Secondo la Corte di Cassazione, nella divisione patrimoniale, se un condividente riceve beni superiori al suo diritto sulla massa comune, l’eccedenza è considerata vendita ai fini dell’imposta di registro.
Tale tassazione si applica indipendentemente dal conguaglio tra condividenti, riflettendo una presunzione legale per assicurare l’imposizione fiscale sull’eccedenza di valore.
La divisione patrimoniale può essere considerata vendita?
Per la Corte di Cassazione, il tenore dell’art. 34 del d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 in tema di divisione patrimoniale, (comma 1, “La divisione, con la quale ad un condividente sono assegnati beni per un valore complessivo eccedente quello a lui spettante sulla massa comune, è considerata vendita limitatamente alla parte eccedente”) appare sancire una vera e propria “presunzione assoluta” ai fini dell’imposta di registro.
In virtù di tale presunzione, quindi, la divisione patrimoniale, con assegnazione di beni eccedenti il valore della quota sulla massa comune, deve essere sempre qualificata come vendita ed assoggettata all’imposta sui trasferimenti per l’eccedenza di valore, prescindendo dall’eventualità che il conguaglio sia o meno corrisposto nei rapporti tra i condividenti.
Sempre per il citato giudice di Cassazione, il legislatore si è preoccupato di esigere, in ogni caso, l’applicazione dell’imposta sui trasferimenti nei limiti dell’eccedenza di valore, ritenendo irrilevante che il conguaglio (inteso come surplus aritmetico del valore dei beni rispetto al valore della quota) abbia formato oggetto dell’assunzione di un’obbliga