Il registro delle verifiche del Green pass: una nuova leggenda metropolitana

A solo pochi giorni dall’entrata in vigore dell’obbligo di possesso (e di esibizione) della certificazione verde Covid-19, si va consolidando una prassi profondamente errata, veicolata (purtroppo) anche da importanti associazioni di categoria, società di consulenza in materia di sicurezza sul lavoro e improvvisati autori, consistente nel suggerimento all’adozione di un registro sul quale annotare quotidianamente i risultati delle verifiche effettuate.
Quanto c’è di legale in questa prassi?

Sul web risultano facilmente reperibili una grande varietà di modelli e formulari utilizzabili quale registro per le verifiche del Green Pass che prevedono audacemente la compilazione di elementi quali l’esito della verifica del possesso del Green Pass e la sottoscrizione di convalida da parte del lavoratore interessato.

I sostenitori di questo strumento ne ravvisano l’opportunità al fine di cautelare il datore di lavoro in caso di accertamenti ispettivi in azienda o da ipotetiche liti insorgenti con gli stessi lavoratori.

Va precisato fin da subito che tale presidio è frutto di una pura invenzione giornalistica e che l’adozione di tale procedura può, al contrario, essere fonte di serie ipotesi sanzionatorie ai fini della normativa di tutela dei dati personali (GDPR).

 

Il registro delle verifiche del Green Pass non esiste!

registro verifiche green passLa norma che disciplina l’obbligo del possesso della certificazione verde Covid-19 (rilasciabile esclusivamente a seguito di profilassi vaccinale, guarigione dal covid o all’esito negativo di un test antigenico o molecolare) non riporta alcun riferimento alla possibilità di prendere nota delle verifiche effettuate e non prevede, tra gli obblighi a carico del datore di lavoro, l’istituzione di alcun registro, documento, scheda o formulario.

Questo comporta che la mancanza del presidio non potrà mai essere oggetto di sanzione da parte dei soggetti abilitati ai controlli.

 

Cosa prevede la legge

Il dettato normativo, mai come in questo caso, risulta chiaro e privo di passaggi ambigui che possano indurre ad acrobazie interpretative.

L’art. 9-septies (riferito al settore privato) del D.L. 22 aprile 2021, n. 52 prescrive l’obbligo:

  • per i lavoratori di possedere e di esibire a richiesta la certificazione Covid-19 ai fini dell’accesso ai luoghi in cui esercitano attività lavorativa (comma 1);
     
  • per i datori di lavoro di:
    • verificare il rispetto delle prescrizioni gravanti sui lavoratori;
    • definire le modalità operative di effettuazione delle verifiche entro la data del 15 ottobre scorso;
    • individuare con atto formale i soggetti incaricati all’accertamento delle violazioni.

Tali prescrizioni sono sostenute dall’applicazione di sanzioni previste in capo ai:

  • lavoratori che accedono ai luoghi di lavoro privi della certificazione;
     
  • datori di lavoro che violano le disposizioni sugli stessi ricadenti (obbligo di verifica, adozione delle procedure, designazione formale degli incaricati).

 

Chi può effettuare i controlli in azienda

Le sanzioni previste per i lavoratori inadempimenti sono accertate dai soggetti designati dal datore di lavoro, tenuti a comunicare al Prefetto territorialmente competente l’accertata trasgressione per la successiva irrogazione della relativa sanzione amministrativa.

Le inadempienze dei datori di lavoro risultano invece accertabili da personale ispettivo di:

  • azienda sanitaria locale territorialmente competente;
  • Ispettorato nazionale del lavoro;
  • forze di polizia;
  • corpi di polizia municipale;
  • forze armate.

Tuttavia il personale dei corpi di polizia municipale (o provinciale) e delle forze armate, potrà essere impiegato a tali fini esclusivamente qualora il Prefetto territorialmente competente provvedesse a conferire loro la qualifica di agenti di pubblica sicurezza.

 

Come documentare l’osservanza delle prescrizioni normative

Come detto, gli obblighi ricadenti sul datore di lavoro sono chiaramente definiti:

registro verifiche green pass

La corretta designazione degli incaricati risulta facilmente accertabile dal personale ispettivo in quanto è sufficiente richiedere l’esibizione del documento stilato dal datore di lavoro e controfirmato per ricevuta ed accettazione dal soggetto incaricato.

Probabilmente, con colpevole semplicismo, qualcuno ha ritenuto che una prova documentale autoprodotta potesse risultare utile a comprovare anche una perfetta compliance con le ulteriori prescrizioni.

Risulta tuttavia evidente che un documento di pianificazione delle procedure da attuare, per quanto completo e stilisticamente impeccabile, non possa essere idoneo a dimostrare che tali procedure siano state effettivamente attuate e, pertanto, il mero possesso del “manuale delle procedure” non potrà in alcun modo certificare la regolarità del datore di lavoro.

Allo stesso modo la tenuta di un registro, non previsto dalla normativa, redatto senza formalità e senza che possa garantire la tempistica della sua compilazione, non sarà in grado di costituire prova di ottemperanza.

 

L’istituzione di un registro per le verifiche del Green pass è illecito

Mentre la produzione di un articolato manuale delle procedure (per quanto ininfluente ai sensi dell’applicazione delle previste sanzioni) può rappresentare una metodologia aziendale utile ai fini organizzativi interni, va considerato invece che la tenuta di un registro è da considerarsi addirittura illegittima.

Ciò in quanto, come specificato nei due D.P.C.M. varati dall’esecutivo in data 12 ottobre 2021 (concernenti le modalità di verifica del possesso delle certificazioni verdi COVID-19 in ambito lavorativo e le linee guida per il personale della P.A.) il trattamento dei dati è consentito esclusivamente per l’applicazione delle misure disciplinari o sanzionatorie, e pertanto limitatamente ai dati anagrafici dei lavoratori accertati non in regola con il possesso del Green Pass.

Ogni ulteriore trattamento effettuato dal datore di lavoro (come ad esempio la tenuta di un registro) risulterà di conseguenza non lecito in quanto non conforme alle finalità legislative con le conseguenze sanzionatorie previste, anche di carattere penale.

 

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A cura di Massimiliano De Bonis

Venerdì 22 ottobre 2021