Cartella non sufficientemente motivata? Fisco KO

per essere valida a riscuotere i crediti vantati dal fisco, la cartella esattoriale deve riportare una valida motivazione da cui il contribuente possa capire a quali debiti si riferisce la cartella esattoriale

 

L’assenza dell’iter logico giuridico che ha indotto l’ufficio accertatore ad iscrivere a ruolo gli importi asseritamente dovuti costituisce una causa di nullità della cartella di pagamento. E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione, con sentenza n. 22489 depositata in cancelleria il 4.11.2015. La pronuncia degli Ermellini arricchisce l’approdo giurisprudenziale dominante che censura le iscrizioni a ruolo quando le prescrizioni contenute nella cartella di pagamento non rappresentano adeguata ed esauriente motivazione della pretesa fiscale.

 

Premessa

Non di rado i contribuenti destinatari di iscrizione a ruolo propongono impugnative innanzi la competente magistratura tributaria contestando, per lo più, il rispetto delle regole e della procedura imposta dalla legge al Concessionario per richiedere i pagamenti di imposte e contributi.

Normalmente il vizio più contestato, in via pregiudiziale, in una cartella esattoriale, è il difetto di notifica: la legge, infatti, impone al notificatore di rispettare determinate formalità prima di consegnare l’atto emesso dall’Agente della riscossione.

Ad esempio, la notifica della cartella di pagamento tramite il servizio postale può determinare l’inesistenza giuridica della notifica, come anche l’illeggibilità della relata della cartella di pagamento priva altresì di idonea sottoscrizione dell’Agente della riscossione.

Altre deduzioni di parte eccepiscono, per esempio, la violazione del principio del contraddittorio procedimentale che imporrebbe all’Agenzia delle entrate di convocare il contribuente per la comunicazione dell’esito dell’attività svolta, in epoca antecedente alla notifica della cartella di pagamento, ovvero la carenza di motivazione dell’atto esecutivo.

Su quest’ultimo aspetto occorre osservare che, se è vero che la cartella di pagamento individui esclusivamente le somme iscritte a ruolo essendo la motivazione insita negli atti “presupposti”, è altrettanto vero che nonostante l’approvazione dei nuovi modelli di cartella, gli atti impositivi continuano a mancare dei prospetti di calcolo degli interessi e di informazioni “adeguate” ad illustrare la pretesa tributaria o previdenziale.

Con una recentissima sentenza n. 22489 depositata il 4 novembre scorso, i Giudici della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione hanno censurato la prassi adottata dagli Agenti della riscossione rilevando come la succinta parte descrittiva delle ragioni sottese all’iscrizione a ruolo non rappresentasse una adeguata ed esauriente motivazione della pretesa fiscale.

Dopo aver brevemente richiamato i riferimenti normativi di carattere generale che presiedono l’obbligo di motivazione degli atti impositivi, si ripercorrono i contenuti della recentissima pronuncia di Legittimità che ribadisce, e conferma, l’approdo giurisprudenziale dominante condiviso anche dai collegi provinciali e regionali.

 

Riferimenti normativi di carattere generale

Come acutamente osservato in dottrina (G. TURRI) l’obbligo di motivazione degli atti impositivi costituisce indubbiamente uno dei temi dell’attività dell’accertamento maggiormente discussi e dibattuti dalla letteratura negli ultimi anni, che assume una speciale rilevanza in ragione della delicatezza della funzione assolta dalla motivazione soprattutto in relazione alle norme che hanno imposto la motivazione degli atti.

Evidentemente, ci si riferisce alla legge 7 agosto 1990, n. 241 (“Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”), integrata dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15, che ha rappresentato una notevole innovazione per l’attività della pubblica amministrazione e, più in generale, per il diritto amministrativo italiano.

In ambito specificatamente tributario si rammenta che il comma 2, art. 42, D.P.R. 29/09/1973, n. 600, prevede che l‘avviso di accertamento deve recare l’indicazione dell’imponibile o degli imponibili accertati, delle aliquote applicate e delle imposte liquidate, al lordo e al netto delle detrazioni, delle ritenute di acconto e dei crediti d’imposta.

 

L’atto impositivo, quindi, deve essere motivato in relazione ai presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e in relazione a quanto stabilito dalle disposizioni di cui ai precedenti articoli che sono state applicate, con distinto riferimento ai singoli redditi delle varie categorie e con la specifica indicazione dei fatti e delle circostanze che giustificano il ricorso a metodi induttivi o sintetici e delle ragioni del mancato riconoscimento di deduzioni e detrazioni.

Se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto ne’ ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale.

Allo stesso modo nel testo dell’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente) il legislatore privilegia (e richiede) chiarezza e motivazione negli atti di accertamento pena la nullità del provvedimento medesimo.

E’ quindi principio assodato che ogni atto posto in essere dell’amministrazione debba essere debitamente motivato, in modo da consentire la ricostruzione dell’Iter logico giuridico alla base della pretesa. La stessa giurisprudenza ai più alti livelli ha sancito, in modo pacifico, che l’obbligo motivazionale vale anche per qualsiasi atto amministrativo siccome:

  • la legittimità di un atto amministrativo privo di motivazione contrasterebbe oltre che con la Legge n. 241/1990, con gli artt. 3 e 24 della Costituzione (C. Cass. 11 febbraio 2005, n. 2819);

  • la motivazione di un atto amministrativo rappresenta un obbligo per la Pubblica Amministrazione (C. Cost. 21 aprile 2000, n. 117).

Sotto altro profilo, l’art. 10 del già citato Statuto dei diritti del contribuente, rubricato “Tutela dell’affidamento e della buona fede” può ritenersi rispettato solo allorquando nel provvedimento amministrativo che incide, in modo significativo, sulla sfera personale di chi lo riceve, siano presenti le minime indicazioni strumentali ad una verifica della correttezza degli importi avanzati.

 

Cassazione, sez. Tributaria, Sent. n. 22489/15

Vicenda processuale

Un contribuente impugnava una cartella di pagamento emessa a seguito di controllo formale ex art. 36-ter, D.P.R. 29/09/1973, n. 600 della dichiarazione dei redditi relativa all’anno 2002, per Irpef dovuta stante il mancato riconoscimento da parte dell’ufficio, di somme portate in detrazione e deduzione d’imposta (assegno di mantenimento divorzile versato in unica soluzione, all’ex coniuge e detrazioni d’imposta per il figlio a carico calcolate per intero, e non per la metà, tra i genitori).

In sede di ricorso il contribuente eccepiva la carenza di motivazione dell’iscrizione a ruolo e contestava l’operato dell’ufficio che non aveva provveduto alla notifica di rituale atto prodromico (avviso di accertamento) trattandosi di rettifica estranea alla sfera di applicazione delle rettifiche “automatiche” ex art. 36-bis, D.P.R. n. 600/73, desumibili dai dati dichiarati nel modello UNICO.

Le doglianze di parte venivano condivise dai Giudici tributari sia provinciali che regionali (C.T.R. Lombardia, n. 92/11/2209). Alla pronuncia del collegio di seconde cure l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per Cassazione, osservando tra l’altro come in sede di controllo formale delle dichiarazioni presentate dai contribuenti l’Ufficio potesse escludere (stante il chiaro disposto normativo) in tutto o in parte le detrazioni non spettanti in base ai documenti richiesti ai contribuenti così come le deduzioni dal reddito, allorché l’indeducibilità emergesse icto oculi dallo stesso controllo formale della dichiarazione e dall’allegata documentazione. In tale direzione, concludeva l’Ufficio, la comunicazione inviata al contribuente ai sensi del comma quarto dell’art. 36-ter, D.P.R. n. 600/73, integrata dalla motivazione sintetica della cartella poteva ritenersi sufficiente a ritenere soddisfatto il requisito della motivazione dell’atto impositivo. Con controricorso resisteva il contribuente che si costituiva in giudizio.

 

Motivi della decisione

Le osservazioni proposte dall’Agenzia delle entrate alla sentenza dei Giudici di appello non hanno convinto la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione che, confermando l’invalidità della procedura di riscossione, hanno respinto il ricorso avanzato dall’Amministrazione finanziaria.

La soluzione degli Ermellini sottolinea la sostanziale differenza tra “… La procedura di cui al citato art. 36 ter del D.P.R. n. 600/73…“ e quella “… delineata nell’art. 36-bis, medesimo D.P.R. che si connota per l’effettuazione di controlli sui dati e documenti esterni rispetto al mero contenuto cartolare della dichiarazione, che si risolvono sovente nell’accertare la veridicità di quanto in essa riportato e non la mera sussistenza di errori di calcolo o di omissioni…”.

In tale ottica, la comunicazione di irregolarità di cui al l’art. 36-ter, c. 4, D.P.R. n. 600/73, rappresenta un mero “… atto amministrativo istruttorio, emesso dall’Agenzia delle entrate e relativo a somme non ancora iscritte a ruolo…”, che pur assolvendo ad una mera funzione di garanzia e realizzando la necessaria interlocuzione tra Amministrazione finanziaria e contribuente, appare inidoneo a “motivare” l’avvio della riscossione.

In altri termini, trattandosi di rettifica generata dal controllo formale ex art. 36-ter D.P.R. n. 600/73, secondo i Giudici di Legittimità, la motivazione della cartella di pagamento avrebbe dovuto contenere espliciti richiami alle “… ragioni espresse dall’Ufficio nella previa comunicazione ex art. 36-ter, comma 4…” proprio perché dall’esame dell’iscrizione a ruolo non emergeva con esauriente chiarezza quale fosse stato “… l’iter logico-giuridico che ha (avrebbe, N.d.A.) determinato l’Ufficio accertatore ad iscrivere a ruolo gli importi asseritamente dovuti dal contribuente…”.

 

Orientamenti giurisprudenziali

Qualora il provvedimento impugnato risulti viziato da carenza di motivazione, il giudice tributario deve limitarsi ad una pronuncia di annullamento, senza proseguire ulteriormente l’indagine sull’effettiva sussistenza del debito di imposta e sostituirsi quindi all’Amministrazione finanziaria

Sull’obbligo di motivare le cartelle di pagamento imposto agli Agenti della riscossione si segnala il consolidato orientamento espresso dalla Corte di Cassazione1, ove è stata ritenuta insufficiente la dicitura omesso o carente versamento per carenza di motivazione. Con riferimento ai controlli formali ex art. 36-bis. D.P.R. n. 600/73, testualmente, hanno statuito i Giudici di Legittimità “… l’indicazione di un ‘omesso o carente versamento’ non costituisce adeguata motivazione di una pretesa fiscale”.

Sulla medesima linea interpretativa anche numerose pronunce dei Giudici di prime e seconde cure, secondo cui gli importi richiesti come “omessi o carenti versamenti” non sono comprensibili e impediscono al contribuente la possibilità di una tempestiva verifica sull’eventuale esattezza dei dati e dei calcoli forniti dall’ufficio2.

E’ stata predisposta a beneficio dei Colleghi, in allegato al presente intervento, una bozza di ricorso ove sono state riepilogate, in virtù delle diverse motivazioni offerte dai Giudici di Legittimità e tributari, le eccezioni da opporre in giudizio avverso le cartelle di pagamento viziate da omessa o carente motivazione, ove non è stato esplicitato, altresì il calcolo degli interessi.

 

CONCLUSIONI

Nullità dell’iscrizione a ruolo, indecifrabile nel suo contenuto, e per tale ragione impossibile da contestare.

E’ questa, in termini assolutamente riduttivi, è una delle motivazioni d’impugnativa che i contribuenti potranno eccepire una volta ricevuta la cartella di pagamento. Doglianza, peraltro, confortata dalle richiamate pronunce giurisprudenziali secondo cui il vizio dell’atto determina restrizioni al diritto di difesa del destinatario della cartella di pagamento.

 

17 novembre 2015

Antonino e Attilio Romano

 

1Corte di Cassazione civile, sez. 6, ordinanza 3 settembre 2013 n. 20211; Cass. Sent. n. 22500 10 dicembre 2012, Cass. 16 dicembre 2009, n. 26330; C. Cass. Sez. V Tributaria, Sent. n. 24912 del 10 ottobre 2008; C. Cass. 16 settembre 2005, Sent. n. 18415; Cass. Sent. n. 11461 del 3 novembre 1995, Cass, SS.UU, 26 ottobre 1988, n. 5782; Cass. SS.UU, 2 aprile 1986, n. 2246.

2C.T.P. Torino, 25 settembre 2008, sentenza n. 42; C.T.P. Treviso, 22 dicembre 2008, n. 111; C.T.P. Lecce, 15.03.2010, n. 206; C.T.P. Asti, 14.4.2010, n. 44.