Le conseguenze della mancata esibizione dei documenti ai verificatori

quali sono le conseguenze processuali per il contribuente che non esibisce la documentazione richiesta in fase di controllo? Vediamo in quali casi sarà comunque possibile presentarle in un secondo momento, e quando invece no

finanza_immagine4La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24503 del 2.12.2015, è tornata sulla questione relativa alle conseguenze della mancata esibizione di documenti su esplicita richiesta dell’Amministrazione Finanziaria.

La preclusione all’utilizzabilità delle prove documentali non esibite ai verificatori, sottolineano i giudici di legittimità, avendo il contribuente dichiarato di non averne la disponibilità, è subordinata alle seguenti condizioni:

  • la non veridicità della dichiarazione, o, più in generale, il suo essere diretta ad impedire l’ispezione del documento;

  • la coscienza e la volontà della dichiarazione stessa;

  • il dolo, costituito dalla volontà di impedire che possa essere effettuata l’ispezione del documento.

Pertanto, non integrano i presupposti applicativi della preclusione le dichiarazioni (il cui contenuto corrisponda al vero) dell’indisponibilità del documento, non solo se questa sia ascrivibile a caso fortuito o forza maggiore, ma anche se imputabile a colpa, quale ad esempio la negligenza e imperizia nella custodia e conservazione.

La condotta rilevante ai fini della applicazione della sanzione di inutilizzabilità delle prove, implica, quindi, la coscienza e volontà dell’azione, intesa ad impedire la esibizione dei documenti richiesti dai verificatori e dunque presuppone non soltanto l’esistenza, ma anche la disponibilità di tali documenti da parte del contribuente, venendo meno il “rifiuto” tutte le volte in cui l’ostensione della prova sia impedita per cause non imputabili al contribuente.

Tale disposizione chiarisce, infatti, il significato e la portata della sanzione della inutilizzabilità amministrativa e processuale del documento di cui è stata “rifiutata” la esibizione, consentendone la produzione – oltre i termini assegnati nella richiesta formulata dall’Ufficio – nel caso in cui venga allegato e dimostrato dal contribuente che la mancata esibizione è dipesa da cause esterne alla sua sfera di controllo.

Tale ipotesi ricorre peraltro esclusivamente nel caso in cui il documento preesisteva alla richiesta dell’Ufficio, ma non era nella attuale disponibilità del contribuente, essendone questi venuto in possesso soltanto successivamente (in tal caso corrispondendo al vero la “dichiarazione di non possedere i libri registri, documenti e scritture“).

Si è dunque in questi casi al di fuori delle ipotesi “dolose” del volontario “rifiuto” di esibizione ,o della volontaria “sottrazione alla ispezione”, che presuppongono, al contrario, proprio il possesso o comunque la materiale disponibilità del documento.

Pertanto non soltanto in materia di Imposte Dirette ma anche nella materia IVA, ove sussista il fatto di forza maggiore, da un lato, non viene in rilievo la sanzione di inutilizzabilità comminata dall’art. 52, c. 5, Dpr n. 633/72 e dall’altro il documento, successivamente rinvenuto, o comunque acquisito dal contribuente, può essere utilizzato nel giudizio tributario secondo le forme ed i termini previsti dalle norme processuali per l’introduzione nel giudizio delle prove precostituite (artt. 24 e 58, c. 2 Dlgs. n. 546/1992).

In base a tali linee guida trova logica coerenza anche l’apparente divergenza degli indirizzi giurisprudenziali che si riscontrano nei precedenti della Corte.

A parte infatti l’isolata pronuncia (Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 28049 del 30/12/2009), che sembrava escludere qualsiasi rilevanza all’elemento psicologico della condotta del contribuente (dolosa o colposa che fosse), ritenendo sufficiente ad integrare l’applicazione della inutilizzabilità ex art. 32, co. 4, Dpr n. 600/73 la condizione oggettiva della mancata esibizione del documento, osserva il Collegio che, accanto all’indirizzo giurisprudenziale secondo cui l’omessa esibizione dei registri contabili implica, oltre la coscienza e la volontà del rifiuto, anche il “dolo specifico” (e cioè la volontà del contribuente di impedire che, nel corso dell’accesso, possa essere effettuata l’ispezione del documento), dovendo quindi ritenersi inapplicabile il divieto di utilizzazione in sede contenziosa dei documenti non esibiti in caso di condotta omissiva dovuta a mera negligenza ed imperizia nella custodia e conservazione delle scritture (cfr. SSUU n. 45/2000, cit., id. Sez. 5, Sentenza n. 16536 del 14/07/2010; Corte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 8539 del 11/04/2014), si è sviluppato anche un altro orientamento giurisprudenziale, che ha ritenuto, invece, applicabile il divieto di utilizzazione probatoria dei libri, delle scritture e dei documenti di cui si è rifiutata l’esibizione, non solo nell’ipotesi di “rifiuto” (per definizione “doloso“) dell’esibizione, ma anche nei casi in cui il contribuente “dichiari, contrariamente al vero, di non possedere” o “sottragga all’ispezione” i documenti in suo possesso, ancorché non al deliberato scopo di impedirne la verifica, ma per errore di diritto o di fatto “non scusabile” , in quanto dovuto a colpa generica (dimenticanza, disattenzione, carenze amministrative, ecc.: cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 7161 del 24/06/1995).

Tale conflitto giurisprudenziale è stato poi risolto dalla Corte, con la Sentenza n. 45 del 25/02/2000, che ha statuito l’inderogabile necessità di una condotta dolosa del contribuente, come ribadito anche dalla successive sentenze (cfr Corte cass., Sentenza n. 7269 del 26/03/2009, Sentenza n. 21768 del 14/10/2009, Ordinanza n. 10448 del 06/05/2013).

Se dunque l’originario conflitto giurisprudenziale deve intendersi risolto dalle SSUU n. 45/2000, dovendo attualmente ricollegarsi esclusivamente a condotte “dolose” il divieto di utilizzabilità successiva della documentazione non esibita in corso di verifica, risulta in realtà meramente apparente la dicotomia di indirizzi giurisprudenziali, dovendo considerarsi che tale apparente dicotomia viene a ricomporsi, laddove si osservi che in tutte le pronunce l’applicazione del divieto di utilizzabilità probatoria del documento non esibito, che il contribuente ha “dichiarato di non possedere”, viene in ogni caso ricondotta alla oggettiva “non veridicità” di tale dichiarazione, coincidendo in tal modo il presupposto applicativo del divieto “in una situazione obiettiva che, stante la mancata dimostrazione della veridicità della dichiarazione attraverso le prescritte modalità, si risolve, per presunzione di legge, in un rifiuto di esibizione”.

Trova quindi conferma, anche nel caso della sentenza in esame l’interpretazione dell’art. 52, c. 5, Dpr n. 633/72, fornita dalla sentenza delle SSUU n. 45/2000 (cfr. da ultimo Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 8539 del 11/04/2014; id. Sez. 5, Sentenza n. 7226 del 10/04/2015).

Peraltro, la Corte Costituzionale, investita sub specie di violazione del principio della capacità contributiva (“perchè la … decadenza dalla facoltà di produrre documenti in giudizio impedirebbe l’accertamento della effettiva situazione patrimoniale del contribuente e, pertanto, sarebbe causa di imposizione fiscale eccedente la capacità contributiva del medesimo contribuente“), con ordinanza 7 giugno 2007 n. 181, ha escluso qualsiasi vizio di costituzionalità della norma in riferimento all’art. 53 Cost., c. 1, chiarendo che “la preclusione prevista dalla norma censurata, risolvendosi in un divieto di allegazione in giudizio dei dati e dei documenti non forniti dal contribuente in risposta all’invito dell’amministrazione finanziaria, opera sul piano esclusivamente processuale ed è perciò inidonea a menomare il principio di capacità contributiva“.

Secondo la Corte Suprema, inoltre (vedi anche decisione 22 febbraio 2008 n. 4605 e 14 ottobre 2009 n. 21768) la inutilizzabilità … deve essere contenuta entro limiti rigorosi che garantiscano il rispetto del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost.“, trovando sostanzialmente applicazione solo “quando si sia in presenza di una specifica richiesta o ricerca da parte della Amministrazione e di un rifiuto, o di un occultamento da parte del contribuente“.

In altre parole, la limitazione alla possibilità della prova è collegata ad uno specifico comportamento del contribuente, che si sottrae alla prova stessa, e dunque fornisce validi elementi per dubitare della genuinità di documenti che abbiano a riaffiorare nel corso del giudizio.

Ciò costituisce una giustificazione ragionevole della loro inutilizzabilità, temperata dalla possibilità riconosciuta al contribuente di dimostrare la non volontarietà della sottrazione originaria della documentazione (così come affermato da Cass. 28 gennaio 2002, n. 1030).

La mancata risposta all’invito, che è sanzionabile, oltre che per rendere più efficace l’attività di accertamento, anche per scoraggiare condotte reticenti e ostruzionistiche, pregiudica quindi il diritto del contribuente a far valere, in sede contenziosa, i documenti volontariamente non esibiti.

Oltre a ciò, se il contribuente non risponde, l’ufficio è anche legittimato a ricorrere all’accertamento induttivo, ai sensi dell’articolo 39, lettera d-bis), del Dpr n. 600/73.

In caso dunque di mancata indicazione, secondo i criteri sopra indicati, dei documenti richiesti dall’Ufficio e potenzialmente idonei a superare le contestazioni avanzate in sede di accertamento, le giustificazioni addotte poi in contenzioso devono essere considerate mere circostanze soggettive non potute conoscere dall’Ufficio.

24 marzo 2016

Giovambattista Palumbo