Processo tributario: niente vincoli da giudicato esterno

nel processo tributario l’efficacia espansiva del giudicato esterno non ricorre quando i separati giudizi riguardino (come nella specie) tributi diversi, stante la diversità strutturale tra le imposte, oggettivamente differenti, ancorchè la pretesa impositiva sia fondata sui medesimi presupposti di fatto

Con la sentenza n. 19044 del 10 settembre 2014 (ud. 28 maggio 2014) la Corte di Cassazione ha confermato che “nel processo tributario l’efficacia espansiva del giudicato esterno non ricorre quando i separati giudizi riguardino (come nella specie) tributi diversi, stante la diversità strutturale tra le imposte, oggettivamente differenti, ancorchè la pretesa impositiva sia fondata sui ‘medesimi presupposti di fatto’ ovvero scaturisca ‘dalla medesima indagine di fatto’ (v. tra le altre cass. n. 235 del 2014 e n. 25200 del 2009)”.

La Corte prosegue sottolineando che la più recente giurisprudenza “si è espressa nel senso di mantenere l’efficacia preclusiva del giudicato esterno entro rigorosi limiti temporali e oggettivi, in coerenza col principio del divieto di abuso del diritto (v. cass. n. 18907 del 2011, riferita a giudicato concernente le medesime imposte ma periodi differenti), posto che, anche a prescindere dalle controversie in materia di IVA, una sensibile restrizione dell’ambito di efficacia del giudicato entro i suoi limiti temporali (medesimo periodo di imposta) e oggettivi (medesimo tributo) non può che essere decisiva nel contrasto alle attività elusive e che un impegno in tal senso deriva da disposizioni imperative di rango comunitario, posto che il divieto di abuso del diritto è stato progressivamente esteso anche ai cd. tributi non armonizzati (quindi anche alle imposte sui redditi), con la conseguenza che siffatto divieto è assurto al rango di principio generale antielusivo finalizzato a garantire la piena e completa applicazione del sistema comunitario di imposta (v. cass. n. 4737 del 2010 e 11162 del 2010)”.

Brevi note

Permangono ancora nette le differenze fra i due sistemi di tassazione (II.DD. ed Iva) rivolti, l’uno a disciplinare le componenti essenziali del reddito d’impresa, ai fini di un’imposizione che persegue le manifestazioni di ricchezza, l’altra a determinare correttamente la base imponibile (artt. 13 e 17 del DPR 633/1972), sulla quale applicare un’imposta sui consumi e, come tale, soggetta a regole eguali per tutti i soggetti passivi, indipendentemente dalla eventualmente diversa capacità reddituale.

Tale particolare meccanismo fa si che ai fini IVA, sulla base del costante pensiero giurisprudenziale di merito e di legittimità (Cass. n. 4767 del 23/4/1993, CTR Lombardia, n. 255 del 28/10/1999, Cass. n. 6832 del 18/5/2001, C.T.C. n. 631 del 19/2/1999, Cass. n. 4419 del 26/3/2203, Cass. n. 11109 del 16/7/2003), per il cessionario o committente, acquistino fondamentale rilevanza gli adempimenti contabili cui è tenuto il soggetto passivo d’imposta (fatturazione, registrazione, liquidazioni periodiche, dichiarazione), al fine di poter esercitare il diritto alla detrazione di cui all’art. 19 del D.P.R. n.633/1972.

Dunque, tutte le volte che il contribuente non è in grado di provare la fonte che legittima la detrazione (fatture o altri documenti comprovanti il costo sostenuto) e l’espletamento delle formalità previste dal titolo II del D.P.R. 633/1972 (registrazione e conservazione dei documenti), la detrazione deve ritenersi indebita e l’ufficio finanziario è legittimato a recuperare a tassazione l’imposta irritualmente detratta.

Ai fini delle imposte sul reddito, invece, si parte da presupposti diversi, tutti, comunque, tesi a determinare l’effettiva capacità contributiva del soggetto (art. 53 Cost.), subordinando la deducibilità delle spese e degli altri componenti negativi all’imputazione al conto economico dell’esercizio di competenza, ma ammettendo (art. 109, c. 5, del T.U. n. 917/86) in deduzione anche le spese e gli oneri relativi ai ricavi e agli altri proventi che, pur non essendo imputati al conto economico, concorrono a formare il reddito nella misura in cui risultano da elementi certi e precisi, al fine di evitare che a fronte di maggiori ricavi accertati, non sia concessa la possibilità di dedurre quei costi che avevano costituito la base per il recupero a tassazione dei ricavi stessi.

Ma il divario fra i due sistemi impositivi (IVA e imposte sul reddito) emerge chiaramente dall’abrogazione del comma 6 del vecchio articolo 75, per effetto dell’art. 5, del D.P.R. n. 695/1996, a decorrere dal 6 febbraio 1997, il quale in precedenza disponeva che le spese e gli altri componenti negativi, di cui è prescritta la registrazione in apposite scritture contabili ai fini delle imposte sui redditi, non sono ammesse in deduzione se la registrazione è stata omessa o è stata eseguita irregolarmente, salvo che si tratti di irregolarità meramente formali.

Pertanto, la dottrina più attenta1 rileva che “non è corretto, quindi, e si traduce in una palese illegittimità, applicare la norma contenuta nell’art. 75 del TUIR al sistema dell’IVA, utilizzando i costi sostenuti (o ricostruiti) per diminuire la base imponibile, sulla quale poi calcolare l’imposta dovuta, anche perché l’analisi dei costi rilevanti ai fini IVA, può essere compiuta solo a mente dell’art. 19 del DPR 633/1972, che disciplina in dettaglio l’esercizio della detrazione, individuando limiti di carattere generale (che prescindono, cioè, dalla natura del bene cui l’imposta si riferisce) e limiti di carattere specifico, ossia relative all’attività esercitata o alla natura del bene o servizio acquistato. La formazione delle due basi imponibili, pertanto, non può che essere improntata a criteri del tutto diversi, inscindibilmente correlati alla analogamente diversa natura dei tributi”.

La sentenza che si annota va sulla scia del precedente pronunciamento della Corte di Cassazione (sentenza n. 235 del 9 gennaio 2014, ud. 19 novembre 2013, peraltro richiamata) dove era stato già dato continuità “al consolidato orientamento secondo il quale non ricorre l’efficacia estensiva del giudicato esterno, per quanto qui interessa, allorchè siano oggetto dei separati giudizi tributi diversi (quali IVA ed IRPEF), stante la diversità strutturale delle due imposte, oggettivamente differenti, ancorchè la pretesa impositiva sia fondata sui medesimi presupposti di fatto (Cass. 3756/2013; Cass. 802/2011; Cass. 3706/2010; Cass.25200/2009)”.

Le diverse modalità di tassazione, ai fini Iva e imposte sui redditi, sono state evidenziate dalla Corte di Cassazione, sezione civile, V, già con la sentenza n. 1633 del 4 febbraio 2003, ove è stato detto che ai fini IVA non assume rilievo la ricostruzione del reddito d’impresa ai fini delle imposte sui redditi, in quanto la base imponibile è costituita direttamente dall’ammontare dei corrispettivi delle singole operazioni. Sul punto, si segnalano ulteriori ed interessanti pronunce della Suprema Corte.

  • Sentenza n. 2438 del 5 febbraio 2007, secondo cui nel caso di specie, “l’anticipata ininfluenza dell’addotto giudicato (esterno) sulla presente fattispecie discende dal rilievo che questa ha ad oggetto un rapporto giuridico che, quando anche accertato nel corso delle medesime indagini (in specie, in base alle stesse risultanze dei movimenti bancari fiscalmente non giustificati, pure considerate dall’altro giudice), è del tutto diverso da quello deciso con la detta sentenza passata in cosa giudicata in quanto la presente controversia concerne imposte (Irpeg-Ilor) strutturalmente ed oggettivamente differenti dall’imposta sul valore aggiunto (Iva) sulla quale ha statuito quella decisione … invero, l’accertamento dell’inesistenza di qualsivoglia rapporto giuridico rilevante tra le due fattispecie impone, per coerenza sistematica, di trarre le logiche conseguenze dall’autonomia dei singoli periodi di ciascuna imposta positivamente sancita (expressis verbis) dal legislatore e di tenere conto della sostanziale, ontologica differenza giuridica esistente tra imposte diverse in ogni ipotesi di inesistenza (come nella specie) di un vincolo giuridico tra le stesse: si consideri, per quanto interessa la fattispecie in esame, che la mancanza di certezza della riferibilità delle movimentazioni bancarie ad operazioni imponibili del professionista (essendosi soltanto il sospetto, giustificato, di tale appartenenza), affermata dal giudice nella sentenza passata in cosa giudicata, è comunque limitata alle operazioni imponibili, le sole rilevanti ai fini dell’Iva, per cui la stessa non contiene (né poteva contenere, considerato l’ambito oggettivo di quel processo) nessun accertamento anche in ordine all’eventuale non riferibilità di quelle stesse movimentazioni bancarie a ricavi, ovverosia ad elementi aventi rilievo ai fini della determinazione del reddito imponibile del contribuente”.

  • Sentenza n. 6913 del 25 marzo 2011 (ud. del 4 gennaio 2011) che ha confermato che “il principio della autonomia degli atti di accertamento per imposte diverse, la intervenuta definitività di uno di essi per mancanza di opposizione è irrilevante in ordine alla fondatezza o meno dell’altro, non essendo tale caratteristica equiparabile ad un giudicato, anche parziale e limitato ad un presupposto di fatto comune ad entrambi. È invece ovvio che elementi probatori e presuntivi tratti da un accertamento possano essere richiamati in un accertamento diverso, ma in questo valgono in quanto gli elementi richiamati siano concretamente idonei a svolgere anche in tale sede valore di prova; in tal caso, tuttavia, detti elementi, ove giudizialmente contestati, devono essere separatamente esaminati e criticamente valutati sotto tale profilo dal giudice del merito”.

  • Sentenza n. 14058 del 3 agosto 2012 (ud. 20 giugno 2012) che ha richiamato il principio “secondo cui in caso d’impugnazione separata di distinti avvisi di accertamento, emessi rispettivamente ai fini dell’IVA e delle imposte sui redditi, con cui l’Amministrazione finanziaria abbia fatto valere l’inesistenza soggettiva di operazioni commerciali, la sentenza emessa in uno dei giudizi non spiega efficacia di giudicato nell’altro, in quanto la problematica relativa alla detraibilità dell’IVA può anche risolversi secondo criteri di fatto diversi da quelli riguardanti la deducibilità dei costi dalla base imponibile delle imposte sui redditi (Cass. n. 25200 del 2009; n. 15396 del 2008 e 16816 del 2008)”. Inoltre, il giudicato relativo ad un singolo periodo d’imposta non è idoneo a far stato in quelli antecedenti o successivi”, se non limitatamente a “qualificazioni giuridiche” o ad altri eventuali “elementi preliminari” aventi carattere di durevolezza nel tempo, “non estendendosi detto vincolo a tutti i punti che costituiscono antecedente logico della decisione, ed in particolare alla valutazione delle prove ed alla ricostruzione dei fatti“.

  • Sentenza n. 22941 del 9 ottobre 2013 (ud 19 settembre 2013), secondo cui il giudicato relativo ad un singolo periodo di imposta non è idoneo a far stato per i successivi o i precedenti in via generalizzata ed aspecifica. Simile efficacia va infatti riconosciuta solo a quelle situazioni relative a “qualificazioni giuridiche” o ad altri eventuali “elementi preliminari” rispetto ai quali possa dirsi sussistente un interesse protetto avente carattere di durevolezza nel tempo, non estendendosi a tutti i punti che costituiscono antecedente logico della decisione ed in particolare alla valutazione delle prove ed alla ricostruzione dei fatti. E questo perchè il giudicato incentra la sua potenziale capacità espansiva in funzione regolamentare solo su quegli elementi che abbiano un valore “condizionante” inderogabile sulla disciplina degli altri elementi della fattispecie esaminata, con la conseguenza che la sentenza che risolva una situazione fattuale in uno specifico periodo di imposta non può estendere i suoi effetti automaticamente ad altro ancorchè siano coinvolti tratti storici comuni.(cfr Cass. Sez. 5, Sentenza n. 18907 del 16/09/2011; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 20029 del 30/09/2011)”. Nel caso specifico, la Corte esclude “l’efficacia esterna di un giudicato relativo ad un periodo di imposta Irap in una controversia riguardante una diversa annualità, sul presupposto che l’accertamento erano fondati su fatti non necessariamente comuni”.

  • Sentenza n. 11163 del 21 maggio 2014 (ud. 7 aprile 2014) dove la Corte di Cassazione ha confermato il principio secondo cui, in presenza di imposte diverse, non vi è giudicato esterno. Secondo il costante insegnamento di questa Corte, perchè una lite possa ritenersi coperta dal giudicato di una precedente sentenza resa tra le stesse parti, è necessario che il giudizio introdotto per secondo investa lo stesso rapporto giuridico che ha già formato oggetto del primo. In mancanza di tale essenziale presupposto, pertanto, non rileva che la seconda lite richieda accertamenti di fatto già compiuti nel corso della prima (conf. Cass. 2594/10). Tale identità di rapporto deve, pertanto, essere esclusa nel caso in cui – come nella fattispecie in esame – le due controversie riguardino imposte strutturalmente e oggettivamente diverse, come l’IVA e le imposte dirette; con la conseguenza che nel giudizio in materia di imposte dirette non può in alcun modo spiegare efficacia di giudicato esterno una sentenza in materia di IVA, ancorchè fondata sui medesimi presupposti di fatto (cfr. tra le tante, Cass. 2438/07, 5943/07, 8773/08, 25200/09)”.

24 ottobre 2014

Gianfranco Antico

1 FUSCONI, Costi e oneri non documentati o irregolarmente documentati: il diverso trattamento nell’Iva e nelle imposte sui redditi, in “Finanza&Fisco”, n.45/2003, pag.4471. Cfr. ANTICO, Il vincolo da giudicato per l’Amministrazione finanziaria, in “Consulenza”, n. 14/2004, pag. 29.