Analisi di un caso di indagini finanziarie che si focalizza sui movimenti dell’amministratore di fatto: è possibile ricomprendere tali movimenti in fase di accertamento?
Come funzionano le presunzioni e quali prove può opporre il contribuente accertato?
La Corte di Cassazione si è occupata di una indagine bancaria a carico di un amministratore di fatto.
Il fatto di causa: indagine bancaria su movimenti non giustificati a carico dell’amministratore di fatto
Il contribuente ricorre contro l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, che ha rigettato l’appello e la domanda cautelare del contribuente, in una controversia avente ad oggetto l’impugnativa dell’avviso di accertamento con cui l’amministrazione finanziaria aveva determinato maggiori imposte ai fini Irpef e relative addizionali in relazione all’attività di amministratore di fatto che il contribuente aveva svolto per quattro società nell’anno di imposta 2006, senza presentare dichiarazione dei redditi.
Con la sentenza impugnata, la C.t.r., preso atto che l’accertamento nasceva da indagini bancarie, dalle quali erano emersi numerosi versamenti privi di giustificazione, riteneva che l’atto impositivo fosse sufficientemente motivato, che non fosse necessaria l’allegazione della segnalazione della Direzione regionale del Lazio, che il contribuente non avesse fornito idonei elementi di prova contraria avverso le presunzioni conseguenti ai controlli bancari.
Il pensiero della Corte sulle presunzioni sui versamenti bancari
La Corte prende atto che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’art. 32 d.P.R. n.600/73 prevede una presunzione legale in base alla quale sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari vanno imputati a ricavi.
A fronte di detta presunzione legale:
“il contribuente è onerato di fornire la prova contraria, anche attraverso presunzioni semplici, da sottoporre comunque ad