Non serve la motivazione per l'autorizzazione alle indagine finanziarie

l’autorizzazione necessaria per l’espletamento di indagini bancarie non deve essere corredata dall’indicazione dei motivi, non solo perchè in relazione ad essa la legge non dispone alcun obbligo di motivazione ma anche perchè si tratta di atto puramente organizzativo

Con la sentenza n. 3093 del 17 febbraio 2016 (ud. 22 settembre 2015) la Corte di Cassazione ha confermato il principio di diritto secondo cui “in tema di accertamento delle imposte (dirette ed indirette), l’autorizzazione necessaria agli Uffici per l’espletamento di indagini bancarie non deve essere corredata dall’indicazione dei motivi, non solo perchè in relazione ad essa la legge non dispone alcun obbligo di motivazione, a differenza di quanto invece stabilito per gli accessi e le perquisizioni domiciliari, ma anche perchè la medesima, nonostante il nomen iuris adottato, esplicando una funzione organizzativa, incidente esclusivamente nei rapporti tra uffici, e avendo natura di atto meramente preparatorio, inserito nella fase di iniziativa del procedimento amministrativo di accertamento, non è nemmeno qualificabile come provvedimento o atto impositivo, tipologie di atti per le quali, rispettivamente, la L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, comma 1 e la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, prevedono l’obbligo di motivazione (cfr. Corte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 14026 del 03/08/2012)”.

La posizione della giurisprudenza 1

Sul versante giurisprudenziale ricordiamo che la posizione della Corte di Cassazione è netta e precisa.

In particolare la sentenza n. 14026 del 3 agosto 2012 (ud. 4 aprile 2012) che ricostruendo dettagliatamente il quadro normativo ha fissato dei principi guida. Le “autorizzazioni” contemplate dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, c. 1 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, c. 2, “non necessitano di autonoma motivazione in considerazione della assenza di una specifica previsione normativa che imponga tale requisito dell’atto, come emerge anche dal raffronto con le disposizioni contenute nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52 (estese alla materia delle imposte sui redditi in virtù del rinvio operato dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, comma 1) che disciplinano le autorizzazioni agli accessi nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali (per le quali è richiesta, peraltro, soltanto la indicazione dello scopo: art. 52, comma 1), ovvero alla esecuzione di accessi in locali adibiti anche ad abitazione (per le quali è richiesta anche a autorizzazione del procuratore della Repubblica: art. 52, comma 1, ultima parte) ovvero alla esecuzione di perquisizioni domiciliari (per le quali è richiesta la autorizzazione del Procuratore della Repubblica che può essere rilasciata soltanto in caso di gravi indizi di violazioni delle norme del presente decreto, art. 52, comma 2), la mancanza di una previsione normativa espressa che prescriva la motivazione delle autorizzazioni di cui all’art. 51, comma 2, nn. 6 bis, 7 e 7 bis (ed analogamente ex art. 32, comma 1 stessi numeri) viene giustificata con la riconduzione della acquisizione di notizie, informazioni, documenti – anche presso banche, istituti di credito, società di intermediazione finanziaria. Amministrazione postale – alle competenze ed al potere di verifica delle situazioni reddituali e patrimoniali dei contribuenti (in funzione dell’eventuale successiva attivazione del procedimento di accertamento) attribuiti per legge (art. 95 Cost., comma 3; D.P.R. n. 600 del 1973, art. 31; D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 1) alla Amministrazione finanziaria. Per quanto in particolare concerne la richiesta alle banche di fornire dati, notizie e documenti relativi ai servivi prestati ed rapporti intrattenuti con i propri clienti, si è rilevato che la autorizzazione ha per oggetto una richiesta che è rivolta esclusivamente all’ente che intrattiene i rapporti con il contribuente (deve essere indirizzata al responsabile della struttura, sede od ufficio), con la conseguenza che, non essendo legittimato detto ente a contestare la verifica fiscale condotta nei confronti di un soggetto diverso (il cliente), al quale invece la richiesta (e tanto meno la autorizzazione) non deve essere comunicata, il requisito formale della motivazione dell’atto autorizzativo appare logicamente del tutto inutile (cfr. Corte cass. 5 sez. 21.7.2009 n. 16874 che richiama il precedente della 5 sez. 15.6.2007 n. 14023 secondo cui la norma tributaria configura la esistenza della autorizzazione come condizione di legittimità dell’attività di verifica e dell’atto di accertamento, ma non richiede, tuttavia, la preventiva notifica od esibizione di tale atto all’interessato che potrà lamentare eventuali pregiudizi subiti mediante la impugnazione dell’atto di accertamento)”. Il nomen juris (autorizzazione) riferito all’atto permissivo contemplato dalle predette norme tributarie non può ritenersi ex se dirimente allindividuazione della natura e degli effetti giuridici, che deve invece essere riconosciuta in base alla concreta funzione che l’atto viene a svolgere nella relazione di tipo organizzativo e procedimentale che si instaura tra gli uffici appartenenti alla medesima Amministrazione finanziaria e gli altri atti ed attività che convergono nell’attuazione delle competenze riservate ex lege a detti uffici. L’autorizz

azione interviene tra uffici inseriti nella medesima organizzazione pubblica, collocati in rapporto di subordinazione gerarchica, con la conseguenza che non è dato ipotizzare una diversificazione di interessi pubblici facenti capo a ciascun ufficio, dovendo invece ravvisarsi unidentità di competenza tra l’ufficio superiore e quello locale: tanto consente di attribuire alla predetta autorizzazione una preminente funzione organizzativa, mediante la quale il titolare dell’ufficio regionale cui è demandata la competenza di disporre lacquisizione di dati, notizie ed informazioni anche attraverso indagini bancarie, assolve più agevolmente e speditamente il proprio compito legittimando l’ufficio inferiore alla relativa attività. Venendo detta “autorizzazione” ad operare sul piano delle relazioni organizzative tra uffici del medesimo ente pubblico, rimane esclusa la natura “provvedimentale” di tale atto, in quanto inidoneo a produrre effetti giuridici all’esterno della organizzazione e ad incidere sulla sfera giuridica di terzi. Nel diritto pubblico, infatti, lautorizzazione si configura come provvedimento terminale di un autonomo procedimento amministrativo volto alla cura di un interesse (pubblico) distinto da quello perseguito dal soggetto autorizzato: lautorizzazione è normalmente diretta alla verifica di presupposti o requisiti o condizioni predeterminati dalla legge in funzione dello svolgimento di attività (generalmente dei privati), ed assume quindi la funzione di controllo preventivo di conformità ai requisiti di legge, ovvero la funzione di accertamento della compatibilità della attività autorizzata con le esigenze di cura o tutela di altri interessi che potrebbero risultarne pregiudicati. In tali casi il rapporto che si instaura tra il soggetto autorizzante e il soggetto autorizzato implica una relazione di autonomia degli interessi che fanno capo a tali soggetti, venendo a comporre la legge attributiva del potere autorizzatorio il potenziale conflitto tra detti interessi, secondo uno schema di subordinazione.

Sempre la Corte di Cassazione, intervenuta successivamente, ha confermato tale posizione.

  • Con la sentenza n.1099 del 17 gennaio 2013, è stato affermato che il difetto di motivazione non rende invalida l’autorizzazione all’accesso ai conti bancari del contribuente e quindi inutilizzabili le risultanze probatorie così ottenute. Infatti, l’autorizzazione necessaria agli uffici per richiedere alle aziende ed istituti di credito copia dei conti correnti intrattenuti con il contribuente, con la specificazione di tutti i rapporti inerenti o connessi a tali conti, è un mero atto interno al procedimento amministrativo, privo di rilievo esterno e di natura non provvedimentale. Già In apertura, la sentenza testualmente afferma che “l’autorizzazione necessaria agli uffici per richiedere alle aziende ed istituti di credito copia dei conti correnti intrattenuti con il contribuente, con la specificazione di tutti i rapporti inerenti o connessi a tali conti, è un atto interno al procedimento amministrativo, privo di rilievo esterno e di natura non provvedimentale. La giurisprudenza ha affermato che essa – e la relativa richiesta – non devono essere obbligatoriamente corredate dell’indicazione del motivo, dello scopo o delle ragioni logiche e giuridiche poste a fondamento di essa o della preventiva richiesta, perché l’art. 51, secondo comma, n. 7, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, nel testo introdotto con l’art. 18 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, applicabile “ratione temporis”, collega l’esercizio del potere di richiedere l’indicata documentazione con il generale potere di controllo della dichiarazione, senza prevedere, a differenza di quanto dispone testualmente il successivo art. 52 per gli accessi domiciliari, la necessità di precisare alcuna particolare circostanza giustificativa (cosi la sentenza n. 5849 del 13/04/2012 e la sentenza n. 16874 del 21/07/2009)”.

  • Con l’ordinanza n.16579 del 2 luglio 2013, la Suprema Corte ha ribadito l’indirizzo già espresso con la sentenza n. 16874 del 21/07/2009: ”In tema di accertamento dell’IVA, l’autorizzazione prescritta dall’art. 51, secondo comma, n. 7 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (nel testo, applicabile ratione temporis, risultante dalle modifiche introdotte dall’art. 18, secondo comma, lett. c) e d), della legge 30 dicembre 1991, n. 413) ai fini dell’espletamento delle indagini bancarie risponde a finalità di mero controllo delle dichiarazioni e dei versamenti d’imposta e non richiede alcuna motivazione; pertanto, la mancata esibizione della stessa all’interessato non comporta l’illegittimità dell’avviso di accertamento fondato sulle risultanze delle movimentazioni bancarie acquisite dall’Ufficio o dalla Guardia di Finanza, potendo l’illegittimità essere dichiarata soltanto nel caso in cui dette movimentazioni siano state acquisite in materiale mancanza dell’autorizzazione, e sempre che tale mancanza abbia prodotto un concreto pregiudizio per il contribuente” (conforme Cass. Sez. 5, Sentenza n. 14023 del 15/06/2007; più recentemente anche Cass. 5849/2012).

  • Con la sentenza n. 11183 del 21 maggio 2014 (ud. 17 aprile 2014) la Corte di Cassazione ha confermato che l’autorizzazione alle indagini finanziarie dell’organo sovraordinato non necessita di autorizzazione. Secondo l’orientamento della Corte, “l’autorizzazione necessaria agli Uffici per l’espletamento di indagini bancarie non deve essere corredata dall’indicazione dei motivi, non solo perchè in relazione ad essa la legge non dispone alcun obbligo di motivazione, a differenza di quanto invece stabilito per gli accessi e le perquisizioni domiciliari, ma anche perchè la medesima, nonostante il nomen iuris adottato, esplicando una funzione organizzativa, incidente esclusivamente nei rapporti tra uffici, e avendo natura di atto meramente preparatorio, inserito nella fase di iniziativa del procedimento amministrativo di accertamento, non è nemmeno qualificabile come provvedimento o atto impositivo (Cass. n. 14026 del 2012)”.

  • Con l’ordinanza n. 15807 del 27 luglio 2015 (ud 24 giugno 2015) la Corte di Cassazione ha confermato che l’autorizzazione alle indagini finanziarie non va allegata, né esibita, né motivata. La Corte, richiamando propri precedenti, riafferma che “In tema di accertamento dell’IVA, l’autorizzazione prescritta dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2, n. 7 (nel testo, applicabile ratione temporis, risultante dalle modifiche introdotte dalla L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 18, comma 2, lett. c) e d)) ai fini dell’espletamento delle indagini bancarie risponde a finalità di mero controllo delle dichiarazioni e dei versamenti d’imposta e non richiede alcuna motivazione; pertanto, la mancata esibizione della stessa all’interessato non comporta l’illegittimità dell’avviso di accertamento fondato sulle risultanze delle movimentazioni bancarie acquisite dall’Ufficio o dalla Guardia di Finanza, potendo l’illegittimità essere dichiarata soltanto nel caso in cui dette movimentazioni siano state acquisite in materiale mancanza dell’autorizzazione, e sempre che tale mancanza abbia prodotto un concreto pregiudizio per il contribuente – Cass. n. 16874/2009”. Chiariscono, ancora, i giudici di Piazza Cavour che in tema di accertamento delle imposte, “l’autorizzazione necessaria agli Uffici per l’espletamento di indagini bancarie non deve essere corredata dall’indicazione dei motivi, non solo perchè in relazione ad essa la legge non dispone alcun obbligo di motivazione, a differenza di quanto invece stabilito per gli accessi e le perquisizioni domiciliari, ma anche perchè la medesima, nonostante il nomen iuris adottato, esplicando una funzione organizzativa, incidente esclusivamente nei rapporti tra uffici e avendo natura di atto meramente preparatorio, inserito nella fase di iniziativa del procedimento amministrativo di accertamento, non è nemmeno qualificabile come provvedimento o atto impositivo; tipologie di atti per le quali, rispettivamente, la L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, comma 1 e la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, prevedono l’obbligo di motivazione – Cass. n. 14026/2012; Cass. 5849/12”. Inoltre, anche in recenti occasioni (Cass. nn. 25771/2014 e 25770/14) la Corte non ha mancato di precisare che “affinchè l’erario possa utilizzare il risultato di accertamenti bancali effettuati nei confronti del contribuente è necessario che tali accertamenti siano stati debitamente autorizzati, ma non anche che il provvedimento di autorizzazione (la cui illegittimità può essere fatta valere dinanzi al giudice tributario soltanto quando venga ad inficiare il risultato fiscale del procedimento, e quindi l’accertamento tributario) venga esibito al contribuente – Cass. 15 giugno 2007, n. 14023, Cass. 21 luglio 2009, n. 16874; conf. Cass. n. 25317/14, che richiama altresì Cass. n. 28039/2013, Cass. n. 10675/2010, Cass. n. 16874/2009, Cass. n. 14023/2007 e Cass. n. 20420/14“.

  • Con l’ordinanza n. 19961 del 6 ottobre 2015 (ud. 24 giugno 2015) la Corte di Cassazione ha affermato sostanzialmente tre principi: “In tema di accertamento dell’IVA, l’autorizzazione prescritta dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2, n. 7 … ai fini dell’espletamento delle indagini bancarie risponde a finalità di mero controllo delle dichiarazioni e dei versamenti d’imposta e non richiede alcuna motivazione; pertanto, la mancata esibizione della stessa all’interessato non comporta l’illegittimità dell’avviso di accertamento fondato sulle risultanze delle movimentazioni bancarie acquisite dall’Ufficio o dalla Guardia di Finanza, potendo l’illegittimità essere dichiarata soltanto nel caso in cui dette movimentazioni siano state acquisite in materiale mancanza dell’autorizzazione, e sempre che tale mancanza abbia prodotto un concreto pregiudizio per il contribuente” (Cass. n. 16874/2009); “l’autorizzazione necessaria agli Uffici per l’espletamento di indagini bancarie non deve essere corredata dall’indicazione dei motivi, non solo perchè in relazione ad essa la legge non dispone alcun obbligo di motivazione, a differenza di quanto invece stabilito per gli accessi e le perquisizioni domiciliari, ma anche perchè la medesima, nonostante il nomen iuris adottato, esplicando una funzione organizzativa, incidente esclusivamente nei rapporti tra uffici e avendo natura di atto meramente preparatorio, inserito nella fase di iniziativa del procedimento amministrativo di accertamento, non è nemmeno qualificabile come provvedimento o atto impositivo; tipologie di atti per le quali, rispettivamente, la L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, comma 1 e la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, prevedono l’obbligo di motivazione” (Cass. nn. 14026/2012 e 5849/12); “affinchè l’erario possa utilizzare il risultato di accertamenti bancari effettuati nei confronti del contribuente è necessario che tali accertamenti siano stati debitamente autorizzati, ma non anche che il provvedimento di autorizzazione (la cui illegittimità può essere fatta valere dinanzi al giudice tributario soltanto quando venga ad inficiare il risultato fiscale del procedimento, e quindi l’accertamento tributario) venga esibito al contribuente” (Cass. 15 giugno 2007, n. 14023, Cass., 21 luglio 2009, n. 16874; conf., Cass. nn. 25317/14, 28039/2013, 10675/2010, 16874/2009, 14023/2007, 20420/14, 25771/2014 e 25770/14).

28 aprile 2016

Gianfranco Antico

1 Cfr. ANTICO, Le indagini finanziarie, Buffetti editore, Roma, 2012; ANTICO, Indagini finanziarie. L’autorizzazione, in “il fisco”, n. 26/2010, pag. 4110; ANTICO, Indagini finanziarie: il confronto si fa serrato, in “Consulenza”, n. 37/2010, pag.23.