È evidente che, anche nel processo tributario, l’individuazione dell’esatta corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato richiede che si renda necessario accertare il reale contenuto del ricorso introduttivo ovvero le precise ragioni del contendere.
Trattasi, infatti, di un giudizio d’impugnazione in cui la fondatezza della pretesa tributaria va giudicata in base a quanto devoluto al giudice, tramite le censure specifiche mosse dal ricorrente in relazione alla pretesa erariale evidenziata dall’atto impositivo.
È utile richiamare, nel presente contributo, per una migliore difesa, alcune recenti decisioni giurisprudenziali in tema di errore in procedendo per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
Per i vizi in esame sussiste un’effettiva differenza sul piano del trattamento processuale?
Corrispondenza tra chiesto e pronunciato nel processo tributario: teoria generale
E’ noto che, sotto il profilo di teoria generale, il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato è una manifestazione del principio del contraddittorio e della difesa della controparte, che sarebbe inevitabilmente menomata dalla pronuncia ultra petita.
Tale principio prescrive al giudice di pronunciarsi su ciò che è postulato con l’esercizio dell’azione e non oltre, fermo restando che il ricorrente ha l’aspirazione ad una pronuncia di merito e non ad una pronuncia meramente processuale.
La normativa
L’art. 112 codice procedura civile è applicabile al processo tributario in forza del rinvio generale alle norme del codice di rito compatibili contenuto nell’art. 1, comma 2, D.lg. 31 dicembre 1992 n. 546).
Trattasi, infatti, di un giudizio d’impugnazione in cui la fondatezza della pretesa tributaria va giudicata in base a quanto devoluto al giudice, tramite le censure specifiche mosse dal ricorrente in relazione alla pretesa erariale evidenziata dall’atto impositivo.
Natura del processo tributario
Peraltro, il processo tributario, non è annoverabile tra quelli di “impugnazione-annullamento“, ma tra i processi di “impugnazione- merito” in quanto non è diretto alla sola eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma alla pronunzia di una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente sia dell’accertamento dell’Ufficio.
Ne deriva che il Giudice, il quale ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi non formali ma di carattere sostanziale, non può limitarsi ad annullare[1] l’atto impositivo ma deve esaminare nel merito la pretesa tributaria, ed eventualmente ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte. [2]
Quando il giudice ravvisa “l’infondatezza parziale della pretesa dell’amministrazione, non deve, né può limitarsi ad annullare l’atto impositivo, ma deve quantificare la pretesa tributaria entro i limiti posti dal petitum delle parti”, in modo da dare “alla pretesa dell’amministrazione un contenuto quantitativo diverso da quello sostenuto dalle parti contendenti, avvalendosi degli ordinari poteri di indagine e di valutazione dei fatti e delle prove consentiti dagli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., […] in tal modo determinando il reddito effettivo del contribuente, e senza che ciò costituisca attività amministrativa di nuovo accertamento, rappresentando invece soltanto l’esercizio dei poteri di controllo, di valutazione e di determinazione del quantum della pretesa tributaria, e senza che ciò costituisca violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, essendo consentita al giudice tributario, in un giudizio che non è solo “sull’atto”, da annullare, ma anche e principalmente sul rapporto sostanziale tra amministrazione finanziaria e contribuente, la riduzione della pretesa avanzata dalla prima con l’atto impositivo”.
Nel processo tributario, il giudice deve attenersi a quanto dichiarato dal contribuente e a quanto accertato dall’Ente avendo, lo stesso, un potere alquanto limitato sull’accertamento.
Non sussiste in ogni caso la possibilità di effettuare valutazioni equitative. [3]
Vizio d’ultrapetizione
Con riferimento al principio della corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato (art. 112 codice procedura civile), detta regula iuris può ritenersi violata ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri alcuno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione (petitum e causa petendi), attribuendo o negando ad uno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nell’ambito della domanda o delle richieste delle parti, così che non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che esamini una questione no