Esame della riforma che ha interessato il variegato e complesso mondo del terzo settore con particolare attenzione al regime fiscale agevolato dedicato a tali enti, che talvolta può risultare molto conveniente.
La convenienza ad essere enti del terzo settore
Da quanto detto finora (Vedi l’articolo “Regime fiscale agevolato degli ETS”) (soprattutto sul 5° comma dell’art. 79 del D.lgs. 117/2017) si deduce che, escluse le imprese sociali, le cooperative sociali e le società di mutuo soccorso che sono imprese sociali o che non possono essere tali, gli altri ETS non hanno l’obbligo ma hanno una forte convenienza ad essere enti del terzo settore non commerciali perché se perdono la caratteristica della non commercialità divengono enti commerciali a cui si applica la disciplina normale dell’IRES – Imposta sul reddito delle società – prevista dal Titolo II del TUIR per le società e non quella riservata agli enti non commerciali che non sono ETS prevista dagli articoli 143 – 149 sempre del TUIR.
Questo perché la legge prevede che essi diventano enti commerciali e non enti non commerciali “normali” ai sensi della lettera c) del 1° comma dell’art. 73 del TUIR.
Questi ETS sono, invece, enti commerciali ai sensi della lettera b) del 1° comma dello stesso art. 73, vale a dire enti privati diversi dalle società[1] che hanno per oggetto esclusivo o prevalente l’esercizio di attività commerciali (in questo caso l’attività è considerata commerciale ex lege dal 5° comma dell’art. 79 del Dlgs 117/2017 anche se permane l’assenza di scopo di lucro di cui all’art. 8 dello stesso decreto) e, come tali, soggetti all’IRES.
L’altro forte incentivo a non perdere la caratteristica della non commercialità sta nel fatto che le attività (e, quindi le entrate) degli ETS commerciali sono sempre soggette all’IVA – Imposta sul valore aggiunto, mentre quelle degli ETS non commerciali lo sono solo se svolte con modalità commerciali, vale a dire non in conformità ai criteri previsti dai commi 2° e 3° dell’art. 79 citato.