Il pagamento dell'IVA sulle accise

anche se il concetto può sembrare strano e contrario al buon senso, la direttiva prevede espressamente che la base imponibile su cui calcolare l’IVA debba obbligatoriamente includere le imposte, i dazi, le tasse e i prelievi, ad eccezione della stessa IVA, in tal modo includendo anche l’accisa

bodleian_libraries_la_balance_politiqueCon il termine accisa si intende una qualsiasi imposta sulla fabbricazione e vendita di prodotti destinati al consumo (alcolici, tabacchi, prodotti energetici etc).

Dunque, l’accisa è una imposta che non grava, come l’Iva, sul valore, ma sulla quantità di prodotti messi in vendita dal produttore.

Ogni stato membro dell’Unione Europea ha peraltro deciso di applicare imposte sulla fabbricazione di alcuni prodotti di largo consumo.

Le accise si applicano sulle materie prime e sui prodotti ottenuti sul territorio dello Stato membro e anche sulle materie prime/prodotti introdotti dall’esterno e si applicano quindi sia alle materie prime/prodotti comunitari e sia a quelli importati da Paesi terzi.

Le accise non sono dazi, ma quando riguardano merci importate sono considerate oneri doganali e vengono quindi riscosse al momento dell’operazione doganale.

L’Italia si è dotata di un Testo Unico sulle Accise che recepisce la normativa comunitaria.

In particolare la normativa prevede un documento denominato DAA (Documento Accompagnamento Accise), il cui funzionamento è molto simile a quello del Transito (NCTS).

Il DAA scorta la merce e, arrivato a destinazione insieme ad essa, viene preso in carico dall’ufficio preposto al controllo, che ne rimanda all’ufficio di partenza una copia come prova dell’avvenuta uscita della merce dallo stato di origine.

Quando l’accisa è già stata pagata nel Paese di partenza si emette il DAS, che ha lo scopo di informare le autorità del Paese di destinazione che la merce può essere soggetta all’imposta.

Un altro aspetto interessante della normativa è che le merci soggette ad accise possono essere immagazzinate solo in appositi depositi denominati Depositi fiscali accise e che solo l’intestatario di questo tipo di deposito può emettere e ricevere il DAA.

L’accisa rappresenta una delle entrate più ingenti dello Stato Italiano e delle Regioni.

L’imposta è calcolata applicando un’aliquota alla base imponibile.

L’accisa è inoltre inclusa nella base imponibile dell’IVA.

Come detto, sono tenuti al pagamento dell’accisa i titolari dei depositi fiscali quindi produttori o depositari dei beni, dai quali viene realizzata l’immissione al consumo, ovvero i soggetti nei cui confronti si realizza il presupposto per l’esigibilità dell’imposta.

Questi soggetti hanno la facoltà di rivalersi sul consumatore, in ordine all’ammontare dell’imposta assolta.

Vista l’importanza delle accise, l’amministrazione finanziaria ha previsto una serie di obblighi formali per l’attivazione dei depositi fiscali, doveri di predisposizione di misuratori e contatori tecnici presso i depositi fiscali, costanti controlli sui depositi fiscali, sul trasporto delle merci e sulla quantità e qualità dei prodotti importati o fabbricati.

Recentemente, del resto, la Commissione Tributaria Provinciale di Firenze, con la sentenza n. 851/1/16 del 10.06.2016, ha statuito proprio in tema di rapporto tra accise ed Iva.

Nel caso di specie la società contribuente ricorreva avverso l’avviso di accertamento

emesso per l’anno di imposta 2012.

L’accertamento era relativo all’applicazione dell’IVA sull’ammontare delle accise sulle supposte cessioni di gas di cokeria (IVA al 10%) e di carbone coke (IVA al 21%).

Il tutto scaturiva da un verbale di constatazione della Guardia di Finanza di Trieste e dell’Ufficio delle Dogane in relazione ad una presunta evasione delle accise.

Al momento della presentazione del ricorso la parte precisava di non aver ricevuto l’accertamento relativo alla presunta evasione dell’accise dall’Ufficio Dogane di Trieste, precisando poi in udienza che l’accertamento le era stato notificato solo in relazione alla minore contestazione, relativa alla supposta cessione di carbone coke, per il quale erano peraltro in corso, con il suddetto Ufficio, specifiche richieste di revisione, il cui corso non aveva ancora dato luogo ad una risoluzione definitiva.

La contribuente contestava quindi, sotto vari aspetti, la natura della supposta cessione di tali prodotti, ritenendo che l’assoggettamento ad accise e/o IVA fosse escluso a priori negli accordi tra le parti, trattandosi in sostanza di un riutilizzo di energia elettrica che altre società ottenevano dall’utilizzo di tali “sotto prodotti” scaturenti dal normale ciclo produttivo della medesima società, svolgente attività di acciaieria.

La società concludeva quindi con la richiesta di annullamento dell’atto impugnato e comunque, in subordine, della non applicazione, o della riduzione delle sanzioni, vista la situazione di incertezza sulla materia.

L’Agenzia delle Entrate si costituiva in giudizio, contestando in toto le tesi avversarie e ricostruendo le modalità che avevano portato all’emissione dell’avviso di accertamento.

L’entità del valore degli scambi scaturiva infatti da quanto riportato dal verbale degli ispettori di Trieste e pur prendendo atto della mancata o parziale notifica di specifici avvisi di accertamento in tal senso, l’Ufficio riteneva comunque che tali importi presentassero una validità incontestabile.

Nel merito, l’Amministrazione Finanziaria insisteva in particolare sulle reali cessioni di “residui di prodotti energetici” tra la ricorrente ed altre società, cessioni che andavano, a norma di legge, soggette ad accise con l’applicazione delle relativa IVA, essendo chiaramente ininfluente la supposta pattuizione tra le parti in merito alla non applicabilità alla cessione dell’accise e della relativa IVA, in quanto una tale scelta non poteva essere lasciata alla volontà/discrezionalità delle parti.

La Commissione Tributaria Provinciale, esaminate le diverse tesi difensive, riteneva che il ricorso potesse trovare accoglimento.

La Commissione non poteva infatti non rilevare come mancassero specifici avvisi di accertamento emessi dall’Ufficio delle Dogane di Trieste in merito all’effettiva evasione dell’accise.

L’Ufficio nel proprio accertamento di recupero dell’IVA faceva del resto riferimento a dati che scaturivano dall’iniziale verbale di contestazione dell’Ufficio Dogane di Trieste, ma al momento della presentazione del ricorso nessun specifico avviso di accertamento era stato in realtà notificato alla ricorrente.

Lo stesso Ufficio dell’Agenzia delle Entrate riconosceva tale anomalia, dando comunque per scontato che l’Ufficio delle Dogane di Trieste, che aveva trasmesso per conoscenza il verbale, non poteva che confermare tali richieste con l’emissione di un formale atto di accertamento.

La Commissione di primo grado, preso atto della mancanza e/o definitività di avvisi di accertamento in relazione alla supposta evasione in materia di accise, riteneva quindi che l’Agenzia delle Entrate non potesse emettere specifici accertamenti in merito alla mancata applicazione dell’IVA su tali supposte evasioni di accise, mancando infatti la stessa esistenza e/o definitività delle specifica contestazione da parte della Dogana di Trieste su tali presunzioni.

Il ricorso quindi poteva essere accolto, con l’annullamento dell’atto impugnato.

Il tema è peraltro di una certa attualità laddove è stata anche recentemente contestata, in sede di rimborso davanti al giudice ordinario, la natura di doppia tassazione, derivante appunto dal pagamento dell’’IVA sulle accise.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3671/97, aveva del resto a tal proposito stabilito che un’imposta non costituisce mai base imponibile per un’altra e perciò non può essere pagata l’IVA su un’altra tassa, quali appunto devono essere considerate le accise.

L’articolo 78, paragrafo 1, lettera a, della direttiva 2006/112/CE, a ben vedere, prevede però espressamente che la base imponibile su cui calcolare l’IVA debba obbligatoriamente includere le imposte, i dazi, le tasse e i prelievi, ad eccezione della stessa IVA, in tal modo includendo anche l’accisa.

Stante l’intervenuta armonizzazione comunitaria della materia, risulta inoltre conseguente l’impossibilità di introdurre disposizioni difformi nell’ambito dell’ordinamento nazionale, giacché ne potrebbe derivare l’avvio da parte della Commissione europea di una procedura di infrazione a carico dell’Italia.

11 gennaio 2017

Giovambattista Palumbo