Per le società di comodo vale il diniego del rimborso IVA

di Gianfranco Costa Alessandro Marcolla

Pubblicato il 28 agosto 2020

Cosa accade se a chiedere il rimborso IVA sono le società di comodo? Una risposta ci arriva anche dalla Cassazione.

Richiesta di rimborso IVA: premessa

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Come stabilito dall’art. 19, primo comma del DPR n. 633/1972:

Per la determinazione dell'imposta dovuta a norma del primo comma dell'art. 17 o dell'eccedenza di cui al secondo comma dell'art. 30, è detraibile dall'ammontare dell'imposta relativa alle operazioni effettuate, quello dell'imposta assolta o dovuta dal soggetto passivo o a lui addebitata a titolo di rivalsa in relazione ai beni ed ai servizi importati o acquistati nell'esercizio dell'impresa, arte o professione.

Il diritto alla detrazione dell'imposta relativa ai beni e servizi acquistati o importati, sorge nel momento in cui l'imposta diviene esigibile ed è esercitato al più tardi con la dichiarazione relativa all'anno in cui il diritto alla detrazione è sorto ed alle condizioni esistenti al momento della nascita del diritto medesimo”.

Dalla lettura della norma si ricava facilmente che il contribuente deve presentare la dichiarazione IVA per poter compensare o chiedere a rimborso l’imposta a credito.

Con queste premesse ci occuperemo nel prosieguo di verificare cosa accade qualora a chiedere il rimborso sia una società di comodo.

 

Le società di comodo

Come noto le società di comodo sono quelle società che non svolgono alcuna attività imprenditoriale e che per questi motivi sono considerate “non operative”.

Al fine di individuare questi organismi il Legislatore, con l’art. 30, commi da 1 a 4-bis della Legge n. 724/1994, da ultimo modificato dall’art. 7 del Dlgs n. 156/2015, ha introdotto una specifica tecnica accertativa che riportiamo nel seguente prospetto.

Art. 30 Legge n. 724/1994

Comma 1

Agli effetti del presente articolo le società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata, in nome collettivo e in accomandita semplice, nonché le società e gli enti di ogni tipo non residenti, con stabile organizzazione nel territorio dello Stato, si considerano non operativi se l'ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, risultanti dal conto economico, ove prescritto, è inferiore alla somma degli importi che risultano applicando le seguenti percentuali:

a)     il 2 per cento al valore dei beni indicati nell'art. 85, comma 1, lett. c), d) ed e del DPR n. 917/1986, e delle quote di partecipazione nelle società commerciali di cui all'articolo 5 del medesimo testo unico, anche se i predetti beni e partecipazioni costituiscono immobilizzazioni finanziarie, aumentato del valore dei crediti;

b)     il 6 per cento al valore delle immobilizzazioni costituite da beni immobili e da beni indicati nell'art. 8-bis, primo comma, lettera a), del DPR n. 63371972, e successive modificazioni, anche in locazione finanziaria; per gli immobili classificati nella categoria catastale A/10, la predetta percentuale è ridotta al 5 per cento; per gli immobili a destinazione abitativa acquisiti o rivalutati nell'esercizio e nei due precedenti, la percentuale è ulteriormente ridotta al 4 per cento; per tutti gli immobili situati in comuni con popolazione inferiore a 1.000 abitanti la percentuale è dell'1 per cento;

c)     il 15 per cento al valore delle altre immobilizzazioni, anche in locazione finanziaria. Le disposizioni del primo periodo non si applicano:

1.     ai soggetti ai quali, per la particolare attività svolta, è fatto obbligo di costituirsi sotto forma di società di capitali;

2.     ai soggetti che si trovano nel primo periodo di imposta;

3.     alle società in amministrazione controllata o straordinaria;

4.     alle società ed enti che controllano società ed enti i cui titoli sono negoziati in mercati regolamentati italiani ed esteri, nonché alle stesse società ed enti quotati ed alle società da essi controlla