Stop all’INPS sui redditi di capitale percepiti da soci non lavoratori di S.r.l.

i redditi da mera partecipazione in una s.r.l. conseguiti dai soci non lavoratori non vanno assoggettati alla gestione commercianti e artigiani presso l’INPS: è questa la conclusione cui sono giunti i Giudici della Corte di Appello dell’Aquila

I redditi da (mera) partecipazione in s.r.l. da soci non lavoratori non vanno assoggettati alla gestione commercianti e artigiani presso l’INPS. E’ questa la conclusione cui sono giunti i Giudici della Corte di Appello dell’Aquila, sezione lavoro, nelle sentenze n. 725/2015 e n. 774/2015 del 25/06/2015, che aderiscono alla posizione sostenuta, da sempre, dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro e ribadita all’interno della circolare del 16 luglio n. 15/2015.

 

NORMATIVA di RIFERIMENTO

La disciplina concernente la determinazione della base imponibile dei contributi dovuti alla Gestione commercianti (per i soci di società di persone e contemporaneamente anche di capitali) è dettata dell’art. 3-bis del D.L. 384/92 convertito dalla legge 438/1992. secondo cui: “… a decorrere dall’anno 1993, l’ammontare del contributo annuo dovuto per i soggetti di cui all’articolo 1 della legge 2 agosto 1990, n. 233 [iscritti alle gestioni dei contributi e delle prestazioni previdenziali degli artigiani e degli esercenti attività commerciali, titolari, coadiuvanti e coadiutori, n.d.r.], è rapportato alla totalità dei redditi d’impresa denunciati ai fini IRPEF per l’anno al quale i contributi stessi si riferiscono…”.

 

PRASSI INTERPRETATIVA DELL’ISTITUTO

La locuzione “…totalità dei redditi di impresa denunciati ai fini IRPEF….” nel tempo, alimentato il dibattito interpretativo in quanto l’Inps ha inteso sussumere nella base imponibile anche i redditi di capitale, quelli, cioè, derivanti dalla mera partecipazione in società di capitali.

In buona sostanza, l’Inps, attraverso la circolare n. 102 del 12 giugno 2003, ha sostenuto che i contributi de quibus vanno calcolati sulla somma (totalità) dei redditi derivanti (anche) dalla partecipazione in società di capitali, a prescindere dalla verifica dell’eventuale attività lavorativa nelle predette società ad opera del percipiente1.

 

LA POSIZIONE DEI CONSULENTI DEL LAVORO E LA NORMATIVA FISCALE

La tesi proposta dall’istituto non ha convinto il Consiglio Nazionale dei Consulenti del lavoro che hanno ritenuto come la locuzione “totalità dei redditi d’impresa denunciati ai fini IRPEF” non possa che riferirsi alla sola categoria del “reddito di impresa2 così come declinato dalla normativa fiscale disciplinata dal D.P.R. 22.12.1986, n. 917 e non anche alla categoria “redditi di capitale3 distinta e separata da quella “di impresa.

La differenza fra le due tipologie reddituali è di palmare evidenza:

  • iredditi di capitale presuppongono la sola partecipazione al capitale o al patrimonio di una società, indipendentemente da qualsivoglia attività lavorativa,

  • i redditi d’impresa presuppongono che il reddito derivi dall’esercizio, per professione abituale, di una impresa; ergo: siano il frutto di una attività lavorativa.

Nella prima declinazione assurge ad elemento determinante il (solo) capitale; nella seconda (reddito di impresa) è l’esercizio abituale dell’attività a costituirne l’elemento peculiare.

A sostegno di tale posizione è citata la normativa la di cui all’art. 1 comma 203, legge n. 662/96 che ha esteso la platea dei soggetti da iscrivere alla Gestione commercianti includendovi espressamente i soci lavoratori di s.r.l. operanti nel settore commercio o che svolgano attività classificabili nel settore terziario.

In tale direzione, presupposto necessario dell’iscrizione è la partecipazione dei soci al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza4.

 

LE STATUIZIONI DELLA CORTE COSTITUZIONALE

La Consulta, in subiecta materia, è intervenuta nel corso del 2001 con due distinti provvedimenti: l’ordinanza n. 53 del 6 marzo e la sentenza n. 354 del 7 novembre.

Con il primo, ordinanza 53, la Corte ha chiarito che nell’ambito delle società di persone, nei limiti della quota di partecipazione ed agli specifici fini tributari, fra società partecipata e socio si instaura un rapporto di immedesimazione: principio trasfuso nel citato art. 5 del TUIR.

Nel secondo, invece, i Giudici delle Leggi si sono occupati proprio dell’art. 3-bis del D.L. 384/1992, convertito dalla Legge 438/92.

Con la sentenza 354, la Corte ha respinto le censure di incostituzionalità (con riguardo agli artt. 3 e 38 della Costituzione) in ordine alla disparità di trattamento fra il socio di società di persone avente natura commerciale, i cui redditi (d’impresa) sono assoggettati a prelievo contributivo (gestione commercianti), ed il socio di capitali, i cui redditi (di capitale) non sono, ex adverso, assoggettati alla predetta contribuzione.

La Corte costituzionale ha ex professo motivato il rigetto delle censure sul presupposto che “il reddito prodotto dalle società di persone sia, ai sensi dell’art. 5 del TUIR, un reddito proprio del socio, realizzandosi, sia pure ai soli fini tributari, la immedesimazione fra società partecipata e socio (ordinanza 53/2001). Inoltre, più specificamente, ha affermato che la norma de qua non può reputarsi discriminatoria atteso il preminente rilievo che, nell’ambito delle società di persone, assume l’elemento personale inteso non come semplice apporto di ciascuno al capitale sociale bensì quale legame fra più persone(ivi compreso il socio accomandante) in vista dello svolgimento di una attività produttiva finalizzata al raggiungimento dello scopo sociale”.

Anche la Corte costituzionale afferma, dunque, che è proprio l’elemento personale, sussistente ope legis nelle società di persone (ex art. 5 TUIR) a legittimare il differente assoggettamento contributivo fra redditi d’impresa e redditi di capitale.

 

LA CORTE DI APPELLO di L’AQUILA

La sentenza n. 752 del 25.06.2015 della Corte di Appello di L’Aquila, nel confermare la sentenza n. 639 del 17.06.2014 emessa dal Tribunale di Pescara, ha respinto la pretesa dell’Inps, pretesa diretta ad assoggettare a contribuzione anche i redditi (di capitale) prodotti dal ricorrente per effetto della mera partecipazione in alcune società di capitali.

I Giudici distrettuali hanno chiarito che la mera partecipazione, senza checorrispondesse la prestazione lavorativa all’interno delle società di capitali (confermando, altresì, il relativo onere probatorio in capo all’Inps), non integrasse gli estremi previsti dalla norma per l’assoggettamento alla contribuzione previdenziale (commercianti) trattandosi, nella fattispecie, di redditi di capitale e non d’impresa e non sussistendo le condizioni di cui all’art. 1 comma 203 della legge 662/96.

La corte abruzzese ha precisato che “… il rapporto previdenziale non può prescindere, per definizione, dalla sussistenza di un’attività, di lavoro dipendente o autonomo, che giustifichi la tutela corrispondente, atteso che, diversamente ragionando, ogni conferimento di capitali in società esercente attività di impresa dovrebbe comportare l’inserimento del reddito corrispondente nell’imponibile contributivo”.

In sostanza, non può esserci obbligo contributivo (cui è collegata una prestazione previdenziale) in assenza di una prestazione lavorativa.

Tale approdo appare, secondo la Fondazione Studi dei Consulenti del lavoro, perfettamente conforme alla previsione di cui all’art. 38, c. 2, della Costituzione che, come noto, è “l’atto di nascita” delle assicurazioni sociali obbligatorie. In esso, infatti, si prevede che le tutele previdenzialispettino ai lavoratori, coloro, cioè, che svolgono un’attività lavorativa e non che si limitino, sic et simpliciter, ad investire i propri capitali a scopo di utile.

 

Conclusioni

In definitiva la determinazione della base imponibile per il versamento dei contributi dovuti alla Gestione commercianti, ex art. 3-bis, deve essere effettuata mediante sommatoria di tutti i redditi di impresa (art. 55 del TUIR) percepiti (quale effetto del proprio lavoro) dal contribuente nell’anno di imposta.

E d’altra parte se per i soci di S.r.l. è proprio la qualificazione di “lavoratori” a costituire il presupposto della contribuzione alla gestione commercianti, non si comprende la ragione dell’inclusione del mero reddito di capitale per coloro che siano tenuti, per effetto di (altri) redditi di impresa, alla iscrizione.

In tale fattispecie (presenza sia di redditi di impresa che di redditi di mero capitale), la base imponibile non dovrà tener conto dei redditi di capitali (senza apporto lavorativo) ma solo dei redditi di impresa.

 

24 settembre 2015

Attilio Romano

1 In particolare, l’Istituto di previdenza (cfr.punto 2 della prefata circolare) precisa che “la quota di impresa della S.r.l. costituisce base imponibile ai fini che qui interessano sia allorché il socio sia tenuto all’iscrizione alle Gestioni degli artigiani e dei commercianti per l’attività svolta nella società a responsabilità limitata, sia allorché il titolo di iscrizione derivi dall’attività esercitata in qualità di imprenditore individuale o di socio di una società di persone, e ciò per effetto di quanto disposto dall’art. 3-bis della legge 438/1992”.

2Art. 55, c. 4, D.P.R. n. 917/86, si considerano redditi d’impresa “… quelli che derivano dall’esercizio di imprese commerciali. Per esercizio di imprese commerciali si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività indicate nell’art. 2195 c.c.”.

3 Rilevano, al comma 1 lettera e “gli utili derivanti dalla partecipazione al capitale o al patrimonio di società ed enti soggetti all’imposta sul reddito delle società”.

4Sul concetto di abitualità e prevalenza e più in generale sull’obbligo contributivo dei soci di S.r.l., si rinvia al parere n. 13 del 29.03.2012.