L’accesso presso lo studio del professionista per verifica fiscale
Per la Corte, la peculiare disciplina, vigente ratione temporis, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 1, ultimo periodo, (“In ogni caso, l'accesso nei locali destinati all'esercizio di arti e professioni dovrà essere eseguito in presenza del titolare dello studio o di un suo delegato”), dettata in materia di Iva ed applicabile, per espresso rinvio ad essa da parte del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, comma 1, (e non del 1972, come per mero errore materiale indicato nella rubrica del motivo), trova la sua ratio nella circostanza che il professionista è in genere custode di tutta una serie di documenti, notizie ed informazioni confidenziali che riguardano la sfera personale dei suoi assistiti e rispetto alle quali si impongono esigenze di riservatezza che, ricorrendone i presupposti normativi, possono assumere anche la rilevanza del segreto professionale.
Le disposizioni in esame realizzano, pertanto, in ambito tributario, un contemperamento tra le esigenze di tutela della riservatezza non del professionista, ma dei clienti di quest'ultimo, estranei alla verifica fiscale, e la necessità dell'indagine dell'Amministrazione finanziaria nei confronti del professionista-contribuente.
Il caso di Cassazione
Nella sostanza:
“le norme in questione si preoccupano di tutelare la sfera di riservatezza dei clienti del professionista quando quest'ultimo sia direttamente oggetto delle indagini tributarie, rispetto alle quali i suoi assistiti siano meramente terzi, le cui esigenze di protezione sono limitate all'occasionale rischio di diffusione di notizie attinenti la loro sfera personale”.
Tale situazione è oggettivamente diversa da quella sub iudice, nella quale:
“il commercialista non era attinto personalmente dalla verifica