Fattura OK anche se imprecisa, con indicazioni generiche, purchè vera (es: “consulenze giuridiche rese dal …. al …”)

la fattura assolve ad una funzione di mero assolvimento dell’imposta oppure fornisce gli elementi per i controlli da parte dell’Amministrazione finanziaria? L’emissione delle fatture costituisce un mero adempimento fiscale finalizzato all’esatta riscossione dell’IVA e, pertanto, il contenuto della fattura non è di per sè idoneo a valutare i comportamenti del contribuente relativi alle imposte

penna ocaLa sentenza emessa dalla Corte di Giustizia UE il 15.9.2016, nella causa C-516/14, Barlis 06 Investimentos Imobiliarios e Turisticos SA, reca un piacevole sapore di “ritorno al passato”, nel senso che obbligherà l’Amministrazione finanziaria e la recente giurisprudenza di legittimità a rivedere il proprio orientamento, in modo che esso torni ad essere quello (più corretto) espresso in passato.

Le questioni pregiudiziali sollevate sono di grande importanza ed attualità, per la rilevanza e diffusione del “problema” risolto dagli eurogiudici. Sono molte le contestazioni sollevate dai verificatori a causa di asserita descrizione incompleta delle fatture, in violazione del disposto dell’art. 21, co. 2, lett. g), D.P.R. 633/1972.

La questione nasce dalla correttezza di fatture recanti la descrizione “consulenze giuridiche rese dal …. al …”.

In base alla legislazione vigente nel Paese da cui ha origine la causa (Portogallo) le prestazioni giuridiche possono scontare aliquote differenti.

Le questioni sollevate, quindi, sono:

Se, nel contesto della corretta interpretazione dell’articolo 226, punto 6), della direttiva 2006/112/CE , l’Autoridade Tributária e Aduaneira (Amministrazione fiscale e doganale) possa ritenere insufficiente il contenuto di una fattura che presenti la menzione «servizi giuridici resi da una certa data sino ad oggi» o anche «servizi giuridici resi sino ad oggi», ove tale amministrazione può, sul fondamento del principio di collaborazione, ottenere gli elementi di informazione complementari che ritenga necessari ai fini della conferma dell’esistenza e delle caratteristiche dettagliate delle operazioni.

A questa domanda ne segue una conseguente: quali sono gli effetti, anche in capo al destinatario, di una fattura che non rechi una corretta (o completa descrizione)?

Questa seconda questione si pone perché l’art. 178, Dir. 2006/112/CE consente la detrazione laddove il soggetto passivo sia in possesso di una fattura redatta in conformità alle prescrizioni dell’art. 226 della medesima direttiva.

La soluzione delle questione deve partire dalla natura, CIOè lo scopo, della fattura.

In altre parole: la fattura assolve ad una funzione di mero assolvimento dell’imposta oppure fornisce gli elementi per i controlli da parte dell’Amministrazione finanziaria?

Con la sentenza 516/14 viene chiarito, finalmente, che l’emissione delle fatture costituisce un mero adempimento fiscale finalizzato all’esatta riscossione dell’imposta (IVA) e che, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza nazionale, non è mai portatrice di un valore probatorio circa la sussistenza di un credito, del trasferimento della proprietà, dell’avvenuta effettuazione di operazioni ecc. (Cass. 299/2016), ma al massimo rappresentano un indizio (Cass. 18/2/1995, n. 1798; Cass. 3/7/1998, n. 6502; Cass. 13/06/2006, n. 13651; Cass. 15/1/2009, n. 806; Cass. 28/6/2010, n. 15383; Cass. 21/7/2003, n. 11343; Cass. 17/12/2004, n. 23499; Cass. 5/8/2011, n. 17050; Cass. 13/1/2014, n. 462).

In passato, con riguardo al diritto all’esercizio della detrazione d’imposta, si era già affermato che in assenza di precise indicazioni riportate in fatture (condizione formale per l’esercizio del diritto) richieste il contribuente mantiene il diritto di detrazione, qualora sia in grado di dimostrare (ad esempio producendo il contrato; CTR Piemonte 15 febbraio 2011, n. 42/2/11) la sua afferenza all’attività imponibile esercitata (condizione sostanziale), pur in carenza di qualcuna delle indicazioni “formali” previste dall’art. 21, co. 2, D.P.R. 633/1972 (CTC 27 giugno 1988, n. 5312).

Quindi erra l’Amministrazione finanziaria, la quale ritiene che l’obbligo della fatturazione è funzionale anche alle ordinarie esigenze di documentazione e di controllo (Agenzia delle Entrate, risoluzione 17 giugno 2002, n. 190).

Anche nei casi in cui la Corte di Giustizia UE ha affermato che la fattura serve per consentire il controllo da parte dell’Amministrazione finanziaria, si riferisce pur sempre al controllo della esatta riscossione dell’imposta  (Corte di Giustizia, 14 luglio 1988, cause riunite C-123/87 e C-330/87), i cui elementi che ne consentono il calcolo deve essere evidente in fattura, non consentendo equivoci in tal senso.

Solo in caso di dubbio circa l’esistenza dell’operazione stessa si deve negare la detrazione dell’Iva (come nel caso di cui alla Corte di Giustizia, 8 maggio 2012, causa C-271/12), pur essendo dovuta l’imposta da parte del soggetto che ha emesso il documento (art. 21, co. 7, D.P.R. 633/1972). Diversamente, non si può giungere alla stessa conclusione laddove invece l’operazione sia realmente esistente e che vi siano solo vizi di forma sui documenti.

Spetterà all’Amministrazione finanziaria effettuare ulteriori controlli, magari con effetti anche ai fini delle imposte dirette, che prescindono dall’esistenza o meno della fattura.

Bene ha fatto, quindi la Corte Ue a chiarire gli effetti dei cennati errori formali, i quali non possono impedire la detrazione dell’Iva.

Vediamo come la Corte di Giustizia ha risolto le questioni sollevate.

E’ stato chiarito non solo quanto debba essere dettagliata in fattura la descrizione dell’operazione sulla base dell’art. 226, Dir. 2006/112/CE (“… nelle fatture emesse … sono obbligatorie ai fini dell’IVA soltanto le indicazioni seguenti: … la quantità e la natura dei beni ceduti o l’entità e la natura dei servizi resi”, con una locuzione non del tutto coincidente con quella utilizzata dal legislatore nazionale che nell’art. 21 citato prevede che la fattura debba contenere l’indicazione della “natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi formanti oggetto dell’operazione”), ma anche gli effetti (in termini di detrazione) che comporta la violazione della disposizione citata, dato che l’art. 178, Dir. 2006/112/CE prevede che “Per poter esercitare il diritto a detrazione, il soggetto passivo deve soddisfare le condizioni seguenti: … essere in possesso di una fattura redatta conformemente agli articoli”.

La Corte europea fa notare innanzitutto che la fattura ha lo scopo di consentire l’esatta riscossione dell’imposta (punto 27: “l’obiettivo perseguito dalle indicazioni obbligatorie che devono essere presenti su una fattura è quello di consentire alle amministrazioni finanziarie di controllare il pagamento dell’imposta dovuta e, se del caso, la sussistenza del diritto alla detrazione dell’IVA. È, quindi, alla luce di tale obiettivo che occorre verificare se le fatture, come quelle di cui al procedimento principale, siano conformi ai requisiti dell’articolo 226, punto 6, della direttiva 2006/112”).

Quanto al grado di dettaglio della descrizione la Corte precisa che “l’articolo 226, punto 6, della direttiva 2006/112 prescrive che la fattura rechi l’indicazione dell’entità e della natura dei servizi resi. La formulazione letterale di tale disposizione fa dunque presente che è obbligatorio precisare l’entità e la natura dei servizi forniti, senza specificare, però, che sia necessario descrivere in maniera esaustiva i singoli servizi forniti” (punto 26).

Con riguardo agli effetti, in termini di detrazione, la Corte distingue tra condizioni sostanziali per esercitare il diritto (il quale, in linea di principio, non può essere negato o sottoposto a restrizioni; cfr. Corte di Giustizia UE, causa C-385/09) e condizioni formali (per es., mancanza del codice fiscale o numero identificativo Iva del destinatario, con integrazione della fattura solo dopo l’inizio della verifica fiscale; cfr. Corte di Giustizia UE, sent. 15.9.2016, causa C-518/14, Senatex GmbH), affermando:

– “40 Per quanto riguarda le condizioni sostanziali richieste per il sorgere del diritto alla detrazione dell’IVA, dalla formulazione dell’articolo 168, lettera a), della direttiva 2006/112 risulta che i beni o i servizi invocati a base di detto diritto devono essere utilizzati a valle dal soggetto passivo ai fini delle proprie operazioni soggette a imposta e che, a monte, detti beni o servizi devono essere forniti da un altro soggetto passivo (v., in tal senso, sentenza del 22 ottobre 2015, PPUH Stehcemp, C-277/14, EU:C:2015:719, punto 28 e giurisprudenza ivi citata)”;

– “41 Per quanto riguarda le condizioni formali relative all’esercizio di tale diritto, dall’articolo 178, lettera a), della direttiva 2006/112 risulta che il suo esercizio è subordinato al possesso di una fattura emessa conformemente all’articolo 226 di tale direttiva (v., in tal senso, sentenze del 1° marzo 2012, Kopalnia Odkrywkowa Polski Trawertyn P. Granatowicz, M. Wąsiewicz, C-280/10, EU:C:2012:107, punto 41, e del 22 ottobre 2015, PPUH Stehcemp, C-277/14, EU:C:2015:719, punto 29)”.

Ne consegue, punti 43 e 44 e 49, che “l’amministrazione finanziaria non può negare il diritto alla detrazione dell’IVA con la sola motivazione che una fattura non rispetta i requisiti previsti dall’articolo 226, punti 6 e 7, della direttiva 2006/112 qualora essa disponga delle informazioni per accertare che i requisiti sostanziali relativi a tale diritto sono stati soddisfatti… A tale riguardo, l’amministrazione finanziaria non può limitarsi all’esame della sola fattura. Essa deve tenere conto anche delle informazioni complementari fornite dal soggetto passivo. Tale affermazione è corroborata dall’articolo 219 della direttiva 2006/112 che assimila a una fattura tutti i documenti o messaggi che modificano e fanno riferimento in modo specifico e inequivocabile alla fattura inizialeAlla luce delle suesposte considerazioni occorre rispondere alla seconda parte della questione dichiarando che l’articolo 178, lettera a), della direttiva 2006/112 deve essere interpretato nel senso che osta a che le autorità tributarie nazionali possano negare il diritto alla detrazione dell’IVA per il solo motivo che il soggetto passivo esibisce una fattura che non soddisfa i requisiti di cui all’articolo 226, punti 6 e 7, della menzionata direttiva, laddove tali autorità dispongano di tutte le informazioni necessarie per accertare che i requisiti sostanziali relativi all’esercizio del diritto in parola siano soddisfatti”.

Alla luce di quanto sopra, andrà quindi rivisto (data la funzione nomofilattica delle interpretazioni fornite dalla Corte europea, da intendersi come fonte di “diritto vivente” – Cass., SS.UU., 23.12.2008, n. 30057) l’orientamento espresso, in taluni casi, dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 14704 del 27 giugno 2014) secondo cui l’Ufficio, in presenza di fatture non riportanti in modo sufficientemente puntuale la descrizione della natura dell’operazione, nonché della quantità e qualità dei beni o servizi oggetto della cessione o della prestazione, può disconoscere la deducibilità dei relativi costi sulla base del principio di inerenza di cui all’art. 109, co. 5, D.P.R. 917/1986.

E’ troppo evidente come la presenza o meno di una fattura (adempimento principio del mondo IVA) nulla ha a che fare con l’inerenza ai fini delle imposte sui redditi.

Speriamo che si ritorni ai concetti espressi dalla meno recente giurisprudenza che aveva correttamente individuato l’effettiva natura della fattura, la cui esistenza stessa fa pensare proprio ad una “non evasione”.

3 ottobre 2016

Dario Cassinari e Claudio Sabbatini