La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia ha confermato la tesi difesa dall’avvocato Paolo Franzoni, riconoscendo illegittima l’applicazione dell’imposta di registro sull’omologa del concordato fallimentare con assuntore nella misura del 3% del debito accollato.
L’imposta di registro nel concordato fallimentare
La sentenza n. 2838/2020 della CTR Lombardia, che conferma il pronunciamento in primo grado, ricorda che in base all’art. 21, terzo comma, TUR, “non sono soggetti ad imposta gli accolli di debiti ed oneri collegati e contestuali ad altre disposizioni”.
L’Erario può pertanto percepire soltanto l’imposta normalmente dovuta sul trasferimento all’assuntore dell’attivo fallimentare, secondo la composizione di questo, similmente a quanto accadrebbe ove tale trasferimento avvenisse non tanto nell’ambito di una procedura concorsuale ma nel contesto di un negozio ordinario, peraltro in conformità ad un ovvio principio di eguaglianza sostanziale.
È opportuno ricordare che la prassi dell’Agenzia delle Entrate prevede una duplice liquidazione dell’imposta, sull’attivo trasferito e sull’accollo, seguito dal confronto tra i due importi, per la finale applicazione del più alto tra i due.
Nel giudicare anche tale prassi, la CTR Lombardia ha escluso che questa prassi sia conforme al diritto.
Nella sostanza, un tale indirizzo giurisprudenziale, contribuendo ad alleggerire i costi indiretti dei concordati (fallimentare o preventivo) con assuntore, va a beneficio indiretto dei creditori, ai quali i proponenti potrebbero indirizzare offerte a questo punto corrispondentemente aumentate.
L’importanza del principio per il concordato fallimentare
Il concordato fallimentare – oggetto del caso esaminato dalla CTR – costituisce uno strumento giuridico in grado di chiudere anticipatamente la procedura di fallimento attraverso il soddisfacimento dei creditori da parte di un soggetto terzo.
In particolare, nel concordato fallimentare “la proposta presentata da uno o più creditori o da un terzo può prevedere la cessione, oltre che dei beni compresi nell’attivo fallimentare, anche delle azioni di pertinenza della massa, purché autorizzate dal giudice delegato, con specifica indicazione dell’oggetto e del fondamento della pretesa”, come stabilisce l’art. 124 della legge fallimentare.
La sentenza può avere importanti riflessi sulle procedure concorsuali, con un minor onere fiscale a carico dei beni aziendali e quindi in definitiva a vantaggio dei creditori.
A cura di Attilio De Pascalis
Venerdì 22 gennaio 2021
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