La crisi nella vita dell’impresa

è sempre più facile doversi misurare con la gestione della crisi d’impresa; spesso il compito del professionista è quello di ristrutturare e rilanciare l’impresa o di accompagnarla verso una liquidazione indolore (quando possibile); per arrivare a questi obiettivi è importante sapere riconoscere i sintomi al loro primo manifestarsi

rate1.1 – Inquadramento, definizioni e cause

Per chi si occupa di valutazioni d’azienda, il caso di valutazione di un’azienda che si trovi in stato di crisi rappresenta un caso particolare; l’azienda è infatti in uno stato di sofferenza e i normali metodi di valutazione vanno filtrati e adattati al contesto reale di crisi in cui l’azienda si trova; il valutatore deve, in altri termini, adoperare occhiali un po’ diversi da quelli che adotterebbe in un’azienda in normali condizioni di operatività. E’ inoltre necessario che il valutatore possegga capacità ed esperienza di commercialista aziendalista e sia pertanto in grado di comprendere e valutare le condizioni che hanno condotto alla crisi, nonché il percorso effettuato dall’azienda fino al momento della valutazione e le prospettive future.

Di seguito verranno tenuti in considerazione sia gli aspetti giuridici (codice civile e legge fallimentare), quasi sempre presenti nel caso di crisi d’impresa, sia gli aspetti economico-aziendali, cercando di unire le due visioni di un problema che, in realtà, è unico

Si è fatto inoltre riferimento, ove possibile e/o praticabile, ai PIV (Principi italiani di valutazione) emessi da OIV (Organismo italiano di valutazione) nel luglio 2015. Essi costituiscono una novità assoluta nel panorama professionale nazionale e sebbene non abbiano avuto ancora riconoscimenti ufficiali da Enti di controllo quali la Consob, la Banca d’Italia, il MEF (Ministero dell’economia e delle finanze), costituiscono un punto di riferimento autorevole sull’argomento. Sebbene i PIV non prevedano un apposito riferimento alle situazioni di crisi d’azienda, da essi è possibile trarre qualche utile indicazione.

Occorre premettere che la crisi costituisce un fenomeno tutt’altro che straordinario, ma al contrario, fa parte della normale dinamica della vita dell’azienda, che agisce in un contesto di mercato sempre più complesso. Inoltre gli epocali cambiamenti dell’economia e della vita aziendale nell’ultimo ventennio (l’internazionalizzazione e la globalizzazione, i frequenti cambiamenti nella tecnologia, i flussi migratori che hanno interessato il mercato del lavoro, solo per citarne alcuni) hanno accentuato la probabilità che l’azienda prima o poi, nel corso della sua vita, debba attraversare un periodo di difficoltà più o meno accentuate. La crisi economica che dal 2011-2012 ha colpito duramente il tessuto economico italiano, come conseguenza di una crisi a livello mondiale, rende inoltre più attuale che mai esaminare e comprendere la fattispecie dell’azienda in crisi, ai fini della sua valutazione.

Risulta preliminarmente necessario definire e inquadrare i concetti di stato di crisi e di insolvenza aziendale.

La definizione di “stato di crisi” non si trova in alcuna parte della nostra legislazione; in essa in più contesti viene menzionato lo “stato di insolvenza” e la figura dell’imprenditore insolvente (art 5 L.F., art 1186, 1943, 2221 del codice civile). La nostra legislazione si preoccupa infatti di regolamentare lo stato di insolvenza, cioè le situazioni in cui l’azienda ha una mancanza di liquidità, assoluta e definitiva, che non permette di adempiere le obbligazioni contratte, o addirittura compromette la stessa continuità aziendale.

L’insolvenza è dunque, nella maggior parte dei casi, uno stato di crisi irreversibile, nel quale l’imprenditore è nell’incapacità di adempiere alle proprie obbligazioni. L’individuazione dello stato di insolvenza presuppone l’analisi di dati soprattutto di origine storica; al contrario, lo stato di crisi viene individuato soprattutto grazie a dati e informazioni prospettiche (business plan, budget etc), al fine di comprendere il rischio aziendale di non essere in grado di adempiere alle proprie obbligazioni sia attuali ma anche future,. Mentre l’insolvenza rappresenta quindi sicuramente uno stato di crisi, non è detto che ogni stato di crisi sfoci in un’insolvenza.

Per quanto concerne le cause di insorgenza di una crisi aziendale, la dottrina distingue le seguenti tipologie.

  • Crisi da inefficienza. Esse si verificano quando una o più funzioni o aree aziendali operano con un rendimento che si attesta a livelli inferiori a quello dei competitors presenti sul mercato, la causa è spesso da ricercare nel cattivo coordinamento fra le varie funzioni aziendali ovvero in vistose carenze esistenti in una delle funzioni medesime.

  • Crisi da sovra capacità/rigidità. Esse traggono origine dall’eccesso di capacità produttiva, seguita dal’impossibilità di adattamento nel breve periodo dei costi fissi, che quindi gravano inutilmente sul conto economico. La causa della rigidità può essere:

    (a) una riduzione durevole del volume della domanda,

    (b) la perdita di un mercato importante,

    (c) vendite inferiori alle previsioni.

  • Crisi da decadimento del prodotto. Esse derivano da uno squilibrio fra ricavi e costi dovuto al fatto che il mix di prodotti offerti sul mercato non è più in grado di reggere la concorrenza. Ciò accade più frequentemente nelle aziende mono prodotto, che non riescono a diversificarsi.

  • Crisi da squilibri finanziari. Queste hanno origine da errate impostazioni della gestione finanziaria e/o nel reperimento delle fonti di finanziamento, che generano squilibri tali da mettere l’impresa nell’impossibilità di adempiere alle proprie obbligazioni.

  • Crisi da inefficienze del management e da inerzie organizzative. Si possono infatti verificare perdite importanti nel management, che risulta così non più in grado di rispondere alle sfide del mercato, oppure vengono lanciati piani di sviluppo senza il necessario supporto di management e delle conseguenti competenze necessarie, ovvero non vengono presi per tempo provvedimenti gestionali necessari.

  • Crisi che hanno la loro origine da situazioni esterne generali di mercato, quali:

    • situazione economica generale, che rende il mercato in cui opera l’azienda debole, con restringimento delle opportunità di vendita;

    • livello dei servizi e delle infrastrutture che crea strozzature nella produzione e nella distribuzione dei prodotti;

    • norme di tutela ambientale, che possono causare nuovi costi che l’azienda era impreparata a sostenere.

Giova ricordare che spesso sono presenti più di una delle cause citate, in un diverso mix che varia da caso a caso.

Giova infine precisare che lo stato di crisi non è un elemento statico, ma al contrario la crisi di un’azienda si sviluppo normalmente lungo un percorso temporale. Luigi Guatri nel testo “Turnaround. Declino, crisi e ritorno al valore”, indica 4 stadi così identificati.

I stadio – incubazione. In questa fase emergono i primi segnali di crisi normalmente dati da: riduzione del fatturato, eccedenza di scorte, inadeguata copertura del fabbisogno finanziario. Se vengono adottate tempestivamente e correttamente le relative contromisure di contrasto in questa fase, essa diventa facilmente reversibile.

II stadio – Maturazione. In questa fase si manifesta un’inversione di risultati di conto economico, gli utili diventano perdite che portano ad un graduale erosione del patrimonio aziendale; inoltre le carenze di liquidità si aggravano e diventano sistematiche. Anche in questo caso la crisi può essere reversibile, sono necessarie misure più drastiche, ma soprattutto è indispensabile andare alla radice delle cause e incidere su di esse.

III stadio – Insolvenza. In questa fase si manifesta l’incapacità dell’azienda a far fronte con regolarità alle obbligazioni assunte, si manifestano pertanto corto circuiti nel normale ciclo di approvvigionamenti, produzione, capacità di far fronte alle richieste di fornitura ai clienti. In questa fase sono spesso necessarie operazioni di turnaround della struttura del debito e/o operazioni aziendali straordinarie, quali, scorpori, fusioni, conferimenti, accordi di ristrutturazione del debito…

IV stadio – Dissesto. In questa fase la crisi produce effetti esterni quali:

(a) la perdita di immagine,

(b) la perdita di credibilità verso i diversi stakeholders,

(c) la perdita della clientela,

(d) il ritiro degli affidamenti bancari. In questa fase risulta molto difficile, se non impossibile, effettuare l’inversione di tendenza. La prospettiva è quella di accedere alle procedure concorsuali.

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