Omessa dichiarazione: può essere incolpato il commercialista incaricato della presentazione?

Il contribuente a cui venga contestata la mancata presentazione della dichiarazione dei redditi e l’omessa tenuta delle scritture contabili obbligatorie non può considerarsi esente da colpa per il solo fatto di aver incaricato un professionista delle relative adempienze, dovendo egli altresì allegare e dimostrare, al fine di escludere ogni profilo di negligenza, di avere svolto atti diretti a controllare la loro effettiva esecuzione.

sentenza corte di cassazioneI presupposti di colpa del contribuente

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 13709 del 05.07.2016 ha espresso interessanti considerazioni in tema di responsabilità del contribuente anche in caso di mandato al professionista per adempiere ai propri obblighi fiscali.

Nel caso di specie il contribuente ricorreva nei confronti dell’Agenzia delle entrate, per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale, che, in riforma della sentenza di primo grado, aveva affermato la legittimità dell’avviso di accertamento

Nel ricorrere davanti alla Suprema Corte, il contribuente deduceva, tra le altre, la violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del D.lgs. n. 472/1997, non essendosi i giudici di appello pronunciati sull’eccepita illegittimità delle sanzioni applicate per omessa presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all’anno 2007, essendo stata allegata la colpa del professionista incaricato per la relativa presentazione.

La censura, secondo i giudici di legittimità, era infondata.

La Corte ha infatti già affermato, in generale, con riguardo alla volontarietà del comportamento sanzionabile, che

“ai sensi del D.lgs. 472/1997 art. 5, la violazione delle norme tributarie suscettibile di sanzione da parte della legge richiede che il comportamento addebitato sia posto in essere con dolo o anche colpa;https://www.commercialistatelematico.com/categorie/consulenza-del-lavoro il contribuente a cui venga contestata la mancata presentazione della dichiarazione dei redditi e l’omessa tenuta delle scritture contabili obbligatorie non può considerarsi esente da colpa per il solo fatto di aver incaricato un professionista delle relative adempienze, dovendo egli altresì allegare e dimostrare, al fine di escludere ogni profilo di negligenza, di avere svolto atti diretti a controllare la loro effettiva esecuzione, prova nel caso concreto superabile soltanto a fronte di un comportamento fraudolento del professionista, finalizzato a mascherare il proprio inadempimento” (Cass. 12473/2010).

I giudici ricordano infine che la medesima Corte, anche in sede penale, ha confermato il consolidato principio di diritto secondo cui l’affidamento ad un commercialista del mandato a trasmettere per via telematica la dichiarazione alla competente Agenzia delle Entrate non esonera il soggetto obbligato alla dichiarazione fiscale a vigilare affinché tale mandato sia puntualmente adempiuto (Cass. 675/2015;18448/15; cfr. anche Cass. pen.16958/12).

Anche laddove peraltro sia provata la denuncia presentata dalla società ed il rinvio a giudizio del professionista autore della condotta criminosa contestata, tali fatti non sarebbero sufficienti ad eliminare la responsabilità del contribuente, non essendo possibile invocare l’esimente di cui all’art. 6, co 3 del Dlgs 472/97, in base al quale “… il contribuente non è punibile quando dimostra che il pagamento del tributo non è stato eseguito per fatto denunciato all’A.G. ed addebitabile esclusivamente a terzi”.

Capita in tali contenziosi che il ricorrente sostenga dunque che tutta la colpa (della omessa dichiarazione, della mancata presentazione della documentazione richiesta…) non era sua, ma solo del professionista che gli teneva la contabilità, contro il quale magari ha anche presentato querela per truffa.

Secondo tale linea di difesa, pertanto, non essendo l’inadempimento tributario dovuto a causa a lui imputabile, non gli dovrebbero essere applicate quanto meno le sanzioni.

Tale linea, però, come visto, difensiva non è sostenibile, non potendo esimere il contribuente dalla responsabilità (fiscale) delle sanzioni correlate al mancato pagamento dell’imposta dovuta.

A prescindere infatti dalle eventuali responsabilità penali o civilistiche, ciò di cui il contribuente è in questi casi chiamato a rispondere è esclusivamente la responsabilità fiscale di quanto da lui dovuto a titolo di imposta per l’anno relativamente al quale ha omesso di presentare la dichiarazione.

La sanzione posta a carico del soggetto inadempiente è dunque conseguenza automatica e proporzionale al tributo evaso.

Nell’invio telematico delle dichiarazioni fiscali da parte dell’intermediario (professionista), del resto, sussiste un’autonoma e specifica forma di responsabilità riscontrabile a carico dello stesso.

La buona fede del contribuente (anche laddove fosse provata) non lo mette quindi comunque al riparo dalle conseguenze accertative ai fini fiscali.

Accade spesso infatti di assistere a contenziosi in cui il contribuente impugna l’avviso di accertamento, sostenendo di essere stato vittima del proprio commercialista, il quale, senza plausibile giustificazione, non ha trasmesso in via telematica al competente ufficio la dichiarazione dei redditi.

L’assenza di colpa (comunque da dimostrarsi) dovrebbe allora condurre all’illegittimità dell’accertamento.

L’intermediario risponderà però, come detto, per le proprie violazioni e sarà sottoposto alle specifiche sanzioni previste; ma queste saranno comunque diverse rispetto a quelle a carico del contribuente, solo soggetto di imposta e solo “referente” di fronte all’Erario.

L’omessa trasmissione della dichiarazione da parte degli intermediari abilitati costituisce infatti una violazione autonoma, che soggiace alla sanzione amministrativa per ogni dichiarazione non trasmessa (articolo 7-bis del D.lgs. 241/1997).

Per tali violazioni, laddove commesse ripetutamente, sono previste, inoltre, delle pene accessorie.

Al tempo stesso, però, in presenza di dichiarazione omessa, oltre a comminare a carico del professionista le suddette sanzioni, l’ufficio è legittimato a determinare induttivamente l’imposta dovuta dal contribuente sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza.

E a nulla vale, per il contribuente, eccepire la propria buona fede.

Va ricordato, infatti, che, proprio in caso di invio telematico delle dichiarazioni, l’articolo 3, comma 6, del Dpr 435/2001, stabilisce che le banche e gli uffici postali rilasciano, anche se non richiesta, ricevuta di presentazione della dichiarazione.

Gli intermediari, contestualmente alla ricezione della stessa o dell’assunzione dell’incarico per la sua predisposizione, devono poi rilasciare al contribuente o al sostituto di imposta l’impegno a trasmettere in via telematica all’Agenzia delle Entrate i dati contenuti nella dichiarazione, nonché, entro trenta giorni dal termine previsto per la presentazione in via telematica, la stessa dichiarazione trasmessa e la copia della comunicazione dell’Agenzia delle entrate di ricezione della dichiarazione.

Al comma 9, l’articolo 3 sopra citato stabilisce che i contribuenti e i sostituti di imposta, che presentano la dichiarazione in via telematica, direttamente o tramite i soggetti di cui ai commi 2-bis e 3, devono conservare, per il periodo previsto dall’articolo 43 del Dpr 600/1973, la dichiarazione debitamente sottoscritta, nonché i documenti rilasciati dal soggetto incaricato di predisporre la dichiarazione.

Infine, al comma 10, viene previsto che la prova della presentazione della dichiarazione è data dalla comunicazione dell’Agenzia delle Entrate attestante l’avvenuto ricevimento della dichiarazione presentata in via telematica.

Insomma, il legislatore si è premurato di evitare che i contribuenti si potessero nascondere dietro la “scusa” che erano all’oscuro del mancato invio e ha, a tal fine, predisposto specifici obblighi a carico del medesimo contribuente, tra cui appunto quello di conservare copia della comunicazione dell’Agenzia di ricezione della dichiarazione, sola prova dell’avvenuta presentazione.

Se, perciò, fino all’entrata in vigore del Dpr 435/2001, il contribuente, sotto il profilo della responsabilità per sanzioni, doveva solo preoccuparsi di consegnare la propria dichiarazione all’intermediario in tempo utile perché la stessa potesse essere presentata entro i termini previsti, essendo poi esonerato da responsabilità, a seguito delle descritte disposizioni normative egli non ha invece più scuse, essendo la stessa legge a stabilire gli oneri probatori di cui si deve fare carico per essere esente da sanzioni o responsabilità (quanto meno per culpa in vigilando).

Resta, dunque, in questi casi confermata in pieno la legittimità dell’accertamento, anche sotto il profilo della sanzione applicabile, senza dimenticare in ogni caso che, comunque, l’onere della prova in merito all’assenza di colpa spetta sempre al contribuente (magari previa produzione della decisione di condanna del professionista passata in giudicato).

Il contribuente, eventualmente, in questo caso, a prescindere dal giudizio tributario, potrà poi comunque esperire azione di responsabilità civile verso il professionista effettivamente inadempiente.

31 gennaio 2017

Giovambattista Palumbo