La ristretta compagine societaria può legittimare la presunzione di distribuzione di utili extracontabili ai soci, ma la Corte di Cassazione ribadisce che il socio può fornire prova contraria dimostrando la sua estraneità alla gestione. Scopriamo come la Corte di Cassazione definisce i requisiti per dimostrare l’estraneità del socio alla gestione e quali sono le condizioni per ribaltare questa presunzione.
La ristretta compagine societaria può essere considerata elemento sufficiente a legittimare la presunzione di distribuzione di utili extracontabili ai soci anche dopo la modifica dell’art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992, dato che il comma 5 bis non stabilisce un onere probatorio diverso, o più gravoso, rispetto ai principi già vigenti in materia, ma è semplicemente coerente con le ulteriori modifiche legislative in tema di prova, che assegnano all’istruttoria dibattimentale un ruolo centrale.
In tale contesto la prova contraria può essere fornita dal socio dando la dimostrazione della sua assoluta estraneità alla gestione e alla vita stessa della società. Ma tale prova deve essere fornita in modo preciso e rigoroso.
Presunzione di distribuzione di utili extracontabili nelle società a ristretta base: chiarimenti della cassazione sui profili probatori
La Corte di Cassazione ha chiarito i profili probatori in tema di presunzione di distribuzione di utili extracontabili a soci di società a ristretta base azionaria, anche dopo l’entrata in vigore del nuovo comma 5 bis dell’art. 7 del Dlgs 546/92, in tema di ripartizione dell’onere della prova tra contribuente ed Amministrazione finanziaria.
Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate aveva notificato al contribuente un avviso di accertamento, per l’anno di imposta 2007, per un maggior reddito di capitale, recuperandolo a tassazione per l’imposta non versata.
A fondamento dell’atto impositivo, l’ufficio poneva la partecipazione del contribuente, nella misura del 10 per cento, al capitale sociale di una S.r.l., compar