Sussistono presupposti e limiti di operatività dei poteri istruttori conferiti al giudice tributario?
Sussiste il potere del giudice tributario di acquisizione ex officio del Pvc in prossimità dell’udienza in appello?
La decisione basata su documentazione irritualmente acquisita e tardivamente prodotta è inficiata da illegittimità?
Al comportamento processuale negligente e colpevole dell’ufficio, l’organo giurisdizionale adito può rimediare, tramite l’uso dei poteri istruttori previsti ovvero i poteri istruttori delle C.T. possono servire per dare una seconda opportunità agli uffici?
La risposta a tali quesiti è stata fornita da un recente intervento del giudice di legittimità, in riferimento ad una fattispecie di notevole interesse processuale e dogmatico.
Distribuzione dell’onere della prova: principi
Anche nel processo tributario, vale la regola generale in tema di distribuzione dell’onere della prova dettata dall’art. 2697 codice civile e pertanto, in applicazione della stessa, l’amministrazione finanziaria che vanti un credito nei confronti del contribuente, è tenuta a fornire la prova dei fatti costitutivi della propria pretesa, essendosi ormai da tempo chiarito che la c.d. presunzione di legittimità degli atti amministrativi non opera nei confronti del giudice.
L ‘esercizio dei poteri di acquisizione d’ufficio da parte del giudice tributario non può sopperire al mancato assolvimento dell’onere della prova che grava comunque sulle parti in base all’art. 2697 del Codice civile.
Trattasi di un potere meramente integrativo, non esonerativo, dell’onere probatorio principale da esercitare solo per sopperire all’impossibilità di una parte di esibire documenti in possesso dell’altra: condizione certamente insussistente nel caso di specie trattandosi di documenti in possesso dell’Agenzia delle entrate.
Il potere del giudice tributario di disporre l’acquisizione d’ufficio di mezzi di prova, non consente al giudice di sopperire alle carenze istruttorie delle parti, sovvertendo i rispettivi oneri probatori, ma gli attribuisce solamente un potere istruttorio in funzione integrativa, e non integralmente sostitutiva, degli elementi di giudizio.
Tale potere, pertanto, può essere esercitato soltanto ove sussista un’obiettiva situazione di incertezza, al fine di integrare gli elementi di prova già fomiti dalle parti e non anche nel caso in cui il materiale probatorio acquisito agli atti imponga una determinata soluzione della controversia e sempre che la parte su cui ricade l’onere della prova non abbia essa stessa la possibilità di integrare la prova già fornita ma questa risulti piuttosto ostacolata dall’essere i documenti in possesso dell’altra parte o di terzi.
I poteri in questione non sono arbitrari ma discrezionali ed il loro esercizio, così come il loro mancato esercizio, deve essere adeguatamente motivato.
Le “nuove prove” che il giudice di appello può disporre ex officio, sono quelle stesse che il giudice di primo grado può ordinare ai sensi dell’art. 7 del d.lgs. 546/1992, non potendosi ritenere che il giudice di secondo grado abbia poteri istruttori ufficiosi diversi e maggiori rispetto a quelli della Commissione provinciale.
Pertanto, nemmeno al giudice di appello è consentito di ordinare il deposito di documenti sollevando la parte dall’onere della prova, residuando soltanto il potere di ordinare l’esibizione ex officio di cui all’art. 210 c.p.c..[1]
L’unica ipotesi in cui è possibile disporre l’esibizione di documenti d’ufficio ai sensi dell’art. 58 comma 1 d.lgs. 546/1992 è quando sussista il presupposto dell’impossibilità di acquisire la prova a