la Cassazione ha confermato che spetta al contribuente verificato provare le movimentazioni, anche nel caso di conto cointestato con un familiare
Con l’ordinanza 15 settembre 2015, n. 18125, la Corte di Cassazione ha confermato che spetta al contribuente verificato provare le movimentazioni, anche nel caso di conto cointestato con la madre, pur avendo quest’ultima notevoli disponibilità finanziarie.
I principi affermati
Sinteticamente indichiamo i principi affermati dalla Corte nella sentenza che si annota:
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“qualora l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo l’art. 32 del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, mentre si determina un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili (cfr. tra le tante Cass. n. 18081 del 04/08/2010;
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è stato già precisato (Cass. n. 19692 del 27/09/2011) “che i dati e gli elementi risultanti dai conti correnti bancari assumono sempre rilievo ai fini della ricostruzione del reddito imponibile, se il titolare di detti conti non fornisca adeguata giustificazione, ai sensi dell’art. 32 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, poiché questa previsione e quella di cui all’art. 38 del medesimo D.P.R. hanno portata generale, riguardando la rettifica delle dichiarazioni dei redditi di qualsiasi contribuente, quale che sia la natura dell’attività svolta e dalla quale quei redditi provengano; né può inferirsi l’applicabilità dell’art. 32 citato ai soli soggetti che esercitino attività di impresa o di lavoro autonomo per via del riferimento testuale della disposizione ai ‘ricavi’ ed alle ‘scritture contabili’, in quanto il dato letterale risulta limitativo unicamente della possibilità per l’Ufficio di desumere reddito dai ‘prelevamenti’, giacché non può presumersi in via generale e per qualsiasi contribuente la produzione di un reddito da una spesa, a differenza che per imprenditori o lavoratori autonomi, per i quali, invece, le spese non giustificate possono ragionevolmente ritenersi costitutive di investimenti”;
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“in ordine al tipo di prova che il contribuente ha l’onere di fornire al fine di vincere la presunzione di cui al citato art.32 è sì ammesso anche il ricorso alle presunzioni semplici ma le stesse devono essere sottoposte ad attenta verifica da parte del giudice, il quale è tenuto ad individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purché grave preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo (Cass. 22502/2011 richiamata da Cass.4585/15)”.
Riaffermati tali principi, la Corte conclude ritenendo irrilevante la circostanza che il conto corrente bancario sia cointestato (cfr. Cass. n. 21420/12).
In pratica, anche in tali ipotesi, il contribuente verificato deve giustificare i movimenti del conto contestato. Invece, nel caso di specie, la parte non è stata in grado di giustificare le movimentazioni bancarie riprese a tassazione e la CTR, “pur affermando che era la parte a dover fornire la prova documentale che le movimentazioni bancarie contestate dall’Ufficio dovevano riferirsi esclusivamente all’altro cointestatario del conto corrente non ha negato (come dedotto in ricorso) ingresso alla prova indiziaria fornita dalla contribuente ma, valutandola dettagliatamente, non ne ha apprezzato la gravità, precisione e concordanza, rilevando che le allegazioni allo scopo fornite non erano esaustive non essendo correlate a precisi e puntuali riferimenti alle singole operazioni riferibili all’altro cointestatario ed alla causale delle operazioni stesse, essendosi la parte limitata ad affermazioni generiche sull’autonomia gestionale della madre e sul fatto che era titolare di svariati immobili, di investimenti in fondi comuni, di titoli obbligazionarie e di pronta liquidità su conto corrente”.
I conti cointestati
Il conto corrente cointestato è un normale conto corrente bancario, intestato a due o più titolari (spesso a marito e moglie).
La cointestazione permette a tutti gli intestatari del conto di accedere al denaro depositato e di disporne la movimentazione. Il conto può essere a firma congiunta (doppia firma) ovvero a firma disgiunta. I conti a firma congiunta richiedono la firma − e quindi la presenza − di tutti i titolari per poter effettuare operazioni di prelievo, emissione di assegni, disposizione di bonifici e altri servizi, secondo le procedure che sono stabilite a questo riguardo in ogni contratto. I conti a firma disgiunta consentono invece a ogni cointestatario di disporre liberamente e separatamente del conto, utilizzandolo per movimentare denaro, emettere assegni o disporre bonifici senza bisogno di alcuna autorizzazione da parte degli altri titolari del conto.
L’art. 1854 c.c. prevede che “Nel caso in cui il conto sia intestato a più persone, con facoltà per le medesime di compiere operazioni anche separatamente, gli intestatari sono considerati creditori o debitori in solido dei saldi del conto”.
In pratica, se in presenza di un conto corrente cointestato, tutti i cointestatari sono considerati in solido debitori o creditori dei residui al momento della chiusura del conto, i medesimi soggetti sono contitolari (a debito o a credito) anche delle somme presenti sul conto durante la vita del conto.
A sua volta, l’art. 1298 c.c. prevede che “Nei rapporti interni l’obbligazione in solido si divide tra i diversi debitori o tra i diversi creditori, salvo che sia stata contratta nell’interesse esclusivo di alcuno di essi. Le parti di ciascuno si presumono uguali, se non risulta diversamente”.
Dal punto di vista fiscale sono direttamente utilizzabili, ai fini dell’accertamento e della presunzione, i dati ed elementi tratti da conti correnti contestati al contribuente accertato, non toccando la cointestazione, nei rapporti esterni, la posizione di ciascuno dei cointestatari rispetto a tutte le operazioni annotate (Cass. 21 giugno 2001, n. 8457). Infatti, osserva la Corte nella citata sentenza n. 8457/2001, “i movimenti bancari, per i quali l’art.51, comma 2, nn. 2) e 7) del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 contempla il potere dell’ufficio di acquisire notizie dagli istituti di credito e di presumere il riferimento ad operazioni tassabili in assenza di prova contraria, sono quelli dei conti ‘intrattenuti’ dal contribuente, vale a dire dei conti le cui poste attive o passive siano al medesimo imputabili. Tali caratteri sussistono anche per i conti congiuntamente intestati al contribuente e ad un terzo, dato che la cointestazione non tocca, nei rapporti esterni, la posizione di ciascuno del cointestatari di creditore o debitore, rispetto a tutte le operazioni annotate. L’interpretazione trova conferma nella ratio della norma, perché la presunzione di riferibilità dei movimenti bancari ad operazioni imponibili si correla ad una valutazione del legislatore di rilevante probabilità (idquod plerumque accidit) che il contribuente si avvalga del conto di cui possa disporre per le rimesse od i prelevamenti inerenti all’esercizio della propria attività, e trova così basi logiche indipendenti dall’eventuale concorso della facoltà di un altro soggetto di utilizzare lo stesso conto (il cui esercizio nel caso concreto potrà essere addotto in via di prova contraria alla presunzione)”.
Una volta, quindi, ritenuto che le norme sull’utilizzo delle indagini finanziarie pongano delle presunzioni legali relative di rilevanza reddituale delle movimentazioni finanziarie annotate nei conti, sorge l’inversione dell’onere della prova in capo al contribuente, al fine di attribuire le singole operazioni ai soggetti che possono operare sui conti.
Principi, peraltro, espressi di recente dalla Corte di Cassazione, di recente, con la sentenza n.4585/2015 che ha esaminato la problematica relativa ai conti correnticointestati1, affermando a fronte della presunzione legale normativamente prevista, “ il contribuente è onerato di fornire la prova contraria, anche attraverso presunzioni semplici, da sottoporre comunque ad attenta verifica da parte del giudice, il quale è tenuto a individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purchè grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari cointestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo (Cass. 22502/2011). La presunzione di riferibilità dei movimenti bancari ad operazioni imponibili si correla, infatti, ad una valutazione del legislatore di rilevante probabilità che il contribuente si avvalga del conto corrente bancario per effettuare operazioni inerenti all’esercizio dell’attivitàprofessionale (Cass. 13035/12). Orbene tali principi devono ritenersi applicabili anche all’attività svolta dai lavoratori autonomi, ed ai versamentieffettuati dal coniuge cointestatario del conto corrente, gravando anche in tal caso sul contribuente l’onere di provare che i versamentieffettuati dal coniuge sul conto cointestato sono estranei all’attivitàprofessionale del contribuente. Ed invero, come questa Corte ha già affermato, una volta dimostrata la pertinenza del conto corrente all’attivitàprofessionale del contribuente, tutti i versamentieffettuati su detto conto corrente, ancorchè materialmente effettuati dal coniuge, si presumono inerenti alla suddetta attivitàprofessionale, salva prova contraria a carico del contribuente (Cass. 21420/2012)”.
Conclusioni
L’effetto presuntivo e, conseguentemente, l’obbligo del contribuente di fornire la prova liberatoria in maniera puntuale e specifica, vale per tutti i rapporti finanziari intrattenuti dal contribuente stesso, ancorché cointestati con terzi, soprattutto ove si tratti di congiunti, dal momento che il vincolo familiare è da ritenersi sufficiente per suffragare l’attribuzione delle operazioni rilevate dalla documentazione all’attività del contribuente sottoposto ad attività ispettiva (Cass. nn. 20858/2007 e 18372/2007).
Il medesimo effetto presuntivo e la conseguente necessità di fornire una prova contraria precisa, sono stati riconosciuti dalla stessa Cassazione, nelle sentenze n. 7957 del 15 marzo 2007 e n. 23861 del 24 aprile 2007, anche nel caso di rapporti finanziari intestati a terzi su cui il contribuente sottoposto ad attività ispettiva normalmente operi sulla base di delega dell’intestatario, soprattutto ove questo sia un familiare e non si dimostri che il potere di disposizione del rapporto finanziario sia stato conferito per circostanze specifiche e giustificabili.
Infatti, osserva la Cassazione (sentenza n. 8683/2002) non vi sono dubbi sul fatto che l’indagine sul conto cointestato è legittimata se i coniugi sono co-dichiaranti, “ … ma risulta del pari legittima siffatta indagine in ragione della connessione e della inerenza del conto intestato al coniuge al (conto intestato al) contribuente. Se la legge consente l’acquisizione delle garanzie prestate da terzi, a maggior ragione è consentita l’acquisizione di dati relativi a conti correnti del coniuge“.
29 ottobre 2015
Gianfranco Antico
1In particolare se la presunzione ex art. 2727 e 2728 c.c., contenuta nell’art. 32 c. 1 n. ) Dpr 600/73, e la conseguente inversione dell’onere della prova, ex art. 2728 c.c., si applica solo ove l’Amministrazione finanziaria dia prova del fatto noto dei versamentieffettuati dal contribuente sottoposto a verifica o si applichi anche ai versamenti di cui non si sia raggiunta la prova dell’effettuazione da parte del contribuente sottoposto a verifica. La contribuente lamenta, infatti, che la CTR abbia considerato non soltanto i versamenti effettuali direttamente dalla contribuente ma anche quelli effettuali dal coniuge, escludendo unicamente gli stipendi del medesimo.