L’improvvisa revoca degli affidamenti bancari, a ridosso della scadenza del termine, non ha alcuna rilevanza, atteso che la decisione dell’imprenditore di finanziare l’impresa con i denari dovuti allo (e di pertinenza dello) Stato e di trascinare il debito fino alla scadenza del termine “lungo” penalmente sanzionato costituisce una scelta gestionale che rientra nel rischio di impresa, senza che per questo possa essere invocata la causa di forza maggiore a giustificazione dell’illiquidità provocata da comportamenti (revoche di affidamenti bancari, insolvenze dei clienti) che non sono niente affatto imprevedibili nel corso della vita di un’impresa.
Un caso di omesso versamento IVA al vaglio della Cassazione
L’imputato ricorre per l’annullamento della sentenza della Corte di appello di Firenze che, rigettando la sua impugnazione, ha confermato la condanna alla pena (principale) di un anno di reclusione, oltre pene accessorie e confisca, irrogata con la sentenza del Tribunale di Firenze per il reato di omesso versamento IVA di cui all’art. 10-ter, del D.Lgs. n. 74 del 2000, relativamente agli importi dovuti per due anni di imposta (rispettivamente, 1.122.644,00 Euro e 665.043,00 Euro).
La decisione della Cassazione: il ricorso è infondato
Al riguardo, la Corte di Cassazione prende le mosse dagli approdi ermeneutici di Sez. U., n. 37424 del 28/03/2103, secondo cui nel reato di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto la prova del dolo è insita in genere nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta, e che deve, quindi, essere saldato o almeno contenuto non oltre la soglia, entro il termine lungo previsto.
Ogni qualvolta il soggetto d’imposta effettua delle operazioni “riscuote già (dall’acquirente del bene o del servizio) l’IVA dovuta e deve, quindi, tenerla accantonata per l’Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all’obbligazione tributaria”.
L’introduzione della norma penale…
“stabilendo nuove condizioni e un nuovo termine per la propria applicazione, estende evidentemente la detta esigenza di organizzazione su scala annuale.
Non può, quindi, essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta di non far debitamente fronte alla esigenza predetta”.
Sviluppando e riprendendo il tema della “crisi di liquidità“ d’impresa, quale fattore in grado di escludere la colpevolezza, tema non accennato nella pronuncia a SS.UU.:
“è necessario che siano comunque assolti, sul punto, precisi oneri di allegazione che devono investire non solo l’aspetto della non imputabilità al contribuente della crisi economica che improvvisamente avrebbe investito l’azienda, ma anche la circostanza che detta crisi non potesse essere adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso ad idonee misure da valutarsi in concreto.
Occorre cioè la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse economiche e finanziarie necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale,