L’operazione straordinaria di affitto di azienda può essere uno di quei casi in cui si va disapplicato il regime delle società di comodo. Analisi approfondita delle motivazioni.
Premesse e inquadramento giuridico della disciplina delle società di comodo
Preliminarmente si ritiene di dover sottolineare come la disciplina delle società di comodo sia solo in apparenza volta a contrastare sul piano accertativo comportamenti asseritamente elusivi, in quanto tale obiettivo viene perseguito in modo surrettizio attraverso un’imposizione di natura sostanzialmente patrimoniale, imperniata su una connessione diretta tra valori patrimoniali ed imponibile (in tal senso L. Tosi, “Relazione introduttiva: La disciplina delle società di comodo” in Le Società di Comodo, Cedam Editore).
Un raccordo diretto che si traduce in una funzione di proporzionalità costante: più aumentano gli indici patrimoniali, più aumenta la redditività stabilita dal legislatore proprio in funzione di quei determinati valori patrimoniali.
Tale connessione rende evidente che l’effetto della legislazione in esame è solo quello di rendere controproducente sia la costituzione, sia il mantenimento in vita di determinate società, e ciò sulla base di una serie di presupposti che sono – sul piano logico, prima ancora che su quello economico e giuridico – tutti da verificare.
Anzi la persuasione è che non siano mai stati verificati e che non siano neppure in astratto verificabili.
Lo snodo dei passaggi su cui è causalmente interrelata la disciplina delle società di comodo può così essere rappresentato:
- si ritiene che una qualche “potenzialità elusiva” o “elusione in potenza” possa essere manifestata, e perciò desunta, da consistenze o indici patrimoniali;
- si ritiene che esista una connessione tra reddito (attendibile) e valori patrimoniali;
- e si ritiene che questa connessione si esprima mediante una funzione di proporzionalità costante e diretta.
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Trattasi manifestatamente di passaggi d’interazione causale privi di una qualsiasi dimostrazione, a cui si deve anche aggiungere l’estrema illogicità endogena ad una disposizione che pretende di attribuire normativamente un reddito minimo ad una società che, per definizione, è considerata non operativa in quanto priva di qualsiasi autentico dinamismo imprenditoriale (si cfr F. Moschetti, “Principi di giustizia tributaria”, Atti del convegno tenutosi a Padova il 5-6 maggio 1997).
Anche per altra autorevole dottrina (R. Schiavolin, “Considerazioni di ordine sistematico sul regime delle società di comodo”, sempre in Le Società di Comodo, Cedam Ed.) trattasi di una disciplina che manifesta palesi carenze di fondo sul piano della coerenza logica, soprattutto perché il senso comune porterebbe a ricollegare alla non operatività la non redditività e non la produzione di imponibili superiori ad una certa soglia.
Pertanto, la totale assenza di un convincente fondamento logico generale porta a ritenere che la disciplina delle società non operative, anziché an