Società non operativa: possibile il rimborso del credito IVA, lo dice la Cassazione

segnaliamo una recente sentenza di Cassazione che ammette anche per la società non operativa il diritto ad esercitare la detrazione IVA ed ottenere il conseguente rimborso dell’eccedenza dell’imposta

La società non operativa può esercitare il diritto alla detrazione ed ottenere il conseguente rimborso del credito IVA.

L’interessante principio è contenuto nella recentissima sentenza n. 18807/2017 della Cassazione da cui emerge che tale diritto è riconosciuto in virtù del principio fondamentale di neutralità dell’Iva, anche se la società non abbia presentato l’interpello disapplicativo.

La detrazione dell’Iva è disciplinata dall’art. 19 del D.P.R. n. 633/1972, il quale stabilisce che è detraibile dall’ammontare dell’imposta relativa alle operazioni effettuate, la parte dell’imposta assolta o dovuta dal soggetto passivo o a lui addebitata a titolo di rivalsa per i beni ed i servizi importati o acquistati nell’esercizio dell’impresa, arte o professione.

Ai fini IVA, la normativa prevede tre tipi di operazioni, ossia operazioni imponibili, operazioni non imponibili e operazioni esenti (c.d. operazioni incluse nel campo IVA) che devono essere formalizzate, mediante fatturazione, registrazione ed esposizione in dichiarazione, ma che si distinguono in virtù di un proprio regime normativo. Altri tipi di operazioni soggette ad IVA sono quelle rientranti in regimi speciali o le operazioni senza pagamento dell’imposta.

La disciplina fiscale delle società non operative è contenuta nell’art. 30 della Legge n. 724/1994; dall’art. 1, cc. 128 e 129, della legge, n. 244/2007, e, da ultimo, dall’art. 2, cc. da 36-decies a 36-duodecies, del d.l. 138/2011, convertito dalla legge n. 148/2011) che ha previsto l’ampliamento della categoria delle società non operative anche ai soggetti in «perdita sistematica».

Per quanto attiene l’istanza di disapplicazione si evidenzia che la medesima, ancorché obbligatoria, non rappresenta imprescindibile presupposto ai fini della disapplicazione della normativa in esame; l’omessa presentazione della stessa, infatti, non preclude al contribuente la possibilità di impugnare l’avviso di accertamento in cui si contesti la disapplicazione del regime delle società non operative.

In tema di rimborso Iva 2017, il Legislatore ha introdotto disposizioni più semplici per il contribuente (cfr. D.L. n. 193/2016, convertito dalla legge n. 225/2016, modificativo dell’art. 38-bis Dpr n. 633/1972). Infatti per i rimborsi di importo da 15.000 € a 30.000 € non è necessario presentare garanzie e visti di conformità; il recupero del credito Iva, ai sensi dell’art. 30 del D.P.R. 633/1972, può essere anche utilizzato anche in compensazione per il pagamento di debiti e imposte.

Il rimborso Iva annuale, effettuato entro tre mesi dalla data di presentazione della dichiarazione Iva 2017, non richiede eventuali garanzie fino al nuovo limite di 30.000 € e i medesimi limiti valgono anche per il rimborso dell’imposta infrannuale. Per i rimborsi superiori ai 30.000 euro, la nuova normativa si applica ai soggetti cd virtuosi ossia ai soggetti che esercitano l’attività d’impresa da almeno 2 anni. Per richieste di rimborso Iva 2017 che superino 30.000 € devono presentare garanzia patrimoniale i cosiddetti contribuenti non virtuosi (art. 38-bis c. 4 D.P.R. 633/1972).

Nel caso di specie la società contribuente otteneva il rimborso dell’Iva anno 2007 ex art. 30, comma 3, Dpr n. 633/1972 e in seguito l’amministrazione finanziaria ne richiedeva la restituzione in quanto la società, pur essendo risultata non operativa per il triennio precedente, non aveva presentato istanza di interpello.

La società ha impugnato l’accertamento ottenendo l’annullamento del medesimo in primo grado; decisione confermata in appello dove i giudici hanno valorizzato le vicende societarie idonee a dimostrare l’impedimento ai regolare svolgimento dell’attività. L’amministrazione finanziaria ha proposto ricorso per cassazione eccependo la violazione dell’art. 30 Dpr n. 633/72 (versamento di conguaglio e rimborso dell’eccedenza) in quanto il ricavo scaturente dalla plusvalenza può dimostrare la gestione ordinaria dell’impresa e dall’altra quest’ultima era tenuta a ricorrere allo strumento dell’interpello disapplicativo ex art. 37-bis, c. 8, DPR n. 600 del 1973.

I giudici della Corte, non accogliendo il ricorso dell’ufficio, hanno affermato che in materia di Iva, in virtù del principio fondamentale di neutralità, la società ritenuta “non operativa” può esercitare il diritto alla detrazione ed ottenere il conseguente rimborso dell’eccedenza dell’imposta detraibile anche se non abbia presentato l’interpello disapplicativo previsto, fatta eccezione se i costi sono fittizi e sia quindi configurabile una fattispecie fraudolenta o comunque elusiva.

La Corte ha affermato, inoltre, che la prova per la sussistenza del diritto in parola può essere fornita anche in sede processuale ossia al di fuori della procedura prevista dal combinato disposto dai citato artt. 30 e 37-bis del Dpr n. 600/1973.

Anche laddove l’interpello sia stato proposto dal contribuente, la risposta fornita dalla pubblica amministrazione ha valore di parere, a cui lo stesso contribuente  può non adeguarsi, il che non è in alcun modo lesivo della posizione del contribuente; quest’ultimo potrà impugnare comunque gli atti con cui si dovesse fare applicazione delle norme antielusive il cui esonero sia stato negato.

La giurisprudenza ha affermato in passato che la detrazione dell’Iva sussiste in presenza di documentate spese di investimento, sostenute in vista dello svolgimento di attività lucrativa articolata in un’iniziativa complessa e quantitativamente rilevante, anche in assenza di operazioni attive (Cass nn. 5080/2017 e n. 27198/2013).

 

13 ottobre 2017

Davide Di Giacomo