I conti cointestati (a firma congiunta o disgiunta) sotto la lente del Fisco

analizziamo il caso di indagini finanziarie che vanno a colpire un conto cointestato fra due o più contribuenti: ecco le particolarità che possono nascere da tale tipologia di verifica

Il conto corrente cointestato (a firma congiunta o disgiunta1) a due o più titolari (spesso a marito e moglie, ovvero a fratelli e sorelle), permette a tutti gli intestatari di disporre del denaro depositato.

Dal punto vista normativo, l‘art. 1854 del c.c. prevede che “Nel caso in cui il conto sia intestato a più persone, con facoltà per le medesime di compiere operazioni anche separatamente, gli intestatari sono considerati creditori o debitori in solido dei saldi del conto”. Mentre, l’art. 1298 c.c. prevede che “Nei rapporti interni l’obbligazione in solido si divide tra i diversi debitori o tra i diversi creditori, salvo che sia stata contratta nell’interesse esclusivo di alcuno di essi. Le parti di ciascuno si presumono uguali, se non risulta diversamente”.

Fatta questa necessaria premessa verifichiamo l’indirizzo che ha assunto la Corte di Cassazione sui conti cointestati, in caso di indagine finanziaria.

L’ultimo intervento della Cassazione

Con la sentenza n. 9362 dell’8 maggio 2015 (ud. 30 marzo 2015) la Suprema Corte di Cassazione ha rilevato che in tema di indagini finanziarie le norme di riferimento non prevedono “alcuna limitazione all’attività di indagine volta al contrasto dell’evasione fiscale e non circoscrive l’analisi ai soli conti correnti bancari e postali o ai libretti di deposito intestati esclusivamente al soggetto sottoposto a verifica, in quanto l’accesso ai conti intestati formalmente a terzi, le verifiche finalizzate a provare per presunzioni la condotta evasiva e la riferibilità allo stesso soggetto delle somme movimentate sui conti cointestati con il coniuge del contribuente o i suoi familiari, ben possono essere giustificati da alcuni elementi sintomatici come il rapporto di stretta contiguità familiare, l’ingiustificata capacità reddituale dei prossimi congiunti nel periodo di imposta, l’infedeltà della dichiarazione e l’attività di impresa o professionale compatibile con la produzione di utili, incombendo in ogni caso sul contribuente la prova che le somme rinvenute sui conti cointestati con i suoi familiari siano in tutto o in parte ad essi riferibili (cfr. Cass. n. 26173/2011, n. 21420/2012).

Resta fermo, osserva la Corte, in ordine all’onere della prova gravante sul contribuente, che, al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente, “non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sui conti correnti, ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività, con conseguente non rilevanza fiscale” (Cass. sent. n. 21303/2013; Cass. sent. n. 18081/2010; cfr anche sent. n. 22179/2008).

Brevi note

Proprio di recente, con la sentenza n. 4585/2015 la Corte di Cassazione ha affrontato la problematica relativa ai conti correnti cointestati, in particolare se la presunzione normativa, valida sia ai fini reddituali che Iva, e la conseguente inversione dell’onere della prova, ex art. 2728 c.c., si applichi anche ai versamenti di cui non si sia raggiunta la prova dell’effettuazione da parte del contribuente sottoposto a verifica.

Per la Corte, a fronte della presunzione legale prevista, “il contribuente è onerato di fornire la prova contraria, anche attraverso presunzioni semplici, da sottoporre comunque ad attenta verifica da parte del giudice, il quale è tenuto a individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purchè grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo (Cass. 22502/2011). La presunzione di riferibilità dei movimenti bancari ad operazioni imponibili si correla, infatti, ad una valutazione del legislatore di rilevante probabilità che il contribuente si avvalga del conto corrente bancario per effettuare operazioni inerenti all’esercizio dell’attivitàprofessionale (Cass. 13035/12). Orbene tali principi devono ritenersi applicabili anche all’attività svolta dai lavoratori autonomi, ed ai versamentieffettuati dal coniuge cointestatario del conto corrente, gravando anche in tal caso sul contribuente l’onere di provare che i versamentieffettuati dal coniuge sul conto cointestato sono estranei all’attivitàprofessionale del contribuente. Ed invero, come questa Corte ha già affermato, una volta dimostrata la pertinenza del conto corrente all’attivitàprofessionale del contribuente, tutti i versamentieffettuati su detto conto corrente, ancorchè materialmente effettuati dal coniuge, si presumono inerenti alla suddetta attivitàprofessionale, salva prova contraria a carico del contribuente (Cass. 21420/2012)”.

 

La questione era stata già esaminata dalla Corte nella sentenza n.8457/2001, dove era stato affermato che i movimenti bancari, per i quali l’art.51, comma 2, nn. 2) e 7) del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 contempla il potere dell’ufficio di acquisire notizie dagli istituti di credito e di presumere il riferimento ad operazioni tassabili in assenza di prova contraria, sono quelli dei conti ‘intrattenuti’ dal contribuente, vale a dire dei conti le cui poste attive o passive siano al medesimo imputabili. Tali caratteri sussistono anche per i conti congiuntamente intestati al contribuente e ad un terzo, dato che la cointestazione non tocca, nei rapporti esterni, la posizione di ciascuno del cointestatari di creditore o debitore, rispetto a tutte le operazioni annotate. L’interpretazione trova conferma nella ratio della norma, perché la presunzione di riferibilità dei movimenti bancari ad operazioni imponibili si correla ad una valutazione del legislatore di rilevante probabilità (idquod plerumque accidit) che il contribuente si avvalga del conto di cui possa disporre per le rimesse od i prelevamenti inerenti all’esercizio della propria attività, e trova così basi logiche indipendenti dall’eventuale concorso della facoltà di un altro soggetto di utilizzare lo stesso conto (il cui esercizio nel caso concreto potrà essere addotto in via di prova contraria alla presunzione)”.

In pratica, l’obbligo del contribuente di fornire la prova liberatoria specifica vale per tutti i rapporti finanziari intrattenuti dal contribuente stesso, ancorché cointestati con terzi, soprattutto ove si tratti di congiunti, dal momento che il vincolo familiare è sicuramente un valido elemento per attribuire le operazioni rilevate dall’indagine finanziaria all’attività del contribuente sottoposto ad attività di verifica (cfr. cass. n. 20858/2007 e Cass. n. 18372/2007).

Negli stessi termini la Corte si è espressa per i conti in cui il contribuente verificato operi sulla base di una delega dell’intestatario (sentenze n. 7957 del 15 marzo 2007 e n. 23861 del 24 aprile 2007).

8 giugno 2015

Roberta De Marchi

1 I conti a firma congiunta richiedono la firma di tutti i titolari per l’effettuazione delle operazioni; viceversa, i conti a firma disgiunta consentono invece a ogni cointestatario di disporre liberamente e separatamente del conto.