavoratore che va via immediatamente dall’azienda:
- in ipotesi di dimissioni senza preavviso e senza giusta causa, l’azienda, come detto, non potrà impedire il versamento del trattamento di fine rapporto; tuttavia, potrà sottrarne una frazione dall’importo pieno, al fine di compensare i giorni non lavorati a causa del recesso unilaterale del dipendente. Da notare che tale iniziativa non richiede un anteriore accordo con quest’ultimo e mira a costituire la cd. indennità sostitutiva del preavviso. La Cassazione, con le sentenze n. 1695/2015 e n. 26157/2016 ha infatti affermato che il datore di lavoro può compensare il credito vantato con il proprio debito verso il lavoratore (TFR), purché entrambe le somme siano certe, liquide ed esigibili.
- in ipotesi di dimissioni senza preavviso ma con giusta causa, invece, alla base della decisione del dipendente c’è una grave violazione da parte dell’azienda, che rende impossibile proseguire il rapporto. In tali circostanze, il lavoratore è appunto esonerato dall’obbligo di preavviso e conserva il diritto al TFR pieno, senza alcuna decurtazione o penalità. Egli è infatti giustificato da una causa riconosciuta dalla legge (ad es. il mancato pagamento di più mensilità dello stipendio).
Ricordiamo infine che, qualora l’azienda contesti il diritto al versamento del TFR o rifiuti di corrisponderlo o, ancora, applichi infondate decurtazioni, il lavoratore potrà richiedere l’assistenza di un legale specializzato in diritto del lavoro e – salva l’ipotesi di un accordo extragiudiziale – potrà avviare una causa in tribunale, finalizzata al recupero del credito dovuto.
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Claudio Garau
Martedì 3 dicembre 2024