Sponsorizzazioni deducibili solo se 'indirizzate' a clienti potenziali

le sponsorizzazioni di eventi sportivi non sempre sono deducibili dal reddito d’impresa: una panoramica delle recenti pronunce di Cassazione a riguardo

Le sponsorizzazioni dei rally così come delle squadre sportive sono molto diffuse, ma non sempre le relative spese sono deducibili per lo sponsor. Una recente sentenza della Cassazione, unitamente ad una panoramica dei più importanti arresti giurisprudenziali, consente di fare il punto della situazione sulla fattispecie in oggetto.

       Con la sentenza 25100 del 26 novembre 2014, la Cassazione è tornata ad occuparsi, tra l’altro, della deducibilità delle spese di sponsorizzazione, ribadendo un concetto che dovrebbe ormai ritenersi definitivamente acquisito, ovvero che ai fini della deducibilità di tali spese è sempre necessario che i destinatari del messaggio pubblicitario siano potenziali acquirenti dei beni o servizi realizzati dallo sponsor.

Prendendo le mosse dalla giurisprudenza pregressa, occorre ricordare che, secondo l’ormai consolidato indirizzo della Cassazione, costituiscono spese di rappresentanza quelle affrontate per iniziative volte ad accrescere il prestigio e l’immagine dell’impresa ed a potenziarne le possibilità di sviluppo, mentre vanno qualificate come spese pubblicitarie o di propaganda quelle erogate per la realizzazione di iniziative tendenti, prevalentemente anche se non esclusivamente, alla pubblicizzazione di prodotti, marchi e servizi, o comunque dell’attività svolta. Pertanto, sono da considerarsi spese di rappresentanza quelle effettuate senza che vi sia una diretta aspettativa di ritorno commerciale, mentre costituiscono spese di pubblicità o propaganda quelle sostenute per ottenere un incremento, più o meno immediato, della vendita di quanto realizzato nei vari cicli produttivi ed in certi contesti, anche temporali. Il criterio discretivo va, dunque, individuato nella diversità, anche strategica, degli obiettivi che, per le spese di rappresentanza, può farsi coincidere con la crescita d’immagine ed il maggior prestigio nonché con il potenziamento delle possibilità di sviluppo della società; laddove, per le spese di pubblicità o propaganda, di regola, consiste in una diretta finalità promozionale e di incremento commerciale, normalmente, concernente la produzione realizzata in un determinato contesto (ex pluris, Cass. 3433/2012, 8679/2011, 21270/2008, 17602/2008, 9567/2007).

Con la recente sentenza 14252/2014, la Suprema Corte ha esaminato un caso analogo a quello della pronuncia in commento, giungendo alla conclusione che il contribuente non aveva dimostrato in alcun modo l’esistenza di un nesso diretto tra l’attività sponsorizzata e l’attesa di un ritorno commerciale e, quindi, le relative spese non potevano assumere la qualifica di pubblicità, dovendosi invece considerare spese di rappresentanza.

Del resto, già in passato gli Ermellini avevano deciso in tal senso, esaminando un caso simile. Con la pronuncia 3433/2012 già richiamata, infatti, i Giudici del Palazzaccio avevano stabilito che la contribuente non aveva fornito alcuna dimostrazione di quale concreto ritorno economico si potesse attendere dalla sponsorizzazione di un pilota da corsa, atteso il diverso settore in cui operava la società, ovvero quello dell’impiantistica per imballaggi. Secondo la Cassazione, non vi era alcun nesso tra l’attività sponsorizzata e quella posta in essere dalla società e, quindi, quelle in contestazione non potevano considerarsi spese di pubblicità integralmente deducibili, ma dovevano ritenersi spese di rappresentanza soggette ai limiti di deducibilità previsti dalla normativa sopra richiamata.

L’arresto giurisprudenziale in commento, Cass. 25100/2014, conferma i principi già affermati dagli Ermellini e sopra riportati. Dai fatti di causa emerge che un contribuente aveva sponsorizzato, in forza di apposito contratto, una scuderia automobilistica di rally ed aveva integralmente dedotto il relativo costo alla stregua di spese di pubblicità ex articolo 108, comma 2, del TUIR.

I Giudici del Palazzaccio hanno osservato i plurimi aspetti di incongruenza in punto di disallineamento tra clienti del contribuente e generalità dei consumatori interessati alle corse automobilistiche di quel tipo, l’operatività del contribuente in ristretto ambito geografico (province di Brescia e Bergamo) a fronte di manifestazioni sportive effettuate in Croazia, Austria e altri Paesi non identificati ed, infine, l’inidoneità del logo usato a ricondurre la potenziale clientela al contribuente.

Si tratta di circostanze – hanno aggiunto i Supremi Giudici – che devono essere valutate in considerazione dei principi già sancita, per cui in tema di imposte dei redditi e sul valore aggiunto, la menzionata deducibilità esige la previa dimostrazione, a carico del contribuente, del requisito dell’inerenza, consistente non solo nella giustificazione della congruità dei costi, rispetto ai ricavi o all’oggetto sociale, ma soprattutto nell’allegazione delle potenziali utilità per la propria attività commerciale o dei futuri vantaggi conseguibili attraverso la pubblicità svolta dall’impresa in favore del terzo (Cass. 24065/2001); ovvero, che i costi di sponsorizzazione di un marchio sono deducibili anche da chi, pur non essendo titolare del marchio, tragga comunque un’utilità dallo sfruttamento del segno distintivo altrui, per il potenziale incremento della propria attività commerciale (Cass. 6548/2012).

I giudici di merito, però, in proposito non avevano formulato il benché minimo commento, confondendo il piano dell’utilità economica prospettica della spesa (apoditticamente riferita al rischio d’impresa in sé) con la ragionevolezza ed attendibilità dell’inerenza dell’esborso rispetto all’attività economica, così eludendo il giudizio di non inerenza di tale costo quale oggetto di contestazione dell’Ufficio.

È appena il caso di aggiungere, peraltro, che l’onere probatorio circa la sussistenza dei requisiti per la deducibilità della spese in oggetto alla stregua di spesa di pubblicità grava sul contribuente (cfr. Cass. 6548/2012), che deve anche dimostrare l’esistenza di un contratto sinallagmatico tra le parti (R.M. 5 novembre 1974 n. 2/1016 e 17 giugno 1992 n. 9/204, circ. 34/E/2009, § 3.1).

Da ultimo, poi, mette conto di ricordare che le modifiche apportate dall’art. 1, c. 33, lett. p), della legge 244/2007 (decorrenti dal periodo d’imposta 2008) non dovrebbero più consentire l’inclusione delle spese di sponsorizzazione tra quelle di rappresentanza, atteso che la nuova disciplina attuativa (DM 19/11/2008) prevede che tali spese di rappresentanza sono costituiste da erogazioni a titolo gratuito di beni e servizi, mentre le sponsorizzazioni si basano su contratti a prestazioni corrispettive.

12 dicembre 2014

Alessandro Borgoglio