Prova testimoniale o dichiarazione di terzi? I contribuenti possono "sfruttare" il PVC per dare valore alle testimonianze di terzi

nel processo tributario è vietata la prova testimoniale, tuttavia possono avere valore indiziario le dichiarazioni fatte da terzi (ad esempio le dichiarazioni raccolte dai verificatori ed inserite nel PVC)

La Corte di Cassazione, con la sentenza n.16223 del 16 luglio 2014, aderendo alle posizioni già espresse in precedenza, ha ribadito che nel processo tributario, le dichiarazioni del terzo, acquisite dalla G.d.F. e trasfuse nel processo verbale di constatazione, a sua volta recepito dall’avviso di accertamento, hanno valore indiziario, concorrendo a formare il convincimento del giudice unitamente ad altri elementi”, fermo restando che la limitazione posta dall’art. 7, c. 4, Dlgs 546/1992 “vale soltanto per la diretta assunzione, da parte del giudice stesso, della narrazione dei fatti della controversia compiuta da un terzo, ovverosia per quella narrazione che, in quanto richiedente la formulazione di specifici capitoli e la prestazione di un giuramento da parte del terzo assunto quale teste, acquista un particolare valore probatorio. Le dichiarazioni, invece, dei terzi, raccolte da verificatori o finanzieri e inserite, anche per riassunto, nel processo verbale di constatazione, hanno natura di mere informazioni acquisite nell’ambito di indagini amministrative e sono, pertanto, pienamente utilizzabili quali elementi di convincimento”.

Brevi note

Le risultanze emergenti da dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale non hanno valore probatorio pieno, ma possono essere utilizzate solo quando trovino ulteriore riscontro nelle risultanze del processo.

La prova testimoniale richiamata dall’art.7 del D.Lgs. n. 546/1992, ed esclusa, è esclusivamente quella che si forma in sede processuale, restando possibile la formalizzazione di dichiarazioni verbali rese agli organi operanti, le quali pur non essendo prove immediatamente fruibili hanno valenza indiziaria.

Tali dichiarazioni non possono avere natura di prova certa ed inequivoca, ma semmai di mero indizio bisognevole di ulteriori supporti, non potendosi ad esse attribuire il significato e la portata della prova testimoniale, atteso che, a differenza di quest’ultima, non sono assunte con le garanzie e le modalità rigidamente previste nel codice di procedura civile.

In quest’ultimo periodo, si segnalano una serie di sentenze della Corte di Cassazione sulle dichiarazioni di terzi in genere.

  • Sentenza n. 14290 del 19 giugno 2009 (ud. del 4 marzo 2009), secondo cui le dichiarazioni rese da terzi e raccolte dalla polizia tributaria possono assumere valenza di indizi utilizzabili dal giudice non essendo annoverabili fra le prove testimoniali per difetto dei presupposti di sostanza e di forma. Infatti, “l’esclusione della prova testimoniale è dettata da un’esigenza di speditezza del processo tributario (cfr. Cassazione civile, sez. 1′, n. 12854 del 19 dicembre 1997) e non comporta l’inutilizzabilità delle dichiarazioni di terzi rese ai verbalizzanti, secondo quanto chiarito dalla stessa giurisprudenza richiamata dalla società ricorrente (si veda in particolare Cassazione civile, sezione 5′, n. 19114 del 29 settembre 2005 secondo la quale le dichiarazioni di terzi raccolte dalla Polizia tributaria ed inserite nel processo verbale di constatazione non hanno natura di testimonianza bensì di mere informazioni acquisite nell’ambito di indagini amministrative, sfornite, pertanto, ex se, di efficacia probatoria, con la conseguenza che esse risultano del tutto inidonee, di per sè, a fondare un’affermazione di responsabilità del contribuente in termine di imposta, potendo soltanto (come nella specie) fornire un ulteriore riscontro a quanto già accertato e provato aliunde in sede di procedimento tributario)”. Osserva, quindi, la Corte che “coerentemente a questa giurisprudenza la motivazione della C.T.R. non fonda affatto la decisione su tali dichiarazioni dei terzi ma si limita a rilevare che, contrariamente a quanto affermato nella motivazione della C.T.P., le affermazioni della Guardia di Finanza trovano invece riscontro nella quasi totalità delle dichiarazioni rese dai terzi”.

  • Sentenza n. 28004 del 30 dicembre 2009 (ud. del 10 novembre 2009), secondo cui il divieto di ammissione della “prova” testimoniale nel giudizio innanzi alle Commissioni tributarie, sancito dall’art. 7, c. 4, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, si riferisce “alla prova testimoniale quale prova da assumere nel processo con le garanzie del contraddittorio e non implica, pertanto, l’impossibilità di utilizzare, ai fini della decisione, le dichiarazioni che gli organi dell’Amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento anche sul conto di un determinato contribuente (D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 1; D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51)”. Tuttavia, “tali dichiarazioni, proprio perchè assunte in sede extraprocessuale, rilevano quali semplici elementi indiziari, il cui valore può essere sempre contestato dal contribuente nell’esercizio del suo diritto di difesa; conseguentemente, le dichiarazioni di terzi raccolte dalla Polizia tributaria ed inserite nel processo verbale di constatazione non hanno natura di testimonianza (quand’anche siano state, come nella specie, già rese in seno a procedimento penale), bensì di mere informazioni acquisite nell’ambito di indagini amministrative, sfornite, pertanto, ex se, di efficacia probatoria, con la conseguenza che esse risultano del tutto inidonee, di per sé, a fondare un’affermazione di responsabilità del contribuente in termine di imposta, potendo soltanto fornire un eventuale ulteriore riscontro a quanto già accertato e provato aliunde in sede di procedimento tributario (cfr. Cass. n. 3526/2002) od avere un valore probatorio proprio degli elementi indiziari, i quali possono concorrere a formare il convincimento del giudice, ma non sono idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisione (Corte Cost. sent. n. 18 del 2000, cfr. anche Cass. nn. 903/2000, 4269/2000)”.

  • Sentenza n. 12763 del 10 giugno 2011 (ud. del 2 febbraio 2011), con cui la Corte di Cassazione ha ritenuto che il divieto di assunzione di talune fonti di prova (giuramento e prova testimoniale) non implica l’inutilizzabilità delle dichiarazioni raccolte dall’Amministrazione (ovvero rese in favore del contribuente) nella fase procedimentale e rese da soggetti terzi rispetto al rapporto giuridico d’imposta, dovendosi attribuire alle medesime valenza di elementi indiziari che, qualora rivestano i caratteri di gravità, precisione e concordanza, possono assumere natura di presunzione anche ove desumibili dall’utilizzo come fonte di atti di un giudizio civile o penale. Dalla sentenza impugnata si evince che il giudice di appello pone a base della sua decisione, essenzialmente, l’affermazione secondo cui “l’accertamento … appare … non motivato e privo degli elementi necessari per sostenerlo, anche perchè, per la determinazione del reddito l’Ufficio si è basato sulle dichiarazioni rese nel corso delle indagini da soggetti terzi, ed in particolare da quelle rilasciate da tale Circo Pasquale, dichiarazioni che non possono trovare ingresso nel processo tributario stante l’esplicito divieto posto alla testimonianza dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7”. Il richiamo a tale “divieto” evidenzia la mancata considerazione delle “dichiarazioni rese nel corso delle indagini da soggetti terzi” e, quindi, in sostanza, la (volontariamente, perchè ritenuta oggetto di allegazione inutilizzabile) omessa considerazione degli elementi probatori offerti dall’Ufficio a suffragio della sua pretesa fiscale, anche quanto all’esistenza di una società di fatto tra padre e figlio. Siffatto richiamo, per la Corte, mostra, altresì, l’erronea ricognizione della effettiva latitudine della norma di cui al comma 4 (numerazione originaria) del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, (per il quale nel processo tributario “non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale“) essendo pacifico nella giurisprudenza di questa Corte (cfr., da ultimo, Cass., trib., 10 marzo 2010 n. 5746, la quale richiama “Cass. n. 903 del 2002 e n. 9402 del 2007“, ex multis) che il “divieto” detto – diversamente da quanto ritenuto nella sentenza impugnata – “si riferisce” soltanto “alla prova testimoniale da assumere nel processo” (“che è necessariamente orale, di solito ad iniziativa di parte, richiede la formulazione di specifici capitoli, comporta il giuramento dei testi, e riveste, conseguentemente, un particolare valore probatorio“) ma “non implica … l’inutilizzabilità, ai fini della decisione, delle dichiarazioni raccolte dall‘Amministrazione nella fase procedimentale e rese da terzi e cioè da soggetti terzi rispetto al rapporto tra il contribuente – parte e l’Erario“: “tali dichiarazioni“, infatti, hanno comunque “il valore probatorio proprio degli elementi indiziari” per cui “danno luogo a presunzioni” (costituenti prove dei fatti ex art. 2727 c.c. e ss.) “qualora rivestano i caratteri di gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 2729 c.c.”. La “natura e la valenza di elementi indiziari, nel processo tributario, del contenuto delle dichiarazioni” dette, inoltre, “non muta” sia che la “acquisizione delle dichiarazioni di terzi sia realizzata in via diretta in fase di verifica” sia nel caso in cui si utilizzino “come fonte gli atti di un giudizio civile o penale“. Il giudice tributario, infatti (Cass., trib., 14 maggio 2010 n. 11785), “nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione … del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.)“, deve (“in ogni caso“) verificare la “rilevanza” di quel “materiale” (anche di quello penale) nello “ambito specifico” (tributario) “in cui esso è destinato ad operare“.

  • Sentenza n. 21813 del 5 dicembre 2012 (ud. 29 ottobre 2012), secondo cui le dichiarazioni del terzo, acquisite dalla G.d.F. e trasfusenel p.v.c., a sua volta recepito dall’avviso diaccertamento, “hanno valore indiziario, concorrendo a formare ilconvincimento del giudice (C. 9876/11). Il tutto, se riveste i caratteriall’art. 2729 c.c., da luogo a presunzioni semplici (D.P.R. n. 600, art. 39,e D.P.R. n. 633, art. 54), generalmente ammissibili nel contenziosotributario, nonostante il divieto di prova testimoniale (C. 9402/07). Le dichiarazioni, invece, dei terzi raccolte da verificatori o finanzieri e inserite, anche per riassunto, nel processo verbale di constatazione, hanno natura di mere informazioni acquisite nell’ambito di indagini amministrative e sono, pertanto, pienamente utilizzabili quali elementi di convincimento (cfr. C. 20032/11)” fermo restando che, in base al principio del giusto processo e della parità di armi processuali tra le parti, “è riconosciuta ampia facoltà di prova contraria, potendosi il contribuente avvalersi, se lo ritenga, anche di analoghi mezzi conoscitivi da riversare nel processo (C. Cost. 109/07)”.

  • Sentenza n. 7714 del 27 marzo 2013 con cui la Corte di Cassazione ribadisce che nell’ambito del processo tributario ciò che è vietato è soltanto la diretta assunzione, da parte del giudice tributario, nel contraddittorio delle parti, della narrazione dei fatti della controversia compiuta da un terzo, che assume (in forza delle norme del codice di rito) la qualità di testimone. Tale narrazione, invero, in quanto richiedente la formulazione di specifici capitoli e la prestazione di un giuramento da parte del terzo assunto quale teste, acquista un particolare valore probatorio (Cass. 903/02, 20032/11), ma, al contempo, richiede un maggiore dispendio di tempo e di attività processuali delle parti. “Di contro, è di piena evidenza che siffatto divieto non può considerarsi operativo per la diversa fonte di prova – connotata da una maggiore immediatezza di percezione del contenuto probatorio da parte del giudicante – costituita dal documento che racchiude le dichiarazioni del terzo. Sul piano generale, invero, tale diversità si rivela anzitutto sotto il profilo materiale e sostanziale, dando vita il documento ad un’entità che, a differenza dell’altra, sì concreta in una res cartacea, e non in un soggetto dichiarante. Trattasi, inoltre, di una fonte di prova diversa dalla testimonianza anche sul piano processuale, essendo la prova documentale soggetta ad una disciplina differenziata da quella della prova testimoniale, poiché finalizzata – a differenza di quest’ultima, che richiede il compimento delle diverse attività di deduzione, ammissione ed assunzione (artt. 244 e ss. c.p.c.) – ad assicurarne esclusivamente la corretta “produzione” nel giudizio, nel rispetto del principio del contraddittorio e del diritto di difesa delle parti (art. 24, co. 1 d.lgs. 546/92, art. 87 disp. att. c.p.c). Le cennate differenze sostanziali e processuale esistenti tra le due fonti di prova, dunque, ne giustificano ampiamentela differente regolamentazione anche nel processo tributario, nel quale il documento, oltre ad essere producibile – come dianzi detto – anche in appello, sì sottrae, altresì, al divieto di utilizzazione anche nel giudizio di primo grado, che concerne esclusivamente la prova testimoniale”.

  • Sentenza n. 9552 del 19 aprile 2013 (ud. 25 settembre 2012) dove la Corte di Cassazione ha ritenuto che le “informazioni testimoniali” hanno valore indiziario e non si pongono in contrasto con l’art. 7 del D.Lgs. n. 546/92. Nel caso specifico, trattasi di dichiarazioni rese dal contabile di una società fornitrice. Osserva il collegio “che il divieto di ammissione della prova testimoniale nel giudizio davanti alle commissioni tributarie, sancito dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 4, comma 4, si riferisce alla prova testimoniale da assumere nel processo – che è necessariamente orale, di solito ad iniziativa di parte, richiede la formulazione di specifici capitoli, comporta il giuramento dei testi, e riveste, conseguentemente, un particolare valore probatorio -, e non implica, pertanto, l’inutilizzabilità, ai fini della decisione, delle dichiarazioni raccolte dall’Amministrazione nella fase procedimentale e rese da ‘terzi’, e cioè da soggetti terzi rispetto al rapporto tra il contribuente-parte e l’Erario”. La Corte definisce tali dichiarazioni come “informazioni testimoniali”, che “hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari, e devono pertanto essere necessariamente supportate da riscontri oggettivi (Corte cost., sentenza n. 18 del 2000) (Cass. 2002/903; cfr. Cass. 2005/16032; 2011/20032)”.

  • Ordinanza n. 10252 del 2 maggio 2013 (ud. 27 febbraio 2013) dove la Corte di Cassazione, richiamando un proprio precedente, ribadisce che “il divieto di ammissione della prova testimoniale nel giudizio davanti alle commissioni tributarie, sancito dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 4, comma quarto, si riferisce alla prova testimoniale da assumere nel processo – che è necessariamente orale, di solito ad iniziativa di parte, richiede la formulazione di specifici capitoli, comporta il giuramento dei testi, e riveste, conseguentemente, un particolare valore probatorio -, e non implica, pertanto, l’inutilizzabilità, ai fini della decisione, delle dichiarazioni raccolte dall’Amministrazione nella fase procedimentale e rese da ‘terzi’, e cioè da soggetti terzi rispetto al rapporto tra il contribuente-parte e l’Erario. Tali informazioni testimoniali hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari, e devono pertanto essere necessariamente supportate da riscontri oggettivi (così, tra le varie, Cass. 903/02)”.

  • Sentenza n. 22519 del 2 ottobre 2013 (ud. 12 giugno 2013) con cui la Cassazione afferma che costituisce principio consolidato quello per cui “in tema di contenzioso tributario le dichiarazioni di terzi raccolte dai verificatori ed inserite nel processo verbale di constatazione non hanno natura di prova testimoniale, bensì di mere informazioni acquisite nell’ambito di indagini amministrative, che possono essere utilizzate quando abbiano trovato riscontro nelle risultanze dell’accesso diretto dei verbalizzanti e non siano specificamente smentite dalla controparte. Nè è con ciò violato il principio della parità delle armi di cui all’art. 111 Cost., atteso che – in forza di quanto affermato dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 18 del 2000 – anche il contribuente può produrre documenti contenenti dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale con il medesimo valore probatorio” (Cass. nn. 16032/2005 e 2805/2009). Ed invero, il Giudice di appello nel limitarsi ad affermare che le dichiarazioni dei terzi hanno mero valore indiziario e che i riscontri oggettivi agli stessi, nella fattispecie, non erano stati resi noti, “ha del tutto omesso di valutare elementi oggettivi (quali l’omesso rinvenimento nel corso dell’operazione di verifica delle fatture relative ai costi ritenuti non deducibili e la circostanza che la società fornitrice non fosse in possesso dei macchinari e/o attrezzature nonchè del personale specializzato necessari) puntualmente indicati dalla ricorrente, in ossequio al principio di autosufficienza, che, per la loro decisività, ove esaminati, avrebbero potuto condurre ad una diversa soluzione in punto di sufficienza ai fini della sussistenza delle presunzioni”.

  • Sentenza n. 23325 del 15 ottobre 2013 (ud. 27 giugno 2013), dove la Corte di Cassazione ha confermato la valenza delle dichiarazioni di terzi quali indizi. Osserva la Corte che, “in materia, costituisce principio condiviso quello per cui, nel processo tributario, il divieto di prova testimoniale posto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, si riferisce alla prova testimoniale quale prova da assumere con le garanzie del contraddittorio e non implica, pertanto, l’impossibilità di utilizzare, ai fini della decisione, le dichiarazioni che gli organi dell’amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento e che, proprio perché assunte in sede extraprocessuale, rilevano quali elementi indiziari che possono concorrere a formare, unitamente ad altri elementi, il convincimento del giudice (cfr. Cass. n. 9402/07; n. 703/2007, e da recente n. 8369/2013)”.

  • sentenza n. 23729 del 21 ottobre 2013 (ud 17 dicembre 2012), in cui la Corte di Cassazione ha affermato che le prove “ testimoniali”, essendo indizi vanno supportate da ulteriori elementi. Per costante principio della Suprema Corte, dal quale non v’è ragione di discostarsi, ” il divieto di ammissione della prova testimoniale nel giudizio davanti alle commissioni tributarie, sancito dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 4, comma 4, si riferisce alla prova testimoniale da assumere nel processo – che è necessariamente orale, di solito ad iniziativa di parte, richiede la formulazione di specifici capitoli, comporta il giuramento dei testi, e riveste, conseguentemente, un particolare valore probatorio -, e non implica, pertanto, l’inutilizzabilità, ai fini della decisione, delle dichiarazioni raccolte dall’Amministrazione nella fase procedimentale e rese da ‘terzi’, e cioè da soggetti terzi rispetto al rapporto tra il contribuente- parte e l’Erario. Tali informazioni testimoniali hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari, e devono pertanto essere necessariamente supportate da riscontri oggettivi (Corte cost., sentenza n. 18 del 2000)” (Cass. n. 903/2002). Di conseguenza, “ritenuta irrilevante la sede (penale) di acquisizione delle dette dichiarazioni e va rilevato che le stesse hanno costituito per la CTR solo elemento indiziario, essendo fondato l’accertamento anche su altri elementi, specificamente evidenziati dalla CTR nel resto della motivazione (v. considerazioni sul ‘merito’)”.

  • Sentenza n. 24930 del 6 novembre 2013 (ud. 21 maggio 2013), con cui la Corte di Cassazione ha confermato che “il divieto di prova testimoniale nel giudizio tributario sancito dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7 non impedisce di considerare la valenza probatoria delle dichiarazioni di terzi raccolte dalla polizia tributaria ed inserite nel processo verbale di constatazione che equivalgono a mere informazioni acquisite nell’ambito di indagini amministrative le quali, benchè sfornite, ex se, di dirimente efficacia probatoria, comunque non si pongono in contrasto con il citato comma 4 dell’art. 7 (Cass. 11 marzo 2002, n. 3526 e, più di recente, Cass. 2916/13). Ciò perchè il divieto di assunzione testimoniale vale con precipuo riferimento ai poteri delle commissioni tributarie e non pure dei poteri degli organi amministrativi di verifica. Il che trova la sua naturale spiegazione nella circostanza che le dichiarazioni dei terzi raccolte dai verificatori, quand’anche nell’ambito di un procedimento penale, e inserite nel processo verbale di constatazione, hanno natura di mere informazioni acquisite nell’ambito di indagini amministrative e sono, pertanto, pienamente utilizzabili quali elementi di prova – cfr. Cass. ult. cit.-“.

  • Sentenza n. 658 del 15 gennaio 2014 (ud. 25 novembre 2013), dove la Corte di Cassazione ha ritenuto errata l’affermazione della CTR “che ha ritenuto inconducenti le dichiarazioni rese dagli altri fornitori circa l’insussistenza del requisito dell’imponibilità delle operazioni a monte perchè integranti mere dichiarazioni testimoniali, essendo pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che il divieto di ammissione della ‘prova’ testimoniale nel giudizio innanzi alle Commissioni tributarie, sancito dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, comma 4, (che riproduce la disposizione analoga contenuta nel D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 35, comma 5) si riferisce alla prova testimoniale quale prova da assumere nel processo con le garanzie del contraddittorio e non implica, pertanto, l’impossibilità di utilizzare, ai fini della decisione, le dichiarazioni che gli organi dell’Amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento anche sul conto di un determinato contribuente (D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 1; D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51)”. Tali dichiarazioni, prosegue la sentenza, “proprio perchè assunte in sede extraprocessuale, rilevano quali semplici elementi ‘indiziari’, il cui valore può essere sempre contestato dal contribuente nell’esercizio del suo diritto di difesa (Corte Cost. 21 gennaio 2000 n. 18; Cass. n. 14774/2000; Cass. n. 11994/2003; Cass. n. 20032/12 e 21812/2012-“.

  • Sentenza n. 13161 dell’11 giugno 2014 (ud. 5 maggio 2014) con cui la Corte di Cassazione ha confermato che le dichiarazioni dei terzi hanno il valore indiziario d’informazioni acquisite nell’ambito d’indagini amministrative e sono, pertanto, utilizzabili dal giudice quale elemento di convincimento. Nel processo tributario, “le dichiarazioni dei terzi, raccolte da verificatori o finanzieri e inserite, anche per riassunto, nel processo verbale di constatazione, a sua volta recepito nell’avviso di accertamento, hanno il valore indiziario d’informazioni acquisite nell’ambito d’indagini amministrative e sono, pertanto, utilizzabili dal giudice quale elemento di convincimento (Sez. 5, Sentenza n. 21812 del 05/12/2012, Rv. 624483)”. Per la Corte, “di esse, nella specie, il giudice d’appello non ha fatto buon governo non avendo dato alcuna logica spiegazione sia del fatto che ben settantaquattro clienti hanno dichiarato (a breve distanza di tempo dai fatti) di non aver ottenuto la ricevuta fiscale, sia del perchè tali propalazioni sarebbero smentite da ignote risultanze della contabilità e/o da imprecisate ricevute di gruppo che solo altri tre clienti hanno riferito di aver ottenuto. Ed ancora, la sentenza d’appello parla di ‘errori di calcolo commessi nelle ricostruzione del ricavato’ senza indicare quali essi siano, come essi siano riscontrabili e quale debba essere l’esatto computo. Ed, infine, accenna ‘a sconti praticati per la presenza di bambini’, rilievo questo rimasto a livello di mera enunciazione verbalistica priva di qualsivoglia riscontro logico e/o circostanziale”. Da qui, derivano, per la Suprema Corte, “da un lato l’errore giuridico commesso dalla Commissione regionale nella aprioristica obliterazione del ruolo probatorio delle numerosissime e concordi dichiarazioni indizianti rese dai clienti in sede amministrativa, dall’altro l’errore logico commesso nella valorizzazione di dati generici e indimostrati (errori di calcolo, sconti, ricevute di gruppo) o giuridicamente irrilevanti (regolarità contabile)”.

11 settembre 2014

Roberta De Marchi