Il beneficio dell’aliquota IVA agevolata non spetta agli immobili destinati a “casa albergo”, in quanto bene strumentale all’attività d’impresa. Il beneficio dell’aliquota IVA agevolata non spetta agli immobili destinati a “casa albergo”.
Cosa si intende per casa albergo?
La “casa albergo“, che configura una struttura funzionale all’esercizio di una attività di impresa, consistente nella prestazione di ospitalità dietro corrispettivo ad una massa indiscriminata di fruitori, infatti, non è assibilabile, così come il residence turistico-alberghiero, alla “casa di abitazione“.
Casa albergo e aliquota IVA
Ai fini dell’IVA non conta l’astratta classificazione catastale dell’immobile a uso abitativo, ma la destinazione all’attività di impresa. La Corte di Cassazione, con la sentenza 06/04/2023, n. 9469, ha chiarito il trattamento Iva su immobili adibiti a “casa albergo”.
Il caso di Cassazione
Nel caso di specie, la Commissione Tributaria Provinciale aveva accolto parzialmente (escludendo le sanzioni relative all’IVA) il ricorso proposto da una società cooperativa avverso due avvisi di accertamento, per IVA e imposte dirette, anni 2003 e 2004, con i quali erano stati accertati maggiori ricavi rispetto a quelli dichiarati e applicazione di aliquote IVA inferiori a quelle previste dalla legge.
La Commissione Tributaria Regionale aveva poi rigettato l’appello principale proposto dalla contribuente e accolto quello incidentale proposto dall’Agenzia delle Entrate, ritenendo dovute anche le sanzioni escluse dal primo giudice.
I giudici di secondo grado, per quanto di interesse, avevano in particolare evidenziato che alla vendita delle unità immobiliari realizzate dalla contribuente non poteva essere applicata l’aliquota IVA agevolata, prevista per le case di abitazione, in quanto dette unità erano state costruite con destinazione turistico – ricettiva (Case Appartamenti Vacanze – CAV) e non era stato chiesto il mutamento di destinazione d’uso.
La società contribuente proponeva infine ricorso per cassazione, deducendo, tra le altre, che la normativa in vigore, per la cessione delle case di abitazione non di lusso, secondo i criteri di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 agosto 1986, prevedeva comunque l’applicazione dell’aliquota IVA al 10%, anche se destinate a case e appartamenti per vacanze.
Secondo la Suprema Corte la censura era infondata.
Evidenziano i giudici di legittimità che la società contribuente aveva ottenuto il permesso per realizzare un complesso edilizio composto da diverse unità immobiliari destinate ad attività ricettiva (CAV) e le aveva poi vendute come civili abitazioni, senza procedere al mutamento della destinazione d’uso degli immobili, applicando l’IVA con le aliquote agevolate del 4% o del 10%, anzichè con quella ordinaria del 20%.
La contribuente non contestava la mancata variazione della destinazione d’uso degli immobili, ma si limitava a rilevare l’avvenuta abrogazione della L. n. 217 del 1983, citata dal giudice di appello, a sostegno della non applicabilità dell’aliquota IVA agevolata.
Sul punto, però, la Cassazione precisa che l’abrogazione della L. n. 217 del 1983, art. 8 (che correlava la permanenza del vincolo di destinazione a struttura ricettiva alla convenienza economico – produttiva dell’attività imprenditoriale), ad opera della L. n. 135 del 2001, art. 11 (che, a sua volta, è stato poi abrogato dal Dlgs. n. 79 del 2011), non ha inciso sulla permanenza del vincolo, che può comunque mantenere la sua effettività sotto forma di vincolo di destinazione d’uso degli immobili che vi sono sottoposti, in quanto previsto e regolamentato dagli strumenti urbanistici in relazione alla zona territoriale omogenea ove i singoli edifici risultano ubicati.
L’importanza della legislazione regionale
La normativa nazionale, rileva la Corte, ha, in sostanza, spostato sul piano della (eventuale) legislazione regionale e delle scelte urbanistiche compiute a livello comunale la possibilità di prevedere vincoli di destinazione turistico – ricettiva.
Ciò posto, in mancanza del cambio di destinazione d’uso, la vendita frazionata dell’immobile non poteva determinare di per sè il venir meno della destinazione urbanistica (ricettiva) a cui lo stesso era stato sottoposto, dovendo rammentarsi in proposito che, secondo un orientamento di legittimità ormai consolidato, il beneficio dell’aliquota IVA agevolata non spetta agli immobili destinati a “casa albergo” (cfr., Cass. n. 1713 del 25 febbraio 1997; Cass. n. 4317 del 4 maggio 1994; Cass. n. 19197 del 2 agosto 2017; Cass. n. 33594 del 18 dicembre 2019).
La casa albergo è una struttura d’impresa
La “casa albergo” (che configura una struttura funzionale all’esercizio di una attività di impresa, consistente nella prestazione di ospitalità dietro corrispettivo ad una massa indiscriminata di fruitori), infatti, non è assibilabile, così come il residence turistico-alberghiero, alla “casa di abitazione” (che va intesa, invece, come luogo destinato ad ospitare – con tendenziale continuità – nuclei familiari, per lo svolgimento della loro vita privata), ma va piuttosto ricondotta alla diversa categoria del “negozio“, costituita come luogo deputato allo svolgimento di attività d’impresa (ex multis, Cassazione n. 21378 del 6 ottobre 2020).
Poiché ai fini dell’IVA, poi, non conta l’astratta classificazione catastale dell’immobile a uso abitativo, ma la destinazione all’attività di impresa (cfr., Cassazione n. 8628 del 29 aprile 2015 e Cassazione n. 26748 del 22 dicembre 2016), è del tutto irrilevante che le unità abitative facenti parte del complesso edilizio possano essere assimilate a case di civile abitazione e rientrare nell’ambito di applicazione della disposizione di cui Tabella A, Parte III, allegata al Dpr. n. 633 del 1972, art. 127-undecies (che, peraltro, contenendo una previsione di natura agevolatrice, è una norma di stretta interpretazione, per la quale non è ammessa alcuna interpretazione estensiva o analogica).
Tanto premesso, la Suprema Corte conclude rilevando che, nella specie, si trattava di un complesso immobiliare avente tutti i requisiti di un residence, realizzato dalla società ricorrente per adibirlo allo svolgimento della propria attività imprenditoriale, che era quella di gestione di una struttura turistico – ricettiva (Case Appartamenti Vacanze) e non certamente quella di costruzione di immobili non di lusso destinati ad implementare l’edilizia abitativa, essendo irrilevante sia che poi la società avesse deciso, sempre nell’ambito della sua attività d’impresa, di alienare le unità immobiliari realizzate, e sia che la gestione delle CAV non fosse affidata alla contribuente.
La Cassazione sottolinea infine che, in materia di IVA, le norme che prevedono aliquote agevolate costituiscono del resto un’eccezione rispetto alle disposizioni che stabiliscono, in via generale, le aliquote ordinarie, spettando quindi al contribuente, che voglia far valere tali circostanze, provare l’esistenza dei presupposti per la loro applicazione (ex plurimis, Cassazione n. 7124 del 9 maggio 2003).
La contribuente, sulla quale ricadeva il relativo onere, invece, nel caso in esame, non aveva dimostrato nè che le singole unità immobiliari cedute fossero effettivamente utilizzate dagli acquirenti per soddisfare le proprie esigenze abitative, nè che la gestione dei servizi del residence non fosse unitaria.
A cura di Giovambattista Palumbo
Mercoledì 10 Maggio 2023
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