La tassazione dei compensi erogati ad artisti stranieri

quali sono gli adempimenti fiscali (ai fini IVA e delle imposte dirette) che sono connessi al pagamento di artisti stranieri in tournee in Italia? Una guida per evitare il contenzioso

La fattispecie

Nell’ambito di attività di promozione ed organizzazione di spettacoli, esibizioni e tournees musicali, teatrali ed artistiche e di manifestazioni culturali, le società che si occupano degli eventi gestiscono e movimentano spesso rilevanti quantità di denaro, occupandosi, tra le altre cose, anche della corresponsione dei compensi ad artisti, magari anche di fama internazionale, che, come noto, percepiscono compensi molto elevati, laddove quanto incassato dalla vendita dei biglietti appartiene per contratto agli artisti.

Per quanto riguarda dunque i compensi corrisposti ai gruppi artistici stranieri che si esibiscono in Italia, le fatture devono essere emesse dal committente italiano, in quanto i prestatori residenti all’estero non sono tenuti al rispetto degli adempimenti formali previsti dalla legge Iva.

Le prestazioni di servizi effettuate nello Stato da soggetti residenti all’estero non identificati in Italia devono essere quindi documentate da un’autofattura, emessa entro lo stesso giorno del pagamento della prestazione.

Come poi espressamente previsto dall’art. 25 del DPR 600/73, su tali compensi, corrisposti agli artisti internazionali, la società committente deve versare le relative ritenute.

Occorre infatti rilevare come, a norma dell’articolo 25, comma I del D.p.R. 600/1973, “i soggetti indicati nel primo comma dell’art. 23, che corrispondono a soggetti residenti nel territorio dello Stato compensi comunque denominati, anche sotto forma di partecipazione agli utili, per prestazioni di lavoro autonomo, ancorché non esercitate abitualmente ovvero siano rese a terzi o nell’interesse di terzi o per l’assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere devono operare all’atto del pagamento una ritenuta del 20 per cento a titolo di acconto dell’imposta sul reddito delle persone fisiche dovuta dai percipienti, con l’obbligo di rivalsa”.

Per altro verso, il successivo comma II del medesimo articolo dispone che “se i compensi e le altre somme di cui al comma precedente sono corrisposti a soggetti non residenti, deve essere operata una ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 30 per cento, anche per le prestazioni effettuate nell’esercizio di imprese”.

La norma è fin troppo chiara e non lascia spazio ad interpretazioni alternative.

Pertanto il soggetto straniero che svolge attività artistiche nel nostro Paese, sia sotto forma individuale, sia tramite impresa (è la norma che lo dice), deve essere tassato in Italia, tramite ritenuta alla fonte, a meno che tale soggetto non abbia nel nostro territorio una stabile organizzazione; in quest’ultimo caso non si applicherà infatti la ritenuta alla fonte, ma dovrà essere direttamente la stabile organizzazione a dichiarare i propri redditi.

Tale impostazione trova del resto conferma sia nell’articolo 17 del Modello OCSE di Convenzione contro le doppie imposizioni, sia nella giurisprudenza (cfr. ex multis Corte di Cassazione, Sez. I, sentenza n. 4481 del 2 dicembre 1997) e sia nella prassi (cfr. Ris. 56/E del 2005 dell’Agenzia delle Entrate).

La tesi contraria a tale impostazione, secondo cui le ritenute non dovrebbero essere operate non trattandosi di compensi, ma di veri e propri ricavi ottenuti dalle imprese di produzione degli artisti stranieri, come tali non riconducibili alla fattispecie dell’art. 25 in questione, non è dunque percorribile.

Basti pensare infatti che, come sopra già visto, il comma II dell’art. 25 dispone espressamente che “se i compensi e le altre somme di cui al comma precedente sono corrisposti a soggetti non residenti, deve essere operata una ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 30 per cento, anche per le prestazioni effettuate nell’esercizio di imprese”.

Quindi la tesi contraria all’obbligo della ritenuta viene espressamente smentita dal testo letterale della norma.

Tassazione dei compensi degli artisti non residenti secondo la normativa interna

In base all’art. 3 del Tuir, i soggetti non residenti sono tassati solamente sui redditi prodotti in Italia.

L’elenco di tali redditi è contenuto nel successivo articolo 23.

I soggetti non residenti, tuttavia, non sono tenuti a presentare la dichiarazione dei redditi in Italia, in quanto è previsto che il sostituto d’imposta operi una ritenuta alla fonte a titolo d’imposta.

Infatti, l’art. 25, comma 2 del D.P.R. n. 600/1973 prevede l’applicazione di una ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 30%.

Alla luce delle considerazioni che precedono e con particolare riferimento al caso di specie, i compensi percepiti dall’artista a fronte delle prestazioni artistiche rese in territorio italiano dovranno essere quindi assoggettati a ritenuta d’acconto a titolo d’imposta nella misura del 30%, in quanto si riferiscono a prestazioni rese in Italia da un soggetto ivi fiscalmente non residente.

La base imponibile ai fini dell’applicazione della ritenuta sarà determinata dai compensi lordi imputabili all’attività artistica svolta in Italia.

L’importo su cui commisurare la ritenuta a titolo di imposta è il compenso lordo corrisposto, visto che l’art. 25, comma 2, nel richiamare le somme ed i compensi di cui al comma precedente, assoggetta in sostanza a ritenuta gli stessi compensi corrisposti ai residenti, differenziando unicamente l’entità (30 per cento anziché 20) ed il titolo (d’imposta anziché di acconto) della ritenuta.

Non vi è, dunque, alcuna possibilità di far valere, in sede di applicazione della ritenuta, i costi sostenuti dal percipiente nella determinazione del reddito (cfr. risoluzione n. 20/E del 20 marzo 1998).

Il requisito della territorialità

Il requisito della territorialità (e quindi l’obbligo dell’imposizione mediante ritenuta) sussiste, per presunzione assoluta, ovvero indipendentemente da se trattasi di redditi di lavoro dipendente, di lavoro autonomo, d’impresa o diversi, per tutti i compensi corrisposti dallo Stato, da soggetti residenti nel territorio dello Stato o da stabili organizzazioni nel territorio stesso, relativi, in particolare:

– all’utilizzazione di opere dell’ingegno, di brevetti industriali e di marchi d’impresa nonché di processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico – cosiddette royalties [art. 23, comma 2, lettera c), del Tuir];

– a prestazioni artistiche o professionali effettuate, per conto dei sopra indicati soggetti residenti, da imprese, società ed enti non residenti [art. 23, comma 2, lettera d), del Tuir].

In sostanza, nel caso di prestazioni artistiche o professionali in senso oggettivo, indipendentemente quindi dalla natura del reddito conseguito dal prestatore, soggetto non residente, eseguite per conto di un committente residente, le stesse risultano, per espressa previsione normativa, territorialmente rilevanti.

Appare evidente, allora, che il presupposto territoriale per poter applicare la prescritta ritenuta è in re ipsa verificato, discendendo direttamente dalla presunzione assoluta di cui all’art. 23, comma 2, lettera d), del Tuir.

In conclusione, nella norma in discussione il presupposto territoriale viene completamente sganciato dalla natura che il reddito può assumere in relazione all’attività svolta dal percipiente estero.

La logica sottesa a questa impostazione è da ricercarsi nella natura dell’attività svolta che porta gli artisti stranieri a percepire elevati compensi con un ridotto soggiorno in Italia e conseguentemente comporta serie difficoltà pratiche nella tassazione.

Per evitare di entrare nel merito del comportamento dei singoli percettori del reddito la normativa italiana dispone, dunque, che, pur in assenza di una stabile organizzazione nel territorio italiano o di un periodo di permanenza minimo, i redditi conseguiti siano da considerare come imponibili nello Stato in cui la prestazione è effettuata, anziché in quello di residenza.

Tale modus operandi risponde, infatti, a delle esigenze antielusive e di cautela fiscale, in quanto, se il reddito dell’artista, ovunque prodotto, fosse assoggettato a tassazione soltanto nello Stato di residenza di quest’ultimo, sarebbe facile effettuare un risparmio di imposta localizzando i redditi in uno Stato caratterizzato da una bassa pressione fiscale.

In senso conforme si veda peraltro anche la Risoluzione n. 56/E de 3 maggio 2005 dell’Agenzia delle Entrate, la quale, in merito ad una vicenda relativa ad artisti (musicisti) stranieri, che si esibivano in Italia, ha sottolineato che: “Dalla richiamata norma si evince che la ritenuta di imposta deve essere applicata dal soggetto italiano che eroga il compenso per la prestazione dell’artista, a nulla rilevando la circostanza che il percipiente sia una persona fisica ovvero un ente. L’unica eccezione si ha nel caso in cui il soggetto non residente abbia in Italia una stabile organizzazione: in tale ipotesi, non si applica la ritenuta e il soggetto non residente deve dichiarare i redditi prodotti nel nostro Paese mediante la stabile organizzazione“.

Ancora, in senso analogo, la Risoluzione n. 110/E dell’8 maggio 1997, dove si fa presente “che la maggior parte delle Convenzioni internazionali per evitare le doppie imposizioni sui redditi stipulate dall’Italia individua, in accordo con il modello di Convenzione elaborato in sede OCSE, delle categorie generali di reddito in relazione alle quali è ripartito tra gli Stati contraenti il potere impositivo. Per i redditi degli artisti e degli sportivi viene prevista la tassazione nel Paese dove la prestazione è svolta. Le Convenzioni vigenti fra Italia e Gran Bretagna, Germania, Austria, Francia e Ungheria, conformemente al descritto principio OCSE, contengono una disposizione specifica per il trattamento dei redditi degli artisti e degli sportivi. Più precisamente l’art. 17 delle predette Convenzioni, nel paragrafo 1, stabilisce che i redditi stessi sono imponibili nello Stato in cui l’attività è esercitata, e nel paragrafo 2 ribadisce tale potestà impositiva anche nell’ipotesi in cui il compenso non sia erogato direttamente all’artista, bensì ad altra persona o società. Il presupposto per l’imposizione di tali redditi discende, pertanto, dalla natura dell’attività obiettivamente considerata, e dal luogo in cui viene svolta, mentre si prescinde dalla configurazione giuridica che riveste il soggetto attraverso cui viene posta in essere l’attività stessa“.

Trattamento fiscale dei compensi artistici secondo le convenzioni contro le doppie imposizioni

La norma di riferimento, come detto, è l’art. 17, paragrafo 1, della schema di Convenzione Ocse contro le doppie imposizioni, che al riguardo prevede che “nonostante le disposizioni degli articoli 14 e 15 della presente Convenzione, i redditi che un residente di uno Stato contraente ritrae dalle sue prestazioni personali esercitate nell’altro Stato contraente in qualità di artista dello spettacolo, quale artista di teatro, del cinema, della radio o della televisione o in qualità di musicista, nonché di sportivo sono imponibili in detto altro Stato”.

La suddetta disposizione disciplina i redditi derivanti dall’attività personale, prestata nell’ambito di un rapporto di lavoro dipendente o indipendente, percepiti da professionisti dello spettacolo, musicisti e sportivi.

L’esigenza di tutelare la potestà impositiva dei singoli Stati ha dunque suggerito l’opportunità di adottare un criterio di imponibilità diverso da quelli previsti dagli artt. 7 e 15 con riferimento ai professionisti indipendenti e ai lavoratori dipendenti, in modo da prevedere che i redditi da essi conseguiti siano imponibili nello stesso Stato in cui traggono origine.

In deroga a quanto previsto dagli artt. 14 e 15, pur in assenza di una base fissa o di un periodo minimo di permanenza nello Stato della fonte, i redditi conseguiti dagli artisti e sportivi sono dunque imponibili nello Stato in cui viene svolta l’attività da cui traggono origine.

Da un punto di vista soggettivo l’attività svolta deve possedere il carattere della professionalità richiesto dall’art. 17 e deve trattarsi di un’attività di contenuto artistico.

Sotto il profilo oggettivo, invece, va in primo luogo rilevato che gli artisti e sportivi possono percepire una vasta gamma di corrispettivi in forme differenti.

A livello OCSE, è già stato preso in considerazione, del resto, quali fattispecie ricomprendere nell’ambito applicativo dell’art. 17, rilevandosi come la molteplicità delle attività svolte dagli artisti e la complessità ed articolazione dei contratti da cui sono regolate (come ci conferma anche il ricorrente) non permettono un’agevole individuazione dei diversi elementi che compongono i corrispettivi complessivamente percepiti da tali soggetti.

Il Comitato Affari fiscali dell’OCSE, ha in sostanza ritenuto opportuno privilegiare l’interpretazione per cui, visto che le autorità fiscali dei diversi Stati avrebbero difficoltà ad individuare tutti i redditi che l’artista può percepire in modo diretto o indiretto, anche all’estero, in dipendenza dell’attività esercitata nell’ambito del territorio del proprio Stato, con il conseguente rischio di doppie imposizioni o, al contrario, di non imposizione, l’art. 17 deve ritenersi applicabile ai redditi percepiti dall’artista in dipendenza dell’attività propriamente artistica svolta in un determinato Stato.

E del resto, come detto, il paragrafo 2 dell’art. 17 della Convenzione stabilisce espressamente che “quando i redditi derivanti da prestazioni che un artista dello spettacolo o uno sportivo esercita personalmente e in tale qualità sono attribuiti ad una persona diversa dall’artista o dallo sportivo medesimo, detti redditi sono imponibili nello Stato contraente in cui le prestazioni dell’artista o dello sportivo sono esercitate, nonostante le disposizioni degli articoli 7, 14 e 15 della presente convenzione”.

Con chiara valenza antielusiva, quindi, quando il reddito derivante dall’attività svolta dall’artista o dallo sportivo viene imputato ad un altro soggetto (che può essere anche una “star company”, cioè una società estera che assume l’artista incaricandolo di esibirsi in vari paesi), i relativi redditi possono comunque essere tassati nello Stato in cui è erogata la prestazione.

Eliminazione della doppia imposizione

Al fine di attenuare la doppia imposizione internazionale dei redditi conseguiti dagli artisti il Commentario OCSE suggerisce di adottare il metodo del credito d’imposta, in base al quale il reddito di fonte estera conseguito dall’artista residente è comunque imponibile nello Stato di residenza, salvo il riconoscimento di un credito tendenzialmente pari alle imposte assolte all’estero sul medesimo reddito.

A mero titolo esemplificativo, l’art. 24 della Convenzione tra Italia e Regno Unito contro le doppie imposizioni (che poi ricalca il tenore della maggioranza dei Trattati bilaterali stipulati dall’Italia), prevede quale meccanismo per eliminare la doppia imposizione il credito d’imposta, così come espressamente previsto: “l’imposta italiana dovuta ai sensi della legislazione italiana conformemente alla presente convenzione, sia direttamente che per detrazione, sugli utili o redditi provenienti da fonti site in Italia … è ammessa in deduzione dall’imposta del Regno Unito calcolata sugli stessi redditi per i quali è stata calcolata l’imposta italiana”.

Laddove infatti un compenso percepito da un lavoratore residente di un altro Paese, come corrispettivo della prestazione artistica resa in Italia, venga assoggettato a tassazione sia in Italia (quale Paese della fonte) sia nello Stato di residenza, si verifica una potenziale doppia imposizione giuridica, per effetto di una potestà impositiva spettante:

al paese di residenza dell’artista, che vanta il diritto di tassare la globalità dei redditi percepiti dal soggetto, in virtù del principio di tassazione su base mondiale, ivi compresi i compensi fatturati alla società italiana in relazione all’attività artistica prestata in Italia;

allo Stato italiano, quale Paese della fonte (ossia dello Stato nel quale è svolta l’attività che genera i relativi redditi), che ha diritto di tassazione limitatamente ai compensi ivi percepiti dall’artista.

La predetta doppia imposizione (a carico, si badi bene, del percipiente estero, non certo dell’erogante italiano, a cui tali problematiche sono del tutto estranee) potrà essere, come detto, eliminata nel Paese di residenza attraverso il meccanismo del credito d’imposta per le imposte assolte in Italia sullo stesso reddito.

Il fatto comunque che, a fronte dell’avvenuta ritenuta, tale credito di imposta spetti o meno alla società o all’artista estero, come detto, poco rileva ai fini della fattispecie in commento, essendo semmai questione di competenza dell’erario estero.

Ciò che è sicuro è che nello Stato di prestazione dell’attività artistica deve essere effettuata (e versata) la ritenuta.

E quindi, laddove sia stata effettuata, in Italia, una prestazione artistica da un soggetto non residente (professionista o impresa), privo di stabile organizzazione e il committente sia soggetto passivo d’imposta in Italia, assumendo quindi la qualifica di sostituto d’imposta in relazione alla prestazione ricevuta, l’applicazione della normativa interna e della normativa internazionale prevede due possibilità per il sostituto d’imposta italiano:

– la tassazione in Italia mediante la prescritta ritenuta a titolo d’imposta, ex art. 25, comma 2, del D.P.R. n. 600/1973, pari al 30 per cento dell’ammontare della prestazione fatturata dal soggetto non residente; in tal caso, il prestatore estero avrà diritto ad un credito d’imposta (metodo ordinario);

– dietro richiesta del soggetto non residente, il committente nazionale potrà procedere, secondo determinate condizioni e limiti giuridici, all’applicazione diretta della disciplina convenzionale, non applicando alcuna ritenuta alla fonte (metodo facoltativo dell’esenzione o sgravio).

Quindi delle due l’una: o il sostituto d’imposta nazionale effettua la ritenuta, oppure, per non applicarla, dietro richiesta, preventiva ed espressa del soggetto non residente, applica, se esistente, la disciplina convenzionale, acquisendo peraltro, sempre preventivamente al pagamento, dal soggetto beneficiario un’attestazione ufficiale dell’Autorità fiscale estera che certifichi:

a) l’inesistenza di stabili organizzazioni nel territorio italiano del percettore estero;

b) l’effettiva residenza fiscale extranazionale del suddetto percipiente e la sua soggettività passiva d’imposta nello Stato estero.

La giurisprudenza

Anche la giurisprudenza ha chiaramente confermato quanto sopra evidenziato.

La corte di Cassazione, con la Sentenza n. 17955 del 19 ottobre 2012, ha per esempio affermato che “in tema di imposte sui redditi, le prestazioni fornite nel settore della moda, e relative all’intera organizzazione di un evento, sono riconducibili, … all’attività artistica o di spettacolo, …, in quanto la predisposizione di tutto il necessario alla realizzazione dell’evento implica lo svolgimento della prestazione in forma organizzata. Ne consegue che, in applicazione dell’art. 25 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, i compensi relativi a tali prestazioni, ove corrisposti da soggetti residenti nel territorio dello Stato ad imprese, società od enti non residenti sono soggetti ad una ritenuta del trenta per cento a titolo di imposta sulla parte imponibile del loro ammontare”.

3 novembre 2014

Giovambattista Palumbo