Al fine di sostenere ed incentivare l’adozione di misure legate alla necessità di adeguamento dei processi produttivi e degli ambienti di lavoro per contrastare la diffusione del coronavirus è riconosciuto un credito d’imposta in misura pari al 60% delle spese sostenute nel 2020…
Adeguamento ambienti di lavoro: premessa normativa
L’articolo 120, del D.L. n. 34/2020 [1], al fine di sostenere ed incentivare l’adozione di misure legate alla necessità di adeguamento dei processi produttivi e gli ambienti di lavoro, riconosce ai soggetti esercenti attività d’impresa, arte o professione in luoghi aperti al pubblico[2], alle associazioni, alle fondazioni e agli altri enti privati[3], compresi gli enti del Terzo settore[4], un credito d’imposta in misura pari al 60% delle spese sostenute nel 2020, per un massimo di 80.000 euro, in relazione agli interventi necessari per far rispettare le prescrizioni sanitarie e le misure di contenimento contro la diffusione del virus COVID-19, nonchè in relazione agli investimenti in attività innovative.
(Per approfondire…“Credito d’imposta per sanificazione e adeguamento ambienti di lavoro” )
Tale limite massimo è riferito all’importo delle spese ammissibili e, dunque, l’ammontare del credito non può eccedere il limite di 48.000 euro[5].
Pertanto, nel caso in cui dette spese siano superiori a tale ultimo importo, il credito spettante sarà sempre pari al limite massimo consentito di 48.000 euro[6].
Il credito d’imposta per l’adeguamento degli ambienti di lavoro è riconosciuto a favore degli operatori con attività aperte al pubblico.
In particolare, deve trattarsi di:
- attività di impresa, arte o professione esercitata in luogo aperto al pubblico (ovvero in luogo al quale il pubblico possa liberamente accedere, senza limite o nei limiti della capienza, ma solo in certi momenti o alle condizioni poste da chi esercita un diritto sul luogo);
- associazioni, fondazioni e altri enti privati compresi gli enti del Terzo settore.
Il perimetro soggettivo di applicazione del credito d’imposta in questione investe:
- gli imprenditori individuali e le società in nome collettivo e in accomandita semplice che producono reddito d’impresa indipendentemente dal regime contabile adottato;
- gli enti e società indicati nell’articolo 73, comma 1, lettere a) e b), del T.U.n.917/1986;
- le stabili organizzazioni di soggetti non residenti di cui alla lettera d), del comma 1, dell’articolo 73 del T.U.n.917/1986;
- le persone fisiche e le associazioni di cui all’articolo 5, comma 3, lettera c), del T.U.n.917/1986 che esercitano arti e professioni, producendo reddito di lavoro autonomo ai sensi dell’articolo 53 dello stesso T.U.n.917/1986.
Conseguentemente, rileva la circolare n.20/E/2020, sono esclusi coloro che, svolgendo attività commerciali non esercitate abitualmente o attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente, conseguono redditi diversi, ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lettere i) e l), del T.U.n.917/1986[7].
Non essendo prevista alcuna distinzione tra le attività in funzione del regime fiscale adottato, devono ritenersi inclusi nell’ambito soggettivo:
- i soggetti in regime forfetario di cui all’articolo 1, commi 54 e seguenti della L.190/2014;
- i soggetti in regime di vantaggio di cui all’articolo 27, commi 1 e 2 del D.L.n.98/2011, conv. con modif. in L.n.111/2011;
- gli imprenditori e le imprese agricole, sia che determinino per regime naturale il reddito su base catastale, sia che producono reddito d’impresa.
Resta fermo che i soggetti appena menzionati devono svolgere effettivamente una delle a