La crisi da sovraindebitamento ha subìto delle modifiche sostanziali per cui il suo destinatario, da essere solo un privato consumatore, si è ampliato anche al socio illimitatamente responsabile della società.
Crisi da sovraindebitamento e procedura di composizione della crisi
Per far fronte a quelle situazioni di sovraindebitamento non soggette nè assoggettabili a procedure concorsuali, differenti da quelle che la stessa L. n. 3/2012 (“Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento”) regolamenta, si permette al debitore di giungere ad un accordo con i creditori nell’ambito della procedura di composizione della crisi che la ridetta legge disciplina.
Con le medesime finalità, il consumatore può avanzare ai creditori un piano fondato sulle regole su cui ci si sofferma di seguito.
I due termini della crisi da sovraidebitamento
E’ necessario definire i seguenti due termini:
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Sovraindebitamento
E’ la situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio del consumatore, qualora fosse liquidato per ottemperare alle obbligazioni assunte, che attesta la notevole difficoltà di soddisfare dette obbligazioni, ovvero la definitiva impossibilità di soddisfarle regolarmente;
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Consumatore
E’ la persona fisica che ha contratto i debiti per motivazioni diverse da quelle relative all’attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale eventualmente svolta, anche se socio di una società disciplinata dal codice civile, per i debiti estranei a quelli sociali.
Di conseguenza, rientra nella procedura in esame il sovraindebitamento che sorge per esigenze diverse da quelle d’impresa, cioè quello derivante esclusivamente da obbligazioni assunte per la famiglia o a livello personale (nel corso del presente lavoro, si accerterà che la predetta definizione non è esaustiva, vista la successiva apertura della stessa L. n. 3/2012 a disciplinare ipotesi diverse da quelle strettamente personali o familiari).
A quest’ultimo proposito, si registrano le seguenti sentenze (si consiglia di valutarle alla luce dell’art. 4-ter, comma 1, lett. b), n. 3), del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, indicato di seguito):
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Corte di Cassazione, sez. I, dell’1 febbraio 2016, n. 1869
ha affermato che il “consumatore abilitato al piano”, quale modalità di ristrutturazione del debito e per l’esercizio delle altre prerogative che la relativa L. n. 3/2012 accorda, comprende solo il debitore, persona fisica, che abbia contratto obbligazioni, non onorate quando il piano è proposto, per far fronte ad esigenze personali, familiari ovvero attinenti agli impegni derivanti dall’espressione della propria personalità sociale e, dunque, anche a favore di terzi, ad esclusione di quelli derivanti dall’eventuale propria attività professionale o d’impresa;
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Tribunale di Salerno, con decreto del 24 luglio 2020
ha ritenuto che un consorzio di comuni, costituito per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, quale ente pubblico economico, non essendo assoggettabile a fallimento, può essere ammesso alla procedura di sovraindebitamento della liquidazione dei beni, anche per l’assenza del fine di lucro;
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Tribunale di Bergamo, con decreto del 16 gennaio 2019
ha ritenuto inammissibile il piano del consumatore proposto da un condominio di edifici, perché, ai sensi dell’art. 6, comma 2, lett. b), L. n. 3/2012, solo una persona fisica può essere qualificata “consumatore” e il condominio non è riconducibile ad una “persona fisica”;
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Tribunale di Milano, Sez. spec. in materia di imprese, con l’ordinanza del 16 maggio 2015
ha escluso che il socio unico e amministratore della società, che abbia prestato fideiussione a favore della medesima, possa essere considerato consumatore ex art. 6, della L. 3/2012, in quanto, nella fattispecie al suo giudizio, non si trattava di obbligazione contratta per soddisfare bisogni attinenti alla sfera personale e familiare del ricorrente, ma tendeva ad assicurare finanziamenti alla società.
I presupposti di ammissibilità
In base al successivo art. 7, della L. n. 3/2012, il debitore (persona fisica) che si trova in stato di sovraindebitamento può proporre ai creditori, con l’ausilio degli organismi di composizione della crisi che hanno sede nel circondario del tribunale competente per territorio, un accordo di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti sulla base di un piano che, dopo aver garantito l’osservanza alle rispettive scadenze di crediti impignorabili dei creditori, secondo quanto stabilito dall’art. 545 c.p.c. (si veda l’Allegato A) e da altre disposizioni contenute in leggi speciali:
- preveda scadenze e modalità di pagamento dei creditori, anche se suddivisi in classi;
- indichi le eventuali garanzie rilasciate per l’adempimento dei debiti e le modalità per l’eventuale liquidazione dei beni.
L’accordo di ristrutturazione può prevedere che i crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca non siano soddisfatti integralmente, a condizione che sia garantito il pagamento in misura almeno analoga a quella realizzabile, tenuto conto dell’ordine preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, con riferimento al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali insiste la causa di prelazione, come accertato dagli organismi di composizione della crisi.
Quindi, supponendo che Tizio abbia un credito verso il debitore consumatore di € 1.000, garantito da un pegno su di un motociclo del valore di mercato (all’epoca che il credito era stato concesso di € 1.300), al momento della redazione del piano relativo all’accordo di ristrutturazione, di € 800, occorre che il piano assicuri che il creditore possa incassare almeno € 800.
Anche la Corte di Cassazione, Sez. VI – 1, con l’ordinanza del 18 febbraio 2021, n. 4270, ha ritenuto ammissibile un accordo di ristrutturazione del debito che preveda, per i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, di essere soddisfatti parzialmente, ma, comunque, in misura non inferiore a quella realizzabile in sede di liquidazione.
Nella fattispecie al suo esame, la Suprema Corte ha cassato con rinvio il decreto della Corte di Appello che aveva negato l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti, asserendo che non era ammessa la falcidia parziale dei crediti muniti di privilegio generale.
Fermo restando quanto disposto dal successivo art. 13, della L. n. 3/2012 (“Se per la soddisfazione dei crediti sono utilizzati beni sottoposti a pignoramento ovvero se previsto dall’accordo o dal piano del consumatore, il giudice, su proposta dell’organismo di composizione della crisi, nomina un liquidatore che dispone in via esclusiva degli stessi e delle somme incassate. Si applica l’articolo 28 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267”), il piano può anche prevedere che il patrimonio del debitore sia affidato ad un gestore, perché curi la liquidazione, la custodia e la distribuzione del ricavato ai creditori.
Sempre l’art. 7, della L. n. 3/2012, individua il gestore, in un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 28[1], del R.D. 16 marzo 1942, n. 267.