Studi di settore dei professionisti: il problema delle prestazioni gratuite

negli studi professionali il mese di luglio è dedicato agli studi di settore: analizziamo in questo articolo il problema delle prestazioni che il professionista ha effettuato gratuitamente e come tali prestazioni incidono sul risultato dello studio di settore

 

In vista della prossima scadenza del 6 luglio, prevista per il versamento dell’Irpef, delle addizionali e dell’Irap dei contribuenti soggetti agli studi di settore, è necessario prestare particolare attenzione alla compilazione del modello per diverse ragioni.

In primis gli eventuali errori incidono sulla determinazione dell’ammontare dei ricavi e dei compensi congrui. Inoltre i dati risultanti dal modello (relativi alle annualità precedenti) assolvono alla funzione di fornire la base ai fini dell’evoluzione triennale dello studio di settore. In buona sostanza la compilazione errata dello studio di settore potrebbe dare luogo ad una modifica “peggiorativa” dello stesso studio nel senso che il nuovo modello non sarà in grado di determinare in futuro l’ammontare dei ricavi e dei compensi congrui.

Gli studi di settore applicabili agli esercenti arti e professioni sono fondati su modelli c.d. “a prestazioni”. In pratica, nella maggior parte dei casi, i costi sostenuti nel periodo di imposta non sono in grado di incidere in maniera considerevole sul livello di congruità. L’unico effetto potrebbe verificarsi indirettamente, nel senso che la diversa struttura dei costi potrebbe determinare l’attribuzione del professionista ad un altro cluster e quindi l’applicazione di una diversa funzione di stima dei compensi congrui.

Gli elementi necessari al fine del corretto funzionamento dello studio di settore c.d. “a prestazioni” devono essere indicati nel quadro D. In particolare, nella colonna 1 dei righi da D06 in avanti deve essere indicato il numero delle prestazioni. Le istruzioni avvertono chiaramente che le prestazioni devono essere indicate esclusivamente nell’ipotesi in cui il professionista abbia incassato (in tutto o in parte) i compensi nel relativo periodo di imposta. E’ dunque irrilevante che la prestazione sia stata materialmente posta in essere nell’anno precedente a condizione, però, che nel 2014 il compenso sia stato pagato.

 

Ad esempio se un commercialista ha reso un parere nell’anno 2013 ed il compenso è stato pagato nel 2014, la prestazione deve essere indicata nello studio di settore. Viceversa se il parere è stato completato nel 2014 e l’incasso della prestazione è avvenuto a gennaio 2015, non deve essere fornita alcuna indicazione nel modello Unico 2015 (relativo al periodo di imposta 2014). La prestazione sarà indicata nel modello Unico 2016 nel relativo studio di settore. In buona sostanza è completamente irrilevante l’anno in cui è stato materialmente effettuato il servizio professionale.

La medesima soluzione vale per gli acconti. Se entro il termine del 2014 il professionista ha percepito un acconto per una prestazione professionale che sarà effettuata nel 2015, l’operazione dovrà essere indicata nella colonna 1 del quadro D.

Non sono mai in grado di incidere, neppure in parte, le prestazioni professionali rese gratuitamente nei confronti di parenti, amici, etc. In questo caso è completamente mancante il presupposto che determina l’obbligo di compilazione del quadro D, ed in particolare della colonna 1: l’incasso (totale o parziale) delle prestazione.

Conseguentemente non si deve temere che un elevato numero di prestazioni gratuite possa generare una situazione di non congruità dei compensi professionali. Tale situazione è condizionata esclusivamente dall’ammontare dei compensi relativi alle prestazioni professionali che sono state incassate nel periodo di imposta oggetto di dichiarazione.

 

Naturalmente è possibile, nonostante il contribuente dichiari un ammontare di compensi superiore al livello di congruità, che l’Agenzia delle entrate utilizzi l’elevato numero di prestazioni rese gratuitamente per accertare un maggior reddito in capo al professionista. Tuttavia, in questo caso, la gratuità rappresenta un elemento di fatto non in grado in sé di dimostrare nulla. Sarà l’Agenzia delle entrate che, anche sulla base di elementi presuntivi, dovrà fornire la dimostrazione che le prestazioni rese gratuitamente “nascondono”, in realtà, compensi percepiti in “nero”.

1 luglio 2015

Nicola Forte