Il requisito di commercialità ai fini della participation exemption

Partendo da un caso pratico, analizziamo la sussitenza dei requisiti previsti dal TUIR ai fini dell’applicazione della participation exemption, della “commercialità” della partecipazione posseduta; occorre verificare l’effettiva attività svolta dalla società.

La Commissione Tributaria Provinciale di Pisa, con la sentenza n. 17/1/15 del 8.01.2015, ha affermato alcune rilevanti considerazioni in tema di partecipation exemption.

La vicenda in contestazione riguardava l’effettiva sussistenza dei requisiti fissati dall’art. 87 del Tuir per usufruire dello specifico regime agevolato della participation exemption (c.d. pex).

La società Alfa, in data 06/02/2004, aveva infatti costituito, insieme alla società Beta e alla società Gamma, la società Delta, avente ad oggetto sociale “compravendita di beni immobili effettuata su beni propri”.

In data 10/01/2008, le società Alfa, Beta e Gamma vendevano la propria partecipazione alla società Omega, la quale acquisiva dunque il 100 % del capitale sociale della Delta.

La cessione delle quote sociali comportava il realizzo di plusvalenze milionarie, date dalla differenza tra il valore di cessione ed il valore delle partecipazioni.

Tali plusvalenze venivano trattata dai contribuenti come plusvalenze relative a partecipazioni esenti, in base all’art. 87 del Tuir, il quale dispone che

“Non concorrono alla formazione del reddito imponibile in quanto esenti nella misura del 95 per cento le plusvalenze realizzate […] relativamente ad azioni o quote di partecipazioni in società ed enti indicati […] nell’articolo 73, con i seguenti requisiti:
a) ininterrotto possesso dal primo giorno del dodicesimo mese precedente quello dell’avvenuta cessione […];
b) classificazione nella categoria delle immobilizzazioni finanziarie nel primo bilancio chiuso durante il periodo di possesso;
c) residenza fiscale della società partecipata in uno Stato o territorio di cui al decreto del Ministero dell’economia e delle finanze emanato ai sensi dell’articolo 168bis […];
d) esercizio da parte della società partecipata di un’impresa commerciale secondo la definizione di cui all’articolo 55.[…]. […] I requisiti di cui al comma 1, lettere c) e d), devono sussistere ininterrottamente, al momento del realizzo, almeno dall’inizio del terzo periodo d’imposta anteriore al realizzo stesso”.

Al fine di verificare la reale sussistenza dei presupposti richiesti dal citato articolo 87 per usufruire del regime della pex, l’Amministrazione Finanziaria riscontrava in primis la presenza dei requisiti formali previsti dalla lettera a) (periodo minimo di possesso), b) (iscrizione tra le immobilizzazioni finanziarie) e c) (residenza fiscale in Paesi non black-list), tutti effettivamente presenti.

Partecipation exemption e requisito sostanzale della commercialità

Veniva quindi verificato il presupposto sostanziale della c.d. commercialità, contemplato dalla lettera d) del comma 1 dell’art. 87.

Proprio con riguardo a tale aspetto, del resto, nel corso degli anni, vi sono stati diversi interventi interpretativi da parte dell’Agenzia delle Entrate, che si è più volte pronunciata in merito alla ratio della normativa ed al concetto di impresa commerciale, anche nell’ipotesi di impresa in fase di start up.

Per poter stabilire se, nel caso di specie, sussistesse il requisito della commercialità previsto dall’articolo 87 del Tuir per l’applicazione del regime della participation exemption, appariva allora determinante analizzare l’attività concretamente svolta dalle società partecipate nel periodo anteriore alla cessione della partecipazione.

La società Delta, che, come detto, era stata costituita in data 06/02/2004 e aveva per oggetto sociale la “compravendita di beni immobili effettuata su beni propri”, nell’aprile 2004 (le date sono importanti) acquistava un’area industriale.

L’area in questione, soggetta a riqualificazione, era interessata da un Piano di Recupero e Ristrutturazione Urbanistica, regolarmente approvato dal Comune già nel novembre 2001. Alla fine dell’esercizio 2004, l’immobile veniva dunque contabilizzato fra le rimanenze, venendo considerato come bene-merce, coerentemente con quanto stabilito dall’oggetto sociale della società.

Negli anni successivi al 2004, e fino al momento della cessione della partecipazione, Delta poneva quindi in essere una serie di attività propedeutiche, concernenti la presentazione di varianti al piano di recupero, la richiesta di parere igienico sanitario, la conformità antincendi, la stesura di un progetto delle opere di urbanizzazione previste e la richiesta di permesso a costruire.

Nel lasso di tempo intercorso tra la costituzione della società ed il realizzo della cessione della partecipazione nella stessa, non venivano conseguiti ricavi, anche perché in realtà, al momento della cessione della partecipazione, Delta non aveva ancora dato avvio all’attività caratterizzante il proprio oggetto sociale, rappresentato dalla compravendita di beni immobili.

A ben vedere, infatti, in quel periodo, non solo non era stato posto in essere nessun atto di vendita, ma neppure erano iniziati i lavori di ristrutturazione e riqualificazione del complesso immobiliare, né erano stati stipulati contratti di appalto con soggetti terzi per l’effettuazione di tali lavori.

I lavori previsti dal piano di recupero venivano invece poi avviati, circa un anno dopo l’acquisizione delle quote di Delta da parte di Omega.

Alla luce dei fatti, secondo l’Amministrazione Finanziaria si poteva dunque affermare che, alla data della cessione della partecipazione, la società si trovasse ancora nella fase di start up e non avesseancora dato avvio all’attività di compravendita per la quale era stata costituita.

Infatti, come chiarito dall’Agenzia delle Entrate nella Circolare n. 7/E del 29/03/2013,

“si considerano atti tipici di start up, a titolo esemplificativo, tutte le attività dirette a costruire, definire e rendere operativa la struttura aziendale, comprese quelle relative agli studi preparatori, all’ottenimento dei permessi, licenze ed autorizzazioni, alle ricerche di mercato, all’addestramento iniziale del personale, all’acquisizione delle risorse finanziarie e tecniche necessarie ad avviare l’attività d’impresa”.

E dunque, qualora il realizzo della partecipazione in una società avvenga in una fase preparatoria ancora in atto e non ultimata, il requisito della commercialità non risulta verificato in capo alla società stessa.

Tale linea interpretativa risulta del resto coerente con la ratio della pex, legata alla volontà del legislatore di evitare la doppia imposizione delle plusvalenze derivanti da cessioni di partecipazioni, per la parte delle plusvalenze che discendono da utili accantonati.

Trattandosi di attività svolte da società commerciali, si può ovviamente parlare di “utili accantonati” solo quando c’è stato effettivo svolgimento dell’attività commerciale prevista dallo statuto societario e non svolgimento di attività preparatorie.

E nel caso di specie, secondo l’Ufficio, non si poteva ipotizzare l’esistenza di utili accantonati, dato che l’attività non era mai stata iniziata, non essendoci mai stata alcuna cessione di nessuna parte del complesso immobiliare, che costituiva l’unico elemento patrimoniale posseduto dalla società.

E dunque, in assenza del requisito della commercialità, non sussistevano i presupposti per l’applicazione della participation exemption.

Ad avvalorare la conclusione raggiunta dall’Ufficio esistevano poi anche ulteriori circostanze.

Una prima particolarità era legata al soggetto al quale era stato ceduto il 100% del capitale di Delta.

Un’attenta analisi metteva infatti in evidenza come tale soggetto (Omega) era interessato, fin da tempo, alla porzione del complesso immobiliare già prima indicato.

La stessa richiesta di permesso a costruire effettuata da Delta, effettuata nel 2006 (due anni prima della cessione ad Omega), recava all’oggetto la “realizzazione di edificio produttivo: primo stralcio operativo, nuova sede di Omega”.

In tempi non sospetti, quando nessun legame apparente e/o formale esisteva tra Delta ed Omega, risultava dunque evidente che Omega era in realtà interessata già da tempo alla porzione dell’area.

Niente di strano del resto ci sarebbe stato se Delta, che operava nel campo della compravendita immobiliare, avesse individuato fin da tempo il proprio cliente e si fosse adoperata per realizzare un “prodotto” rispondente alle esigenze di quest’ultimo, per poi cederlo nell’esercizio della propria attività commerciale.

Il fatto è che però ad Omega non era stato ceduto un immobile, come sarebbe stato coerente con l’oggetto sociale di Delta, ma era stato ceduto l’intero capitale di quest’ultima, ancora prima di dare avvio all’attività commerciale vera e propria.

E in ogni caso, dato che già nel 2006 il coinvolgimento nell’affare da parte di Omega risultava documentato, è importante sottolineare che se la cessione delle quote di Delta fosse avvenuta nell’anno 2006, la relativa plusvalenza sarebbe stata senza dubbio imponibile al 100%, per la mancata sussistenza del requisito della commercialità (se questa ci fosse stata) dal primo giorno del terzo periodo d’imposta anteriore al suo realizzo.

Nei fatti, dunque, Omega era rimasta protagonista “occulto” della vicenda fino al momento in cui erano poi maturati i requisiti formali della pex.

L’operazione, quindi, oltre che comunque mancante di uno dei presupposti fondamentali per la spettanza del regime pex (commercialità), anche grazie a tale “postdatazione” della cessione delle quote (mirante a realizzante l’holding period triennale richiesto dall’art. 87 per l’esenzione delle plusvalenze), appariva teleologicamente (ed abusivamente) orientata a realizzare il risparmio d’imposta che la disciplina della pex comporta rispetto al regime di tassazione della cessione degli immobili.

Il fulcro della vicenda restava comunque l’assenza del requisiti della commercialità.

L’Agenzia delle Entrate, con la Risoluzione 16.12.2004 n. 152/E, ha del resto richiamato la necessità di valutare l’effettiva attività esercitata dalla società immobiliare, indipendentemente dalla configurazione dell’oggetto sociale e dalla classificazione in bilancio degli immobili posseduti.

Dalla Risoluzione si desume quindi che se la società immobiliare si qualifica formalmente come società di costruzione e/o compravendita, ma di fatto esercita un’attività di gestione del proprio patrimonio immobiliare, per esempio mediante la locazione a terzi degli immobili iscritti nell’attivo circolante, questi ultimi devono essere tenuti in conto ai fini della presunzione di “non commercialità”.

A maggior ragione pertanto la presunzione di non commercialità scatta laddove neppure tale attività di locazione (produttiva almeno di ricavi) viene posta in essere e la gestione sia meramente passiva.

Ai fini della verifica della “effettiva” attività svolta dalla società immobiliare (gestionale o di costruzione e/o compravendita) rilevano poi indicatori quali il numero e l’entità delle operazioni di compravendita effettuate.

E nel caso di specie questo conteggio era pari appunto a zero.

A tali conclusioni giungeva peraltro anche Assonime, che, nella Circolare 6.7.2005 n. 38/E (§ 1), chiariva che l’esclusione dal novero delle imprese “commerciali” delle immobiliari di gestione

“è ispirata da comprensibili esigenze di cautela: evitare che, attraverso la circolazione delle partecipazioni in esenzione, possano essere immediatamente realizzate, in regime di agevolazione, plusvalenze di beni non destinati a trovare una rapida e rotativa realizzazione nell’ambito di una ordinaria attività d’impresa”.

Per tutti tali motivi la Commissione Tributaria Provinciale di Pisa respingeva dunque il ricorso di uno dei contribuenti e stabiliva che  

“l’autosufficienza, evocata dal ricorrente, dell’atto di acquisto di un immobile nella valutazione dell’inizio dell’attività risulta inefficace dacchè in virtù dell’oggetto sociale, costituito dalla “compravendita” di beni immobili, i due momenti di acquisto e vendita devono essere assunti nella loro consequenzialità”.

E ancora,

“inoltre dall’attività preparatoria invocata dal ricorrente come fase definitiva di attività di impresa, deve invece seguire un’effettiva azione di impresa commerciale, generalmente con atti dispositivi di vendita, come epilogo della fase cosiddetta di start up; perciò nella fattispecie, non essendosi mai realizzata un’attività commerciale, la fase di start up è rimasta stagnante, precludendo perciò l’integrazione del presupposto di cui alla lettera d) dell’art. 87 già richiamato”.

11 marzo 2015

Giovambattista Palumbo