La fattura generica mette a rischio la deduzione del costo e dell'IVA

La fattura come documento fiscale e contabile prevede dei contenuti minimi obbligatori: in caso di descrizione troppo generica il Fisco può ritenere che il documento sia indetraibile a fini fiscali per il cessionario, o addirittura falso.

 

L’Agenzia delle entrate valuta sempre con particolare sospetto le fatture emesse al termine dell’anno o durante i primi giorni dell’esercizio successivo (con competenza nell’anno precedente), ciò in quanto l’emissione di questi documenti in questo periodo sono in alcuni casi utilizzati per “aggiustare” il risultato del periodo di imposta.

E’ dunque necessario osservare con rigore le regole da seguire per l’emissione delle fatture in modo da evitare possibili contestazioni del Fisco in caso di verifica.

 

 

Contenuti obbligatori in fattura

fattura mancante o errata da parte del fornitoreIl legislatore fiscale non indica in alcuna disposizione quale sia la definizione di fattura, ma all’art. 21 del D.P.R n. 633/1972 sono elencati puntualmente i contenuti obbligatori di tale documento.

L’attenzione deve essere concentrata soprattutto sulla parte della disposizione che indica quali elementi obbligatori da indicare la “natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi formanti oggetto della prestazione” (art. 21, c. 2, lett. g).

L’indicazione della prestazione resa deve essere effettuata con precisione essendo certamente insufficiente una descrizione generica.

In questo caso, ove la descrizione della prestazione non fosse tale da individuare con certezza l’attività svolta la contestazione dei verificatori sarebbe pressoché certa con il disconoscimento sia del diritto alla detrazione dell’Iva, ma anche del costo ai fini delle imposte sui redditi.

Ad esempio il problema può verificarsi per una descrizione del tipo “lavori vari di ristrutturazione dell’immobile ubicato in Roma, via Cavour, n. 15”.

Il dettaglio delle prestazioni eseguite è un requisito richiesto dal legislatore per verificare l’inerenza dei costi per il destinatario del documento. L’Ufficio potrà così riscontrare se le spese in questione siano o meno sostenute nell’esercizio dell’attività d’impresa o professionale.

L’indicazione analitica, infatti, semplifica l’attività di accertamento (Ris. min. n. 111/E del 3 maggio del 1995), mentre un’indicazione generica non pone l’Agenzia delle entrate nelle condizioni di effettuare questa verifica, con il conseguente disconoscimento, come già ricordato, sia del costo, ma anche dell’imposta sul valore aggiunto.

 

“prestazioni di consulenza” comporta un’inversione dell’onere della prova

cassazione reato indebita compensazioneIn questo senso si è pronunciata espressamente la Corte di Cassazione chiamata ad esprimersi sul caso di un professionista che aveva emesso la fattura addebitando il compenso per

“generiche prestazioni di consulenza” (Cass. civ., 10 aprile 2015, n. 7214).

Dalla ricostruzione effettuata dalla Corte di Cassazione sembra corretto affermare che il committente beneficiario dei servizi o l’acquirente dei beni possa comunque fornire anche in altra sede, al di fuori della fattura, la prova dell’inerenza dell’onere sostenuto rispetto all’attività esercitata.

In buona sostanza la generica indicazione delle prestazioni effettuate (cessioni di beni e prestazioni di servizi) determinerebbe un’inversione dell’onere della prova a carico del destinatario della prestazione, che potrebbe essere comunque in grado di dimostrare l’inerenza del costo (circostanza non agevole in presenza di una fattura ricevuta estremamente generica).

 

 

Si pone così il problema se possa essere considerata corretta l’emissione di una fattura recante una descrizione generica con un rinvio, per relationem, a un altro documento quale ad esempio una lettera commerciale, un preventivo, etc.

La sentenza citata sembra essersi espressa negativamente sul punto, ma a ben vedere la soluzione negativa è stata argomentata osservando come dal contratto non fosse possibile individuare né le prestazioni effettivamente poste in essere, né i criteri di determinazione dei compensi.

Conseguentemente, fondando la soluzione su di un’interpretazione a contrariis, se nel contratto avente ad oggetto la disciplina del rapporto sono indicate espressamente le prestazioni richieste e le modalità di determinazione dei compensi, la prova dell’inerenza della spesa dovrebbe essere considerata fornita. In tale ipotesi l’Agenzia delle entrate non potrà disconoscere né la deduzione del costo, né la detrazione dell’Iva.

Secondo le indicazioni fornite dalla Corte di Cassazione (cfr. ordinanza 13 marzo 2013, n. 6203) in assenza di un contratto scritto la fattura emessa per una consulenza può essere ritenuta falsa dall’Amministrazione finanziaria che, quindi, può negare la detrazione dei costi alla società. In tale ipotesi, se la fattura si riferisce a prestazioni generiche di consulenza, in mancanza di un incarico scritto tra le parti, l’attività di accertamento dell’ufficio è legittima sulla base di presunzioni semplici, con conseguente onere della prova a carico del contribuente.

Anche in questa ipotesi la Suprema Corte sembra voler affermare che l’esistenza di un incarico scritto potrebbe essere sufficiente per integrare la prova dell’inerenza della prestazione rispetto all’attività esercitata.

 

 

15 dicembre 2015

Nicola Forte