I soggetti dei delitti contro la Pubblica Amministrazione | Parte 2: Pubblico Ufficiale e Incaricato di Servizio Pubblico

Continuiamo la nostra analisi dei soggetti che possono commettere reati contro la Pubblica Amministrazione: il pubblico ufficiale e l’incaricato di pubblico servizio. Approfondimento a cura di di Valeria Montesarchio, Massimiliano Giua e Daniele Corradini.

Se non lo hai già fatto, consulta la 1a parte dell’approfondimento >>

Il pubblico Ufficiale

pubblico ufficialeAttualmente, quindi, la norma di cui all’art 357 codice penale recita quanto segue: “Agli effetti della legge penale, sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria1 o amministrativa. Agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi”.

Oltre al citato abbandono della tecnica del rinvio e ai riferimenti al pubblico impiego si nota come la definizione di p.u. sia incentrata sull’esercizio di una pubblica funzione legislativa2, giudiziaria o amministrativa e, rispettivamente, sulla prestazione di un pubblico servizio.

In altre parole, funzione e servizio debbono far capo al soggetto considerato e non essere semplicemente prerogativa dell’Amministrazione cui egli appartiene e nel cui ambito vengono espletati da altri soggetti.

Si tratta di un corollario del principio della personalità della responsabilità penale in armonia con il disposto dell’art. 27 Cost., che in passato la giurisprudenza non sempre ha utilizzato3.

E’, inoltre, utile rilevare come il legislatore non si sia soffermato sulle definizioni di funzioni legislative e giudiziarie, differenziandole, pertanto, dalla funzione amministrativa al cui chiarimento è dedicato il secondo comma dell’art. 357 codice penale4.

Per ciò che concerne il concetto di funzione giudiziaria, si ritiene essere quella svolta dagli organi giurisdizionali dello Stato, ovvero la Corte Costituzionale, la Corte dei Conti, il Consiglio di Stato, i giudici togati, quelli onorari e i soggetti (periti e consulenti) che svolgono nell’ambito di procedimenti giudiziari attività ricollegata alla funzione giudiziaria5.

Per ciò che riguarda la funzione amministrativa, l’art. 357 codice penale, capoverso, tenta di delineare i confini applicativi della pubblica funzione amministrativa.

Tentativo che era stato omesso dal codice ante riforma poiché si riteneva sufficiente ricorrere alla definizione di funzione amministrativa dettata dalla dottrina giuspubblicistica<sup.

La norma attuale tende ad individuare, quindi, la distinzione tra funzione pubblica e quella privata, nonché quella tra pubblico servizio e pubblica funzione.

In merito, sarà pubblica la funzione disciplinata da norme di diritto pubblico7, ovvero, da atti che esprimano l’autorità della pubblica amministrazione in genere.

Circa la possibilità di definire e delimitare il concetto di norme di diritto pubblico, la dottrina ha avuto modo di evidenziare che è opportuno porre in evidenza che sull’argomento sorgono diversi problemi, dal momento che non sempre si riesce a distinguerle dalle norme di diritto privato8.

Pertanto, autorevole dottrina9 ha rilevato la possibilità di individuare taluni criteri attraverso i quali rilevare la presenza della pubblica funzione amministrativa.

In particolare, nel tempo, gli elementi utilizzati per focalizzare il concetto in analisi sono stati i seguenti:

  • determinatezza o meno del destinatario della norma;
  • natura derogabile o inderogabile;
  • procedibilità d’ufficio o ad istanza di parte delle sanzioni;
  • osservanza o meno di un obbligo di imparzialità.

I criteri elencati non sono cumulativi ma alternativi, per cui a conferire natura di pubblica funzione ad una attività è la presenza di uno solo tra i criteri predetti10; nel loro complesso questi ultimi non sono però più sufficienti a descrivere tutti i diversi modi con i quali oggi si esprime l’attività della pubblica amministrazione per il perseguimento dell’interesse generale.

La veste che l’amministrazione assume non è più quella di una volta; essa, infatti, attualmente, mutua moduli organizzativi e strumenti comportamentali dal privato; gli stessi atti posti in essere non sono più riconducibili, quindi, al modello classico di atto amministrativo inteso come atto autoritativo11.

Ed infatti, il provvedimento amministrativo è, oggi, solo uno dei possibili atti con cui opera la P.A.

Anche al concetto di atto di autorità della p.a. corrisponde una certa confusione. In merito, infatti, si è parlato di atti autoritativi in senso stretto (Es: arresto o fermo di indiziato di delitto), ovvero, di atti autoritativi in senso lato in quanto unilateralmente produttivi di effetti giuridici.

La dottrina maggioritaria12 ha dato, nel caso di specie, una risposta specifica evidenziando che i poteri autoritativi non vanno intesi quali esclusivamente quelli coercitivi, ma anche tutti quelli in virtù dei quali la p.a. emana provvedimenti, ovvero atti tipici.

Il potere di certificazione della p.a. e, quindi, quello esercitato dal p.u. si sostanzia, infatti, anche nelle attività di documentazione cui l’ordinamento assegna efficacia probatoria.

Sull’argomento, la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha avuto modo di evidenziare che

la qualifica di pubblico ufficiale compete a chi esercita poteri che sono la manifestazione della volontà dell’autorità che essi rappresentano e consistono in verifiche, accertamenti, verbalizzazione, constatazioni ed obblighi di denunce e rapporti interni ed esterni, cioè atti che rientrano nella funzione di documentazione amministrativa che è quella volta a dare certezza di quanto con la stessa accertato, e che non può essere che la manifestazione di una funzione pubblica13.

Ci si è chiesti, inoltre, se il compimento di un solo atto possa qualificare come pubblica l’intera attività o se, al contrario, la natura privata di un singolo atto possa escludere la sussistenza delle qualifiche pubblicistiche.

In merito, quindi, si sono formate le teorie atomistica ed olistica14 secondo le quali si è rispettivamente in presenza di una pubblica funzione amministrativa nel caso di un singolo atto di imperio, ovvero di un procedimento amministrativo formato da più atti.

Invero, la risposta fornita dalla dottrina è positiva nel primo caso e negativa nel secondo, poiché in quest’ultimo la qualifica pubblicistica dovrebbe risultare dalla disciplina dell’attività complessivamente considerata15.

Ulteriore elemento di analisi riguarda, poi, la distinzione tra servizio e funzione pubblica.

Perché la funzione pubblica possa essere considerata tale è necessario, secondo la norma, è necessario che essa “sia caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi a mezzo di poteri autoritativi o certificativi”.

Sul punto, non è necessario che vi sia contemporaneamente formazione e manifestazione della volontà bastando l’uno o l’altro elemento ed essendo sufficiente, inoltre, che alla funzione sia ricollegato anche un mero atto preparatorio del provvedimento amministrativo16.

Al riguardo, la Corte di Cassazione ha avuto modo di evidenziare che la qualifica di cui all’art. 357 codice penale va attribuita

non solo a colui il quale con la sua attività concorre a formare la volontà dello stato o degli altri enti pubblici, ma anche a chi è chiamato a svolgere attività di carattere accessorio o sussidiario ai fini istituzionali, in quanto anche in questo caso si verifica, attraverso l’attività svolta una partecipazione sia pure in misura ridotta alla formazione della volontà della p.a.”17.

In definitiva, è pubblico ufficiale chi esercita poteri autoritativi e/o certificativi18.

L’esercizio di tali poteri implica la formazione e/o, rispettivamente, la manifestazione della volontà statuale19, perché non si può esercitare un potere autoritativo senza formare la volontà pubblica né si può esercitare un potere certificativo senza manifestare la volontà pubblica.

Con questa impostazione, la qualifica di pubblico ufficiale si impernia sulle funzioni svolte dal soggetto e prescinde dai caratteri dell’ente nell’ambito dei quali egli le svolge, semplificando così l’accertamento della qualifica specialmente quando si tratta di una società20.

 

L’incaricato di un pubblico servizio

Stabilita la piena applicabilità del principio della c.d. oggettività funzionale e definiti i limiti esterni ed interni della pubblica funzione, non vi è che da individuare i contorni del concetto di pubblico servizio.

In passato, nella vigenza dell’originaria versione del Codice Rocco, un’importante funzione in merito la svolgeva la legge n. 562 del 1926 la quale, nonostante non definisse i concetti di servizio pubblico e di servizio di pubblica necessità, rimandava al regio decreto n. 1130 del 1926 il quale stabiliva che fosse il Ministero per le Corporazioni a definire quali fossero i servizi da ritenersi di pubblica necessità e che, successivamente, fossero i Comuni, ad individuare annualmente le imprese che potessero svolgere tali tipi di servizio.

Permanevano, comunque, dubbi interpretativi circa le confuse nozioni che di tali ultimi due concetti davano i giuspubblicisti, con la conseguenza che il segmento di applicazione della figura dell’incaricato di un pubblico servizio21 risultò, di fatto, come già ricordato, incontrollabile.

Come in precedenza accennato, infatti, in mancanza di una specifica definizione di pubblico servizio, la giurisprudenza penalistica ricorreva, sovente, alle elaborazioni fornite dalla dottrina giuspubblicistica, con la conseguenza che il rapporto di servizio veniva spesso ricollegato al rapporto che si creava tra pubblica amministrazione e persona fisica; concetto quest’ultimo che si risolveva a volte nel ricorso ai concetti di doverosità, professionalità e continuità della funzione22.

Ciò anche in relazione al ricorso, da parte degli interpreti, talune volte alla teoria soggettiva, talune altre a quella oggettivo-funzionale.

Occorre precisare, peraltro, che l’accoglimento della teoria soggettiva, anche in giurisprudenza, non aveva mai escluso la possibilità di una operatività della concezione oggettivistica in senso “ampliativo”.

A norma dell’art. 358 c.p., sono incaricati di un pubblico servizio “coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio. Per pubblico servizio deve intendersi un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di questa ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale.

La vigente formulazione della norma in esame, anche in relazione ai principi propri della c.d. teoria oggettiva, evidenzia, quindi che sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio.

Successivamente, la norma ha proposto l’attuale definizione di pubblico servizio: ”per pubblico servizio deve intendersi un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di quest’ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni d’ordine e della prestazione di opera meramente materiale”.

Dalla disposizione, quindi, non si evince alcun riferimento alla “manifestazione di volontà” della P.A.

Di conseguenza, nel caso dell’esercente di un pubblico servizio a nulla vale il fatto che l’agente abbia la possibilità o meno di “formare o manifestare la volontà della pubblica amministrazione”.

L’incaricato di pubblico servizio, per essere considerato tale, deve comunque svolgere compiti di concetto e/o di direzione.

Ciò è stato stabilito anche al fine di evitare gli spiacevoli effetti che si erano venuti a creare nella vigenza della vecchia formulazione della norma, e che avevano portato a ipotizzare la responsabilità penale anche di soggetti che svolgevano mansioni di modesto valore23.

Oggi, dalla norma in oggetto, possiamo evincere che il servizio pubblico:

  • è disciplinato da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi;
  • manca dei tre poteri tipici della pubblica funzione (deliberativo, autoritativo, certificativo);
  • non può reggersi sullo svolgimento o la prestazione di mansioni meramente

In merito, ci si rifà allo stesso criterio formale, contenuto nell’art. 357 codice penale, che ha lo scopo di differenziare l’area pubblicistica da quella privatistica24.

L’incaricato di un pubblico servizio, inoltre, non deve necessariamente essere un dipendente pubblico.

A ben guardare, i pubblici impiegati sono attratti nell’alveo della pubblica funzione25, con la conseguenza che nella maggior parte dei casi, per avere un incaricato di un pubblico servizio, si dovrà far necessariamente riferimento alla figura  dell’incaricato  di  un  pubblico  servizio  estraneo  alla  pubblica amministrazione. Figura, quest’ultima, più volte ripresa dalla giurisprudenza26. Con la conseguenza che oggi la funzione amministrativa non è più legata alla natura giuridica dell’ente che la svolge, ovvero, alle disposizioni che tale ente è chiamato ad osservare.

Tutto ciò è coerente con la visione della qualificazione pubblica o privata di una attività, già da tempo introdotta dal legislatore comunitario. Quest’ultimo infatti, nella fondamentale definizione di “organismo di diritto pubblico” (ad es. art. 1 della direttiva 92/50/CEE), prescinde dalla forma giuridica adottata, per fondarsi invece sul duplice dato sostanziale del soddisfacimento di bisogni di interesse generale, nonché dell’influenza dominante, diretta o indiretta, da parte di autorità pubbliche27.

Un’attività, quindi, anche secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale28 potrà essere considerata pubblica qualora vi sia la presenza, anche alternativa, di tre indici:

  • controllo pubblico del capitale o dei voti;
  • diritto di    nomina    della    maggioranza    dei    componenti    dell’organo    di amministrazione, di direzione o di vigilanza da parte dell’organo pubblico;
  • finanziamento

Con la conseguenza che, a prescindere dalla natura giuridica di un ente, ben potrà esserne ravvisata la natura pubblica in relazione alla presenza di uno degli elementi sopra meglio descritti, secondo uno schema che prevede, quindi, la c.d. “pubblicizzazione” di una persona giuridica, quando tale cambiamento coinvolge il momento genetico, quello organizzativo e quello causale29.

Processo di “pubblicizzazione” che prevede, peraltro, come confermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 466 del 1993, il ricorso al controllo pubblico da parte della Corte dei Conti30.

Ad oggi, quindi, il concetto di pubblica funzione amministrativa non può più essere legato alla forma giuridica dell’ente che la esercita. Essa, infatti, potrà essere esercitata non solo esclusivamente attraverso strumenti pubblicistici, e quindi non deve esplicarsi più unicamente con i mezzi propri del diritto amministrativo, ma può essere espletata attraverso strumenti privatistici, senza che ciò muti la natura pubblica se rivolta al soddisfacimento di interessi pubblici

Se guardato in tale ottica, diviene “pubblico” qualsiasi soggetto che svolga attività tese al soddisfacimento di interessi collettivi31. La finalizzazione all’interesse generalizzato diviene il connotato distintivo dell’attività e del soggetto che la svolge valendo a porli nell’area del “pubblico”.

Effetto di tale approccio è che la teoria oggettivo funzionale, che si era venuta a sviluppare nella vigenza del Codice Rocco, e che era stata poi trasfusa nell’ambito della riforma avvenuta con legge n. 86 del 1990, deve essere oramai considerata in parte superata32.

Ad oggi, infatti, rileva il fatto che l’agente eserciti una pubblica funzione o un pubblico servizio. Sul punto si specifica che sostanzialmente la pubblica funzione o il pubblico servizio vengono individuati in base allo specifico interesse perseguito.

Si assiste, allora, ad una sostanziale riforma della funzione amministrativa, la quale può oggi essere esercitata da soggetti pubblici e privati utilizzando gli schemi propri del diritto amministrativo, ovvero, facendo ricorso a regole proprie del diritto privato.

Privati che, quindi, organizzati attraverso strutture e modelli di diritto civilistico, svolgono attività che sono finalizzate al soddisfacimento di interessi collettivi anche in regime di diritto privato.

Tale nuova situazione, a cui oramai è strutturalmente teso il nostro sistema economico che secondo alcuni ha segnato il passaggio da stato nazione a stato mercato33, ci porta a rilevare che la distinzione eseguita dal codice penale, tra pubblica funzione e pubblico servizio, ad oggi forse risulta da rivedere in quanto non più rispondente alla mutata realtà politica, sociale e normativa34.

Venendo meno, quindi, la rilevanza dei concetti in precedenza indicati, quali la pubblicità delle norme regolatrici e l’autorità degli atti posti in essere dal soggetto di riferimento, la differenza tra pubblica funzione di cui all’art. 357 codice penale e quella di pubblico servizio ex art. 358 codice penale sfuma, quindi, in un solo concetto che non è altri che quello dell’attività pubblica. In altre parole, quindi, è necessario sempre analizzare la funzione effettivamente svolta dal soggetto, nonché la natura dell’interesse soddisfatto.

Ci si chiede, quindi, quale sia il concetto attraverso il quale la figura della pubblica attività possa avere una evidenza certa. In merito, non può che farsi riferimento all’elemento già individuato dalla dottrina formatasi nelle vigenza del codice Rocco: quello del pubblico servizio.

Nel corso degli anni la dottrina ha fornito interpretazioni contrapposte dei pubblici servizi35.

Nell’ordinamento italiano ci sono, peraltro, numerosissime disposizioni in cui è citata la locuzione “servizio pubblico” o “servizi pubblici”.

In particolare, una nozione viene fornita dalle norme di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 8036 e nella trasposizione che di esso ha effettuato il legislatore parlamentare con la legge 21 luglio 2000 n. 205.37

Nelle disposizioni in argomento si ritrovano i concetti, già in precedenza indicati, e venuti ad evidenza in dottrina e in giurisprudenza successivamente all’entrata in vigore della legge n. 86 del 1990.

In particolare, le norme definiscono un servizio pubblico – non in quanto gestito da una pubblica amministrazione o da un concessionario di questa, ma innanzitutto – per le sue finalità di interesse pubblico38.

La nozione di servizio pubblico va allora oggi completamente sganciata dal suo tradizionale riferimento soggettivo alla pubblica amministrazione o ad un concessionario di questa, e va concepita in termini di funzionalizzazione al perseguimento di pubblici interessi.

In merito, l’analisi, necessaria al fine di individuare se un interesse sia da considerarsi di carattere generale, secondo parte della dottrina39, è da compiersi di volta in volta ed ex post, sulla base di un confronto tra gli atti emessi ed i comportamenti tenuti da un lato e le norme attributrici della capacità di agire nell’interesse generale dall’altro.

La giurisprudenza comunitaria ha individuato taluni elementi al verificarsi dei quali vi sarebbe la presenza di un pubblico interesse: in particolare, è stato considerato pubblico, e, quindi, generale, l’interesse nel caso in cui vi sia l’esistenza, in capo all’autorità pubblica soggettivamente intesa, di poteri di controllo, indirizzo o vigilanza sull’ente attributario della funzione o la possibilità di influire sulla nomina dei suoi amministratori e in generale sulle decisioni40.

Oltre all’interesse generale, il dato normativo (dopo la riforma del 1990), se letto alla luce delle disposizioni di cui all’art 97 della Costituzione, fornisce un ulteriore elemento distintivo della pubblica funzione: l’imparzialità.

Da una disamina delle fattispecie di reato presenti nel capo dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione appare evidente come si sia voluto, soprattutto a seguito della riforma, garantire che l’attività amministrativa si svolga in conformità con i fondamentali principi di imparzialità e buon andamento41.

Ed infatti, con la previsione delle fattispecie di reato di cui al capo III del codice penale, si è inteso evitare che l’operatore pubblico fosse in qualche modo condizionato da fattori esterni tali da compromettere l’obiettività che deve sempre caratterizzarne l’azione. In altre parole, “l’imparzialità cui il legislatore penale ha avuto riguardo e che con la formulazione di determinate tipologie delittuose ha inteso tutelare, non può esaurirsi nel mero obbligo di ponderare in modo comparato gli interessi pubblici o privato coinvolti nella vicenda amministrativa

… ma, pur comprendendo tale contenuto minimo, assume una valenza più pregnante, implicando il divieto di porre in essere ogni condotta costituente forma e sostanza di favoritismo o discriminazione”42.

Si deve, quindi, ritenere che una determinata attività possa essere ricondotta alle nozioni di cui agli artt. 357 e 358 c.p. solo se sottoposta ad una disciplina che ne imponga l’espletamento in ossequio al principio di imparzialità, inteso come divieto di porre in essere favoritismi o discriminazioni e come obbligo di fornire prestazioni rilevanti a chiunque ne abbia titolo e alle stesse condizioni43.

Di conseguenza, il dovere di imparzialità – inteso quale dovere di evitare discriminazioni    e    favoritismi    –    comporta,    quando    trattasi    di    servizi    resi nell’interesse della generalità dei consociati, il dovere di ammettere al servizio stesso e alle prestazioni alle quali è preordinato tutti coloro che né abbiano titolo44.

Ed ancora, l’imparzialità, consiste nel duplice dovere di garantire la prestazione a chiunque ne faccia richiesta e di renderla dietro versamento di un corrispettivo uniforme. Essa, in tal senso, appare quale ulteriore paradigma che caratterizza il pubblico servizio insieme a quel pubblico interesse che del primo costituisce presupposto (ed infatti non avrebbe senso un dovere di imparzialità se il servizio non fosse da rendere nell’interesse della generalità dei consociati)45.

Nella moderna accezione di pubblico servizio, per come esso è desumibile dall’evoluzione normativa e amministrativa, vanno allora ricomprese anche tutte quelle attività che originariamente rientravano nella nozione di pubblica funzione e che oggi vedono nuovi e più moderni modi di esplicazione, con la conseguenza che le nozioni di “funzione pubblica” e di “pubblico servizio” vengono a fondersi in un unico concetto di “attività pubblica” ricollegato a quelli di:

  • interesse pubblico per il cui perseguimento essa viene esercitata e che ne ha giustificato la costituzione;
  • imparzialità a cui la stessa funzione, per essere considerata pubblica deve essere orientata.

Una simile conclusione sembra in linea, quindi, con la concezione elaborata dalla scienza giuspubblicistica, per la quale i rapporti giuridici sono sottoposti a diritto pubblico quando ritenuti essenziali al raggiungimento dei fini statali.

Con la conseguenza che l’ordinamento giuridico, comprimendo la libertà e l’autonomia dei soggetti preposti all’espletamento dell’attività, “determini non solo le forme dell’attività da svolgere, ma altresì il contenuto che questa deve assumere o, per lo meno, le finalità cui deve essere avviata46.

Ulteriore corollario è la tutela rafforzata attraverso le norme del diritto penale di tali finalità e contenuti fondamentali che assurgono quindi a beni protetti dalle norme incriminatrici delle condotte offensive.

 

8 ottobre 2015

a cura di Valeria Montesarchio, Massimiliano Giua e Daniele Corradini

 

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NOTE

1 – Il termine “giudiziaria” è stato reintrodotto dalla legge n. 181 del 7.2.1992, dopo che il legislatore, nella riforma del 1990, aveva utilizzato l’aggettivo “funzioni giurisdizionali” in un’ottica di delimitazione. In particolare la legge n. 181 del 1992 ha introdotto all’art. 4 le seguenti modifiche all’art. 357 codice penale : “All’art. 357 del codice penale, come sostituito dall’art. 17 della legge 26 aprile 1990 , n° 86 , sono apportate le seguenti modificazioni: a) al primo comma, la parola giurisdizionale è sostituita dalla seguente: giudiziaria; b) il secondo comma è sostituito dal seguente: Agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi. Secondo L. MAZZA, Delitti contro la pubblica amministrazione: prospettive di ulteriore riforma, in Trim. di Dir. Pen. Ec., 1992, 703, sono state apportate due rilevanti modifiche. In ordine alla prima va osservato che essa è volta a ricomprendere il pubblico ministero nella categoria dei pubblici ufficiali. Per quanto concerne la seconda modifica, è opportuno precisare che nella vecchia dizione la funzione amministrativa si caratterizzava, sia per la disciplina della stessa in base a norme di diritto pubblico o ad atti autoritativi, sia per la presenza di tre requisiti cumulativi: a) formazione e manifestazione della volontà della pubblica amministrazione; b) svolgimento di dette funzioni mediante poteri autoritativi; c) e mediante poteri certificativi. Secondo P. SEVERINO DI BENEDETTO, L. 26 / 4 / 1990 n° 86 (G. U. 27/4/1990 n° 97) – Modifiche in tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, in Legislazione Penale, 1990, p. 338, “Mediante la sostituzione della disgiuntiva o alla congiuntiva e nell’elencazione dei poteri (certificativo, autoritativo ,espressivo della volontà della pubblica amministrazione) caratterizzanti la pubblica funzione amministrativa, e che consentono di delimitarla rispetto al pubblico servizio, si è chiarito che il riconoscimento della qualifica di pubblico ufficiale consegue alla presenza anche di uno soltanto dei tre poteri indicati dalla norma. Essa ha inoltre escluso i paventati effetti limitativi derivanti dall’uso della congiuntiva, ravvisati soprattutto da chi osservava che, da un lato, rimanevano fuori dalla qualifica categorie di soggetti, tra cui ad esempio i notai, dotati del solo potere certificativo, ma emblematicamente e per espresso dettato della legge notarile considerati pubblici ufficiali, mentre, da un altro lato, risultava estremamente difficile, se non impossibile, ravvisare funzioni esprimentisi nel contemporaneo esercizio di poteri certificativi , autoritativi ed espressivi della volontà della pubblica amministrazione.”

2 – Secondo M. O. DI GIUSEPPE, Qualifiche soggettive nell’ambito dei reati contro la pubblica amministrazione, cit., “in tema legislativo, occorre osservare che agli effetti dell’art. 357 c.p. qualche dubbio è stato sollevato circa lo status di parlamentare e la possibilità di estendergli lo statuto penale della pubblica Parte della dottrina, infatti, alla luce delle prerogative costituzionali, che all’art. 68 Cost. riconoscono i parlamentari quali soggetti non responsabili per i voti dati e le opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni, e poiché essi non sono direttamente assoggettati ai principi di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione, ha rilevato come i parlamentari non andrebbero qualificati come pubblici ufficiali (l’autore, sul tema, cita Tagliarini, F., Il concetto di pubblica amministrazione nel codice penale, Milano, 1973, 190). Tale tesi sembrerebbe secondo alcuni attribuire ai parlamentari un ingiusto privilegio che si risolverebbe in una disparità di trattamento in violazione dell’art. 3 Cost., conseguentemente appare più corretto, agli effetti dell’art. 357 c.p., attribuire la qualifica di pubblici ufficiali agli stessi” (in tal senso vengono citati P. SEVERINO DI BENEDETTO, I delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, Le qualifiche soggettive, cit. 87).

Quest’ultima lettura, secondo il DI GIUSEPPE, sembra correttamente rispondere a quella del “commentatore ufficiale” del Codice Rocco, il quale sosteneva che la «qualità di p.u. dei senatori e deputati è riconosciuta a tutti gli effetti penali, e non solo per l’applicazione delle disposizioni stabilite a loro favore, come invece era per il codice del 1889» (In tal senso per gli opportuni approfondimenti vi è il richiamo a V. MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, cit., 30). Conseguentemente, assolvono funzione legislativa i parlamentari nazionali, deputati e senatori, i componenti del Governo con riferimento esclusivo all’emanazione di atti aventi forza di legge, i consiglieri regionali, e quelli delle province autonome di Trento e Bolzano. Attualmente a tale elenco, in virtù dell’art. 322 bis codice penale, introdotto dalla legge 29.9.2000, n. 300, devono aggiungersi gli organi aventi potestà legislativa nell’ambito delle Comunità Europee, quali i membri della Commissione e del Parlamento.

3 – I soggetti dei delitti contro la pubblica amministrazione, cit. In merito, anche se non citate dall’elaborato in argomento, si può fare riferimento, a titolo esemplificativo alle seguenti pronunce della Suprema Corte di Cassazione tutte emesse prima della legge n. 86 del 1990: Cass., Sez. VI, 21 marzo 1975; Cass., Sez. VI, 24 gennaio 1975; Cass., Sez. VI, 13 maggio 1975; Cass., Sez. III, 15 maggio 1964; Cass., Sez. V, 16 febbraio 1979; Cass., Sez. VI, 30 gennaio 1974.

4 – O. DI GIUSEPPE, qualifiche soggettive nell’ambito dei reati contro la pubblica amministrazione, cit.

5 – Sul tema si veda la sentenza delle sezioni unite penali della corte di cassazione, in data 27 giugno 2013, n. 43384, secondo la quale l’attività svolta dal consulente tecnico del Pubblico ministero (…) assume caratteristiche particolari e non si presta ad essere definita come attività di parte, trattandosi di pubblico ufficiale che, una volta nominato, assume un ufficio che non può rifiutare ed esercita una funzione pubblica, collaborando non a tutelare gli interessi di una parte processuale ma ad accertare la verità. Inoltre l’inapplicabilità dell’art. 115 cod. pen. discende dalla clausola di riserva con cui si apre proprio questa disposizione («salvo che la legge disponga altrimenti»): l’istigazione, mediante offerta o promessa di denaro o di utilità ad un pubblico ufficiale è, infatti, punibile ai sensi dell’art. 322 cod. pen. e dell’art. 377 cod. pen.“. Si vedano anche Cass., pen., sez. VI, 12.3.1998, n. 4825; Cass., pen., 24.9.1998, n. 10619; Cass., pen., sez. VI, 7.1.1999, n. 4062.

6 – In tal senso O. DI GIUSEPPE, qualifiche soggettive nell’ambito dei reati contro la pubblica amministrazione, cit.

7 In particolare, il riferimento che fa l’art. 357 del codice penale alle norme di diritto pubblico anziché alle norme di diritto amministrativo non appare del tutto puntuale. Diritto pubblico e diritto amministrativo stanno in rapporto di genere a specie. In merito alla distinzione tra le due branche del diritto, tra gli altri si si vedano D. SANTELIA, Compendio di diritto amministrativo, Jovene, 1989, G. ROSSI, Principi di diritto amministrativo, Giappichelli, 2010, G.P. IARICCI, Istituzioni di diritto pubblico, Maggioli, 2014. Il diritto pubblico è, infatti, quella branca del diritto che si occupa dello studio delle norme che disciplinano e regolamentano l’organizzazione ed il funzionamento dello Stato, oltre ai rapporti fra il cittadino e gli enti cui sia riconosciuto il particolare status appunto “di diritto pubblico”. Esso concerne, quindi, l’organizzazione globale dello Stato dal diritto costituzionale, al diritto processuale, al diritto penale, al diritto amministrativo e regola l’esercizio diretto delle attività dello Stato mediante i suoi organi o mediante enti formalmente distinti dallo Stato ma sui quali esso ha il controllo. Secondo alcune definizioni dottrinali, il diritto pubblico sarebbe la disciplina deputata allo studio di tutta la normativa di diretto interesse collettivo, ovvero quella nella quale si riguardino soggetti traenti la loro rilevanza giuridica a causa della titolarità di funzioni o attribuzioni o comunque incarichi di interesse collettivo, o comunque posti a salvaguardia dell’interesse pubblico. Invece, il diritto amministrativo concerne l’organizzazione del particolare potere dello stato che chiamiamo «pubblica amministrazione». Esso è, infatti, un ramo del diritto pubblico le cui norme regolano l’organizzazione della pubblica amministrazione e le attività di perseguimento degli interessi pubblici della pubblica amministrazione e i rapporti tra questa e i cittadini. La sua genesi è da collegare al principio di divisione tra i poteri dello Stato, ovvero al principio di tripartizione dei poteri elaborato da Montesquieu. Il potere amministrativo, originariamente definito «esecutivo», consiste nell’organizzazione di mezzi e di persone cui è devoluta la funzione di raggiungere gli obiettivi di interesse pubblico definiti dall’ordinamento. Il diritto amministrativo disciplina, quindi, l’attività della pubblica amministrazione, cioè dell’insieme di organi e di uffici che si occupano della realizzazione pratica delle decisioni prese a livello politico del Parlamento e dal Governo.

8 – Così PUGLIATTI, Diritto pubblico e privato, in Enc. dir., XII, Milano, 1959, 696 ss..

9 – Su tutti R. GAROFOLI, La privatizzazione degli enti dell’economia, Profili Giuridici, 1998; G. GUARINO, Pubblico ufficiale ed incaricato di pubblico servizio, in it. dir. proc. pen., 1967, 11. A.M. CASTELLANA, Profili di soggettività penale degli interventi pubblici nell’economia, Cedam, 1989, 363; S. PUGLIATTI, voce Diritto Pubblico e privato, ibidem, p. 696; P. SEVERINO DI BENEDETTO, Pubblico ufficiale e incaricato di un pubblico servizio, in Dig. pen., X, 1995, 515.

10 – MONTELLA, Verso il superamento della distinzione tra “pubblica funzione” e “pubblico servizio” e conseguenze in tema di giurisdizione della corte dei conti”, cit. L’autore sul tema, per i dovuti approfondimenti rimanda a G. FIANDACA, E. MUSCO, Diritto penale, parte speciale, cit..

11 – MONTELLA, ibidem.

12 – Di contro P. SEVERINO DI BENEDETTO, Prospettive di riforma degli artt. 357 e 358 c.p., in it. dir. proc. pen., 1989, 1173.

13 – Sentenza del Consiglio di Stato II, 18.10.1995, n. 1005.

14 – Sul coerentismo olistico si veda VASSALLO, Teoria della conoscenza, Laterza, 2003, 50 ss..

15 – O. Di giuseppe, qualifiche soggettive nell’ambito dei reati contro la pubblica amministrazione, cit..

16 – PICOTTI., Le nuove definizioni penali di pubblico ufficiale e di incaricato di pubblico servizio nei delitti contro la pubblica amministrazione, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1992, 276.

17 – GAROFOLI, Manuale di diritto penale – parte speciale, tomo I, Nel Diritto, cit, 150. In giurisprudenza si vedano le sentenze della Corte di Cassazione Sez. VI penale, n. 22707, in data 30 maggio 2014, e n. 43820, in data 21 ottobre 2014.

18 – Il Consiglio di Stato con sentenza in adunanza plenaria 4 del 22 marzo 1999, ha avuto modo di precisare che ”le leggi più recenti hanno introdotto normative sostanziali la cui applicabilità prescinde dalla distinzione tra soggetti pubblici e privati e dalla natura dei loro atti (…). Le esigenze del buon andamento e dell’imparzialità dell’amministrazione (come disciplinate dall’art. 97 della Costituzione) riguardano allo stesso modo l’attività volta all’emanazione dei provvedimenti e quella con cui sorgono o sono gestiti i rapporti giuridici disciplinati dal diritto privato”. Ciò perché “ogni attività dell’amministrazione, anche quando le leggi amministrative consentono l’utilizzazione di istituti del diritto privato, è vincolata all’interesse collettivo e deve tendere alla sua cura concreta mediante atti e comportamenti comunque finalizzati al perseguimento dell’interesse generale.” Di conseguenza “l’attività amministrativa è configurabile non solo quando l’amministrazione eserciti pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando essa (nei limiti consentiti dall’ordinamento) persegua le proprie finalità istituzionali mediante un’attività sottoposta, in tutto o in parte, alla disciplina prevista per i rapporti tra i soggetti privati”.

19 –  In merito, vi è da rilevare che, come evidenziato da M. O. DI GIUSEPPE, Qualifiche soggettive nell’ambito dei reati contro la pubblica amministrazione, cit, “il concetto di formazione e manifestazione della volontà ha suscitato da sempre più problemi, poiché è l’unico dei tre che per potere essere compreso necessita, da un lato, del costante collegamento con il limite “esterno” e, dall’altro, di un richiamo ai contenuti dell’art. 358 c.p. della p.a» vada intesa come un potere unico, richiedendo che sussistano cumulativamente sia la formazione che la manifestazione della volontà della p.a. o possa integrarsi tale potere di formazione della
p.a. disgiuntamente da quello della sua manifestazione e viceversa. In ottica garantista la soluzione più corretta auspicherebbe la sussistenza di entrambe, ma occorre precisare che si tratterebbe di una scelta portatrice di notevoli conseguenze sul piano applicativo, poiché la norma non troverebbe applicazione nei casi di atti a formazione frazionata.”. Di contro, per la tesi restrittiva, si ricorda L. PICOTTI, Le nuove definizioni penali di pubblico ufficiale e di incaricato di pubblico servizio nei delitti contro la pubblica amministrazione, cit..

20 – I soggetti dei delitti contro la pubblica amministrazione, contributo estrapolato dal sito del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino, cit.. Come si evince non vi sono più riferimenti a vincoli di dipendenza del soggetto dalla p.a. in osservanza del pieno accoglimento della concezione oggettiva funzionale.

21 – Si ritenevano incaricati di pubblico servizio ex art. 358 codice penale: “gli impiegati dello Stato o di un altro ente pubblico, i quali prestano, permanentemente o temporaneamente, un pubblico servizio; ogni altra persona che presta, permanentemente o temporaneamente, gratuitamente o con retribuzione, volontariamente o per obbligo, un pubblico servizio”. Si arrivò, come in precedenza indicato, ad ipotizzare la riconducibilità delle norme relative ai reati contro la P.A. anche nei confronti del dipendente di agenzia concessionaria della vendita dei biglietti ferroviari, nonché al testimone.

22 – Secondo M. O. DI GIUSEPPE, Qualifiche soggettive nell’ambito dei reati contro la pubblica amministrazione, cit, “parte della dottrina definiva come pubblico servizio un’attività propria dello Stato o di un altro ente pubblico, svolta da pubblici impiegati o da privati in forza di una manifestazione di volontà della p.a., disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, come limite superiore, e avente come limite inferiore il servizio di pubblica necessità. L’autore, per i dovuti approfondimenti rimanda a quanto rilevato da A. MALINVERNI, Pubblico ufficiale e incaricato di pubblico servizio nel diritto penale , Utet, 1951, 85 ss. Contra A. PAGLIARO, Principi di diritto penale. Parte generale, Giuffrè, 2003, secondo il quale “è da escludere che si possa richiedere l’obbligo di agire per il perseguimento dei fini dell’ente, in quanto appare sufficiente che il soggetto fisico ne abbia la facoltà. Inoltre conta non tanto un rapporto di servizio qualsiasi nei confronti dell’ente pubblico, ma si richiede un qualsiasi esercizio di un pubblico servizio; in altri termini l’aspetto pubblicistico è spostato dalla natura dell’ente alla natura del servizio che obiettivamente abbia una funzione pubblicistica”.

23 – Come in precedenza indicato, nella vigenza della formulazione ante legge n. 86 del 1990 come, peraltro, evidenziato ne I soggetti dei delitti contro la pubblica amministrazione contributo estrapolato dal sito del Dipartimento di Giurisprudenza dell’università di Torino, cit., la giurisprudenza arrivò ad ipotizzare la riconducibilità delle norme relative ai reati contro la P.A. anche nei confronti dei consiglieri comunali riuniti in adunanza (Cass., Sez. VI, 21 marzo 1975), al controllore di pubblici servizi di trasporto (Cass., Sez. VI, 24 gennaio 1975) al cappellano del carcere (Cass., Sez. VI, 13 maggio 1975), al portalettere (Cass., Sez. III, 15 maggio 1964), al dipendente di agenzia concessionaria della vendita dei biglietti ferroviari (Cass., Sez. V, 16 febbraio 1979), al testimone (Cass., Sez. VI, 30 gennaio 1974).

24 – O. DI GIUSEPPE, qualifiche soggettive nell’ambito dei reati contro la pubblica amministrazione, cit. L’autore, per i dovuti approfondimenti rimanda a quanto rilevato da V. PLANTAMURA, Le qualifiche soggettive pubblicistiche, cit., 911.

25 – In tale caso si avrà la figura contenuta in talune norme incriminatrici (tra le quali l’art. 320 Codice penale) dell’incaricato di un pubblico impiego.

26 – Si riporta, in merito, stralcio della pronuncia della Corte di Cassazione, sez. VI penale, 1 luglio 2013, n. 28424 “in base alla formulazione dell’art. 358 cp., è incaricato di pubblico servizio chi in concreto lo esercita, indipendentemente anche da qualsiasi rapporto di impiego con un determinato ente pubblico. Il legislatore ha privilegiato il criterio funzionale, che trova riscontro sia nel confronto tra il vecchio e nuovo testo dell’art. 358 cp., dal quale ultimo è stato espunto ogni riferimento al rapporto di impiego con lo Stato o altro ente pubblico, contenuto invece nella norma previgente, sia nella presenza della locuzione “a qualunque titolo” contenuta nella disposizione vigente. Il servizio pubblico ha natura funzionale ed oggettiva, nel senso che è tale quello che realizzi direttamente finalità pubbliche. Nell’ambito delle attività pubblicistiche, la qualifica di incaricato di pubblico servizio spetta soltanto a coloro che svolgono compiti di rango intermedio tra le pubbliche funzioni e le mansioni di ordine o materiali: tali compiti si identificano in attività in senso lato intellettive, rimanendo escluse quelle meramente esecutive, per le quali il contributo che da esse ricava la realizzazione delle finalità pubblicistiche può essere indifferentemente fornito con altri rimedi strumentali, sostitutivi della prestazione personale. Anche l’esercizio di fatto di un pubblico servizio, quando v’è acquiescenza o tolleranza o consenso tacito dell’amministrazione, vale ad attribuire la relativa qualifica al soggetto agente. Il servizio pubblico di riscossione delle tasse automobilistiche rimane disciplinato da una normativa pubblicistica e persegue finalità pubbliche anche se attuato per il tramite di strumenti La dedotta natura privatistica del rapporto dell’incaricato alla riscossione con l’Ente pubblico non incide sul carattere pubblicistico dell’attività posta in essere nell’espletamento del servizio. La ricezione di somme a titolo di tassa automobilistica ha dunque determinato in capo al D.C. il possesso di denaro in ragione del servizio, e il suo omesso versamento all’ACI – indipendentemente dai passaggi formali cui detto denaro è stato sottoposto – ha certamente integrato, di conseguenza, un peculato (cfr., per un caso di gestione di fatto di una delegazione ACI, Sez. 6, n. 31425 del 09/07/2007, Crupi, Rv. 237209)”.

27 – MONTELLA, Verso il superamento della distinzione tra “pubblica funzione” e “pubblico servizio” e conseguenze in tema di giurisdizione della corte dei conti, cit., nonché G. M. RACCA, i servizi pubblici nell’ordinamento comunitario, in Dir. Amm. 1994, p. 201 ss, S. CASSESE, la nuova costituzione economica, Laterza, 1995.

28 – Tali elementi sono stati rilevati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 35 del 5 febbraio 1992. In particolare, nel caso di specie, la Corte Costituzionale ha avuto modo di rilevare che “le società a partecipazione pubblica, come è noto, sono strumenti operativi dell’amministrazione pubblica, ormai diffusamente utilizzati da molte regioni, le quali, sul modello dell’organizzazione amministrativa dello Stato, si servono di istituzioni del diritto privato, quali, appunto, le società per azioni, al fine di realizzare, in via indiretta, finalità pubbliche connesse all’esercizio delle proprie competenze. Lo sviluppo di questo tipo di amministrazione indiretta si collega a una generale evoluzione dello Stato nell’epoca contemporanea, in base alla quale quest’ultimo tende a utilizzare crescentemente, soprattutto nel campo dei servizi pubblici e del rapporto d’impiego pubblico, moduli di azione e di organizzazione propri del diritto privato. Come sembra avvertire lo stesso Commissario dello Stato ricorrente – il quale contesta, non già l’uso del diritto privato, ma la conformità di quest’uso ai principi del codice civile -, l’evoluzione del diritto positivo nel senso ora accennato esige una precisazione della portata del limite alla potestà legislativa regionale costituito dalla “disciplina dei rapporti privati”. In altri termini, l’utilizzazione a scopi di amministrazione pubblica indiretta di istituzioni proprie del diritto privato impone di precisare ed, eventualmente, distinguere ciò che pertiene all’area dei rapporti generali del diritto privato e ciò che concerne l’area dell’organizzazione pubblica regionale. Come questa Corte ha da tempo affermato (v. spec. nn.72 del 1965, 154 del 1972, 151 del 1974, 38 del 1977 e 691 del 1988), il limite del “diritto privato” si basa sull’esigenza che sia assicurata su tutto il territorio nazionale una uniformità di disciplina e di trattamento riguardo ai rapporti intercorrenti tra i soggetti privati, trattandosi di rapporti legati allo svolgimento delle libertà giuridicamente garantite ai predetti soggetti e al correlativo requisito costituzionale del godimento di tali libertà in condizioni di formale eguaglianza (artt. 2 e 3 della Costituzione). In ragione di tale base giustificativa, non v’è dubbio che, per quel che concerne i rapporti intersoggettivi attinenti alle società, le competenze legislative regionali non possono svolgersi in altro modo che nel senso di applicare ad essi le norme del codice più in generale, le norme che lo Stato detta per la disciplina dei relativi rapporti, salvi ovviamente i campi nei quali le stesse norme rinviano agli usi e alle consuetudini locali. Deroghe alla legislazione di diritto privato – sempreché queste non comportino una violazione, ancorché indiretta, dei principi civilistici e non risultino manifestamente irragionevoli – sono, invece, ammesse nell’area dei rapporti intercorrenti tra la società privata e l’amministrazione regionale, nella misura in cui prevale la connotazione relativa alla strumentalità della società stessa alle finalità pubbliche che la regione persegue nei campi rientranti nelle competenze ad essa costituzionalmente attribuite”.

29 – MONTELLA, Verso il superamento della distinzione tra “pubblica funzione” e “pubblico servizio” e conseguenze in tema di giurisdizione della corte dei conti, cit..

30 – In tal senso la sentenza della Corte Costituzionale n. 466 del 1993 secondo la quale “la semplice trasformazione degli enti pubblici economici di cui all’art. 15 della legge n. 359 del 1992 non può essere, infatti, ritenuto motivo sufficiente a determinare l’estinzione del controllo di cui all’art. 12 della legge n.259 del 1958, fino a quando permanga inalterato nella sostanza l’apporto finanziario dello Stato alla struttura economica dei nuovi soggetti, cioé fino a quando lo Stato conservi nella propria disponibilità la gestione economica delle nuove società mediante una partecipazione esclusiva o prevalente al capitale azionario delle stesse. In proposito va, infatti, rilevato che il processo di “privatizzazione”, iniziato con il decreto- legge n. 386 del 1991 (convertito nella legge n. 35 del 1992) e sviluppato mediante l’art. 15 del decreto-legge n.333 (convertito nella legge n. 359 del 1992), ha assunto come propri obbiettivi fondamentali sia il riordino e la valorizzazione del complesso delle partecipazioni pubbliche sia la “dismissione” graduale da parte dello Stato, per esigenze di risanamento della finanza pubblica, del patrimonio azionario risultante dalle trasformazioni e conferito al Ministero del tesoro (v. art. 16 legge n. 359 del 1992).

Le ragioni che stanno alla base del controllo spettante alla Corte dei conti sugli enti pubblici economici sottoposti a trasformazione non possono, pertanto, considerarsi superate in conseguenza del solo mutamento della veste giuridica degli stessi enti, ove a tale mutamento formale non faccia seguito anche una modifica di carattere sostanziale nell’imputazione del patrimonio (ora trasformato in capitale azionario) tale da sottrarre la gestione finanziaria degli enti trasformati alla disponibilità dello Stato.

E questo tanto più ove si consideri che il passaggio di tale patrimonio dalla sfera pubblica alla sfera privata avviene, in base al processo di “privatizzazione” in atto, nel rispetto di condizioni particolari che sono state poste con norme speciali di diritto pubblico. Il controllo in questione verrà, invece, a perdere la propria ragione d’essere, legata alla sua specifica funzione, nel momento in cui il processo di “privatizzazione”, attraverso l’effettiva “dismissione” delle quote azionarie in mano pubblica, avrà assunto connotati sostanziali, tali da de terminare l’uscita delle società derivate dalla sfera della finanza pubblica.” Vi è in merito da rilevare che è stato lo stesso Consiglio di Stato (Sentenza della VI Sez del Consiglio di Stao, in data 20.5.1995, n. 498) a ritenere valida la propria giurisdizione nei riguardi delle FF.SS. S.p.A.

31 – Sul tema si sono espressi, peraltro, sia la Corte di Cassazione che il Consiglio di Stato. In particolare, la Suprema Corte con sentenze nn.rr. 71 e 72 del 2000 ha rilevato che “il servizio si qualifica come pubblico perché l’attività in cui esso consiste si indirizza istituzionalmente al pubblico, mirando a soddisfare direttamente esigenze della collettività in coerenza con i compiti dell’amministrazione pubblica che possono essere realizzati direttamente o indirettamente attraverso l’attività dei privati. Il servizio pubblico è cioè caratterizzato da un elemento funzionale, il soddisfacimento diretto di bisogni di interesse generale, che non si rinviene nell’attività privata imprenditoriale anche se indirizzata e coordinata a fini sociali”. Il Consiglio di Stato, inoltre, ha avuto modo di affermare (ordinanza dell’Adunanza Plenaria n. 1 del 30 marzo 2000) come il legislatore abbia richiamato “la nozione di servizio pubblico nel suo significato giuridico potenzialmente più vasto, quale attività, di qualsiasi natura, connessa alla cura di interessi collettivi, sia essa svolta da soggetti pubblici o privati.”

32 – A titolo esemplificativo, sul tema, si rimanda a quanto rilevato da M. DI GIUSEPPE, Qualifiche soggettive nell’ambito dei reati contro la pubblica amministrazione, cit., “Prima della riforma del ’90 si riteneva fosse sufficiente una concessione amministrativa, c.d. traslativa, con la quale si trasferiva un diritto soggettivo o comunque un potere della p.a., per qualificare il soggetto agente come i.p.s. Oggi, invero, proprio volgendo lo sguardo al pubblico concessionario, bisogna domandarsi se in riferimento alla nozione di cui all’art. 358 c.p. debba accogliersi una concezione olistica o lata. Il DI GIUSEPPE, per i dovuti approfondimenti, rimanda a quanto evidenziato A. CRESPI, Il nuovo testo dell’art. 358 c.p. e un preteso caso di corruzione punibile, in Riv. it. dir. proc. pen., 1992, 1239 ss, e spec., 1252 ss, P. SEVERINO DI BENEDETTO, Pubblico ufficiale e incaricato di pubblico servizio”, cit., 521, A. FIORELLA, Ufficiale pubblico, incaricato di pubblico servizio o di un servizio di pubblica necessità, cit., 556 ss..

33 – Per una approfondita analisi criminologica e sociale degli illeciti di carattere economico in Italia nel secondo dopo guerra si veda F. PINOTTI, L. TESCAROLI, Colletti sporchi, BUR, 2008.

34 – Tendenza che, peraltro è stata ripresa dallo stesso legislatore ad esempio nel contenuto del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (decreto legislativo n. 267 del 2000), ovvero, nella Legge n. 142 del 1990.

35 – Un servizio pubblico è una tipologia di servizio reso alla collettività, oggettivamente non economica, ma suscettibile di essere organizzata in forma d’impresa, secondo la disciplina dei vari ordinamenti giuridici, come rilevato da P. PETRONI, il servizio pubblico nell’esperienza giuridica italiana, in diritto.it, 28.12.2006. Per i dovuti approfondimenti si rimanda a A. DE VALLES, I servizi pubblici, in ORLANDO (a cura di), Primo trattato completo di diritto amministrativo italiano, vol. VI, parte I, Soc. Ed. Libraria, 1930, 377 ss., U. POTOTSCHNIG, I pubblici servizi, Cedam, 1964; F. MERUSI, (voce) Servizio pubblico, in Noviss. dig. It., 1970, vol. XVII, Utet, 215 ss., F. GIGLIONI, Osservazioni sulla evoluzione della nozione di “servizio pubblico”, in Foro amm., 1998, 2265 ss.; S. CASSESE, La nuova costituzione economica, Bari, 2000, 83 ss.; V. CERULLI IRELLI, Corso di diritto amministrativo, Giappichelli, 2000, 47 ss.; L.R. PERFETTI, Contributo ad una teoria dei pubblici servizi, Cedam, 2001; V. DE FALCO, Il servizio pubblico tra ordinamento comunitario e diritti interni, Cedam, 2003, A. PIOGGIA, Appunti per uno studio sulla nozione di pubblico servizio: i limiti e i requisiti dell’assunzione del servizio pubblico da parte dell’ente locale, in quaderni del Pluralismo, 1998, 175 ss., F. SALVIA, I servizi pubblici nella letteratura recente, in Nuove auton., 2001, 7991 ss., M. S. GIANNINI, Diritto pubblico dell’economia, Il Mulino, 1964.

36 – Rubricato “Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59.”

37 – MONTELLA, Verso il superamento della distinzione tra “pubblica funzione” e “pubblico servizio” e conseguenze in tema di giurisdizione della corte dei conti, cit.. il quale rimanda, per gli approfondimenti a F. CARINGELLA, G.DE MARZO, F. DELLA VALLE, R. GAROFOLI, La nuova giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dopo la legge 21 luglio 2000, n. 205, serie Teoria e Pratica del Diritto, Giuffrè, 2001

38 – In merito, è lo stesso decreto legislativo 80 del 1998 che all’art. 33 c. 2 nomina i “gestori di servizi pubblici”.

39 – MONTELLA, Verso il superamento della distinzione tra “pubblica funzione” e “pubblico servizio” e conseguenze in tema di giurisdizione della corte dei conti, cit..

40 – MONTELLA, ibidem. Si vedano anche A. PAPPALARDO, Commento all’art. 90 trattato istitutivo della Comunità Economica Europea, Giuffrè, 1965, G. MONTEDORO, La disciplina delle concessioni nella nuova direttiva quadro, in www.giustamm.it, E. PICOZZA, gli appalti pubblici di servizi, Maggioli, 1995.

41 – GAROFOLI, Manuale di diritto penale – parte speciale, cit., 150.

42 – F. Caringella, G. De marzo, F. Della valle, R. Garofoli; la nuova giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dopo la legge 21 luglio 2000, n. 205, cit..

43 – GAROFOLI, Manuale di diritto penale – parte speciale, cit., 150.

44 – CORRADINO, Il parametro di delimitazione esterna delle qualifiche pubblicistiche: la nozione di diritto pubblico, in Riv. It. Dir. Proc. Pen. 1992, 1238 ss..

45 – MONTELLA, Verso il superamento della distinzione tra “pubblica funzione” e “pubblico servizio” e conseguenze in tema di giurisdizione della corte dei conti, cit.. In merito, si veda anche U. ALLEGRETTI, Imparzialità amministrativa, Cedam, 1965; S. CASSESE, Imparzialità amministrativa e sindacato giurisdizionale, Giuffré, 1973.

46 – GAROFOLI, Manuale di diritto penale – parte speciale, cit., 150.

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