La Cassazione continua a recepire la norma che prevede la non automaticità dell’accertamento sull’imposta di registro per calcolare eventuali plusvalenze non dichiarate ai fini delle imposte sui redditi.
La determinazione della plusvalenza reddituale
Con la sentenza n. 13571 del 30 maggio 2017, la Corte di Cassazione ritorna sulla questione relativa alla plusvalenza reddituale, determinata solo sulla rettifica del maggior valore accertato ai fini dell’imposta di registro.
Fatti di causa
L’impugnazione investe l’avviso di accertamento notificato ai fini Irpef in relazione alla plusvalenza realizzata per la cessione di un terreno edificabile: plusvalenza calcolata prendendo in considerazione il valore accertato ai fini dell’imposta di registro.
Ragioni della decisione
Per la Corte,
“l’illegittimità della determinazione della base imponibile sulla base del valore separatamente determinato dall’ufficio ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, discende … dallo ius superveniens rappresentato dal d.lgs. 14 settembre 2015, n. 147, il quale all’art. 5, comma 3, prevede che «gli articoli 58, 68, 85 e 86 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e gli articoli 5, 5-bis, 6 e 7 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende nonché per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347”.
La Corte intende dare continuità al principio secondo cui
“la norma è da ritenersi applicabile anche ai giudizi in corso atteso l’intento interpretativo chiaramente espresso dal legislatore e considerato che, come affermato tra le altre da Corte Cost. n. 246 del 1992, il carattere retroattivo costituisce elemento connaturale alle leggi interpretative.
Peraltro, anche ove volesse porsi in dubbio che la norma in esame sia effettivamente interpretativa, è certo che se il riferimento alla interpretazione da attribuire a norme precedenti non serve per ciò solo ad attribuire ad una norma carattere interpretativo (ove tale carattere essa non abbia effettivamente), tuttavia testimonia l’intento del legislatore di attribuire ad essa il carattere retroattivo che è proprio della norma interpretativa, intento che nella specie trova ulteriore conferma nel comma 4 del citato art. 5, laddove si prevede che le disposizioni di cui al comma 1 si applicano a decorrere dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, ma nulla si prevede per i commi 2 e 3 (disposizioni formulate come norme interpretative): circostanza, questa, che contribuisce a togliere ogni dubbio circa l’intento del legislatore di attribuire carattere retroattivo alle previsioni dei suddetti commi
(così, in motivazione, Cass., 15/04/2016, n. 7488; v. anche Cass. 10/02/2017, n. 3590)”.
Tuttavia, i giudici dl Palazzaccio,
“considerato che l’esito della causa discende dall’applicazione di norma che, ancorché dichiaratamente interpretativa, ha indubbia portata innovativa del quadro giurisprudenziale preesistente (invero, consolidato da oltre un decennio nel senso di ritenere l’Amministrazione finanziaria legittimata a procedere in via induttiva all’accertamento della plusvalenza di cessione di un terreno edificabile sulla base dell’accertamento di valore effettuato in sede di applicazione dell’imposta di registro, salva per il contribuente la facoltà e l’onere della prova contraria: v. e pluribus Cass., nn. 13823/2014; 14571/2013; 5070/2011, 22793/2010; 4057/2007)”,
ravvisano i presupposti per la compensazione tra le parti delle spese processuali.
NOTE
L’art. 5, c. 3, del D.Lgs. n. 147 del 14 settembre 2015, in G.U. n.220 del 22 settembre 2015, norma entrata in vigore il 7 ottobre 2015, è intervenuto sulla prassi degli uffici di rettificare, per quel che qui ci interessa1, ai fini reddituali, la plusvalenza dichiarata a seguito di cessione di un bene immobili (art. 67,del TUIR) sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al D.P.R. n. 131/86.
Il nuovo dettato normativo prevede che “Gli articoli 58, 68, 85 e 86 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e gli articoli 5, 5-bis, 6 e 7 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende nonchè per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347”.
Sulla base di tale dettato normativo, la tecnica accertativa utilizzata finora dagli uffici finanziari non potrà più essere utilizzata.
Infatti, la norma di interpretazione autentica introdotta dall’art. 5, c. 3, del D.Lgs. n. 147/2015 impone l’acquisizione di ulteriori elementi e circostanze, anche se presuntivi.
Sul punto, la posizione della Corte di Cassazione appare netta.
La Suprema Corte, con la sentenza n. 18234 del 16 settembre 2016, ha confermato che in caso di cessione di immobile o di azienda, il maggior valore definito ai fini dell’imposta di registro non è applicabile automaticamente alle imposte dirette.
Né è presumibile un maggior corrispettivo soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito ai fini delle imposte di registro ovvero delle imposte ipotecaria e catastale.
La Corte prende atto che, nelle more del giudizio, è sopravvenuto l’art. 5, c. 3, del D.lgs. n. 147/2015, norma che ha sancito che le disposizioni in tema di imposizione diretta sulle plusvalenze da cessioni di immobili e di aziende ovvero da costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, si interpretano nel senso che, in proposito, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito a fini dell’imposta dì registro di cui al d.p.r. 131/1986 ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al d.lgs. 347/1990. Viene, quindi, rilevato che “questa Corte ha già ripetutamente affermato l’applicabilità della norma anche a situazioni oggetto di giudizi in corso all’atto della sua entrata in vigore (cfr. Cass. 11543/16, 7488/16, 6135/16), in base al rilievo (v., anche, Cass. 23550/15) che l’esplicita attribuzione alla norma di portata interpretativa di disposizione previgente – se non rende la norma, per ciò stesso, effettivamente interpretativa – le conferisce, di certo, carattere retroattivo, giacché attesta l’intento del legislatore di attribuire alla norma medesima quell’efficacia retroattiva (e, dunque, portata regolatrice di fattispecie formatesi precedentemente alla sua entrata in vigore), che, delle leggi interpretative, costituisce elemento connaturale (cfr., tra le altre, C.cost. 246/1992)”.
Ancora di recente, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n.1823 del 24 gennaio 2017, ha confermato che l’avviso di accertamento con cui l’ufficio determina la plusvalenza in caso di cessione di immobile, sulla base del maggior valore definito ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale non è legittimo, ribadendo la natura interpretativa della norma introdotta nel 2015, avente valore quindi anche per il passato.
26 giugno 2017
Gianfranco Antico
1 La norma interessa, altresì, anche la plusvalenza dichiarata a seguito di cessione d’azienda (art.86 del TUIR).