Esploriamo la possibilità di disapplicazione delle sanzioni tributarie per incertezza normativa: l’iniziativa può arrivare anche d’ufficio dal giudice o deve avvenire a richiesta del contribuente?
È ammissibile l’iniziativa d’ufficio, del giudice tributario, nella procedura destinata alla disapplicazione delle sanzioni[1]?
Il giudice tributario di merito può decidere, d’ufficio, l’applicabilità dell’esimente, della oggettiva incertezza dell’interpretazione normativa?
Considerata la struttura “chiusa” del giudizio di legittimità, l’istanza del contribuente in Cassazione, finalizzata alla cancellazione delle penalità, non è ammissibile?
Tale disapplicazione presuppone un’idonea richiesta in tal senso da parte del contribuente, da effettuarsi nei modi e nei termini processuali appropriati, cioè secondo i principi generali che regolano il processo tributario e, dunque, sin dal ricorso introduttivo del giudizio?
Il contribuente non può limitarsi a enunciare tale richiesta nella conclusione dell’atto di ricorso, dovendo la medesima istanza rappresentare uno specifico motivo dell’impugnazione?
Il principio su cui si basa la disapplicazione delle sanzioni per incertezza normativa
L’accertamento della sussistenza della oggettiva incertezza dell’interpretazione normativa[2], ai fini della disapplicazione delle sanzioni, ex art. 8 D.Lgs 546/1992 può essere operata dal giudice tributario solo in presenza di domanda del contribuente, la quale non può, pertanto, essere formulata per la prima volta in sede di appello o in sede di legittimità.
Nella fattispecie in esame, è incontroverso tra le parti la mancata formulazione, nel ricorso introduttivo, della domanda di disapplicazione delle sanzioni, sicché la censura va accolta.
Tale assunto è stato precisato dalla Corte di Cassazione.